Il libro cinese di questo mese, La graine du petit, è firmato da un grande scrittore di Pechino, Wang Zaozao, specializzato nei racconti delle tradizioni cinesi e riprende l’andamento di quello che in Occidente definiremmo un racconto edificante.
Il chiaro intento didascalico, tuttavia, viene stemperato dalle realistiche illustrazioni di Li Wang che incantano e rendono molto umana la storia.
L’albo - tradotto solo in francese e in inglese - racconta la storia di un piccolo seme di loto millenario affidato da un monaco maestro ai suoi tre discepoli Ben l’Ardente, Jing lo Studioso e An il sereno.
In questi tre bambini lo scrittore incarna tre anime della visione umana e dell’approccio alla vita.
Intorno alla consegna di questo seme, l’artista cinese dona ai lettori uno scorcio del mondo antico cinese immerso nella natura: l’architettura del monastero con le finestre in legno, i muri rossi, i tetti decorati con draghi, i cortili interni che custodiscono gli alberi spogli per l’inverno con i loro varchi tondi.
Gli interni sono descritti con dettagli precisi, quasi etnografici: le porcellane bianche e blu, le ciotole più semplici, i secchi dell’acqua, i bricchi del tè, i cestini, le borracce di zucca, i grandi fuochi della cucina a legna per cuocere il riso, i bracieri per riscaldare gli interni.
Anche i gesti e le espressioni sono particolarmente espressivi: sguardi assorti, mani febbrilmente impegnate, spalle curve di delusione, occhi gentili o concentrati… Tutto poi è avvolto in un diffuso nevicare che avvolge con leggerezza tutte le pagine, sospeso nell’aria, come nel tempo è sospesa la storia.
L’Ardente (che bel nome!) corre immediatamente, nello slancio generoso e precipitoso del suo cuore, a piantare il suo seme. Non fiorirà mai nel freddo dell’inverno.
Lo Studioso, dall’espressione gentile e assorta, si dedica invece allo studio negli antichi libri, alla scelta del vaso più consono, alla ricerca della terra perfetta. Il germoglio morirà lontano dall’aria, dentro il suo vaso d’oro e la sua terra perfetta.
An, invece, prende il seme e lo ripone nella sacca che porta appesa al petto, al caldo del suo cuore e poi torna alle sue faccende.
Più volte nelle pagine il lettore scruterà il diverso “fare” dei tre piccoli monaci: e se primi due, in un modo o nell’altro, sono da subito all’opera per il seme, An conduce con pazienza e umiltà le sue incombenze domestiche di monaco, senza altra apparente preoccupazione se non quella di far bene ciò che deve.
Va a fare la spesa per il monastero, spazza il cortile dalla neve, libera la via che conduce il tempio, prepara la zuppa di riso per i compagni, la mattina corre al pozzo a recuperare l’acqua e dopo la preghiera della sera passeggia solitario all’esterno del monastero.
Poi una mattina di primavera, come se il momento giusto fosse giunto, pianta il proprio seme in un angolo riparato dello stagno.
«Un jour en plein été, baignant dans la lumière matinale, une fleur de lotus de mille ans s'épanouit délicatement»
[Un giorno di piena estate, immerso nella luce del mattino, un fiore di loto millenario sboccia delicatamente]
Senza alcun commento o predica, l’invito con cui si era aperto l’albo ritorna alla mente: “prendete questi semi e prendetevene cura”.
L’insegnamento di questa storia è limpido ma non prescrittivo, perché nulla se non l’evidenza, affidata al lettore, dichiara l’accuratezza della scelta di An.
Cosa significa prendersi cura di qualcosa? Tutti e tre volevano la stessa cosa, ma cosa è stato diverso?
Un albo gentile e splendido.