Tipù delle palafitte è un romanzo breve molto semplice con una trama lineare senza grandi scossoni, il cui pregio però è prendere alcune delle notizie legate alla preistoria e innestarle su un racconto di crescita di una bambina.
Tipù infatti è una piccola bambina che abita sulle palafitte e che, per una serie di sfortunati eventi, si trova costretta ad allontanarsi da sola dal suo villaggio per sfuggire a un lupo che sembra volerla mangiare. Quando poi si renderà conto che il lupo era solo lì per proteggerla, si dirigerà verso il gruppo dei uomini cacciatori che sono partiti per i pascoli estivi, sui monti, a cacciare i cervi.
Innestata su un racconto dove gli elementi storici sono comprovati e coerenti, la storia si concede alcune piccole divagazioni magiche che però possono essere interpretate come una concezione animistica della natura (gli alberi parlano, ad esempio, e guidano Tipù in questo viaggio nella foresta). Il viaggio tra orsi, lupi, pericoli e segni nelle grotte è metafora di crescita e consapevolezza.
Credo che un bambino che abbia da poco affrontato o incontrato il tema preistorico a scuola possa rimanere appassionato alla storia di Tipù proprio perché riguarda la storia di un bambino.
«Abbracciai ancora l’albero e chiesi il permesso alla foresta di fermare un respiro. Promisi di farlo con cautela e rispetto. Promisi di non lasciare che la paura si fermasse nel corpo della mia preda e che la sua morte non sarebbe stata inutile»
Non mi ha stupito trovare un riferimento ad un progetto che tenta di avvicinare i bambini e gli adulti all’archeologia e alle tecniche preistoriche proprio legata a questo piccolo romanzo!
Ambientato in un’epoca ugualmente lontana, il periodo vichingo, ma senza nessuna preoccupazione archeologica o storica è invece la storia di Dagfrid. Una bambina vichinga un concentrato di ironia, divertimento e umoristica rivendicazione femminile.
«Sono una bambina vichinga. La vita di una bambina vichinga non è complicata. Nasci, ti spuntano dei capelli biondi e, appena sono abbastanza lunghi, ti fanno le trecce. Poi, quando le trecce sono molto lunghe, te le arrotolano ai lati della testa come se avessi due pagnotte che ti crescono sulle orecchie. Poi ti mettono una specie di vestito lunghissimo che ti si attorciglia alle gambe e ti impedisce di correre sugli scogli di imbarcarti per andare a scoprire l’America»
L’aspetto interessante è che la ribellione di Dagfrid non è semplicemente una contrapposizione maschio/femmina, ma più sottilmente una ricerca di una realizzazione personale, che non riduce ad una opposizione al sesso maschile.
A Dagfrid la forma di vita più comune, assunta dalle ragazze nel suo villaggio, sta stretta, per questo parte per trovare qualcosa di interessante per lei. È interessante notare come non ci sia nessuna opposizione del mondo adulto o del mondo maschile: questa scelta comunica molta libertà.
«Mio fratello mi aiutato a costruire di nascosto una barca della mia taglia. In cambio, io gli ho insegnato a cucire. Nessuno sa fare tutto»
Nulla però di pensoso o riflessivo, la narrazione è un concentrato di umorismo esilarante: l’insofferenza per le trecce, la nausee del pesce (unico cibo del villaggio), la partenza e l’approdo in un’isola sconosciuta, l’incontro con altre ragazze che condividono l’insofferenza di Dagfrid e…
Un finale tutto da ridere! Un racconto inaspettato perfetto, esilarante.