William Steig, prolifico e celebre scrittore statunitense, iniziò a scrivere per ragazzi negli anni ’70 e non smise più, finché visse. Premiatissimo e tradotto in tutto il mondo, raggiunse la fama nel 1990 grazie alla pubblicazione di un albo illustrato dal titolo Shrek! Il nome dovrebbe esservi familiare perché, nel 2001, la Dreamworks trasse un fortunatissimo film d’animazione che ebbe ben 3 sequel. Ebbene sì, il burbero orco verde che vive nella palude nacque in un racconto scritto quasi trent’anni fa e oggi ristampato in una godibile edizione cartonata da Rizzoli.
La trama di Shrek! lontana dalla trasposizione cinematografica - che mantiene sostanzialmente solo l’ossatura del viaggio alla ricerca della principessa - mostra però di avere quel sapore esilarante e divertente che gli autori hanno mantenuto nel film. La storia ha il tono roboante, eccessivo ed esilarante che caratterizza in modi differenti una fase dell’infanzia: per esempio per il mio Saverio, 7 anni, alcune storie sono strazianti, il cibo è immangiabile o eccellente, il maglione gli provoca crisi convulsive e le scarpe devono essere super leggere. Shrek, che forse di anni ne ha proprio 7, è totalmente sopra le righe e non scende ad alcun compromesso, dall’inizio alla fine della sua storia.
«La sua mamma era bruttissima, e bruttissimo il papà: ma Shrek era il più brutto di tutti e due messi insieme».
Il lessico, come vedete, sostiene l’ambientazione iperbolica, ma lo fa con un serietà controllata che nella modernità va perdendosi: l’autore e la brava traduttrice (io lo leggo nell'edizione precedente di Ilva Tron) mantengono una tensione paradossale, non scadendo mai in un lessico banale.
Shrek insomma era bruttissimo e si aggiunga che sprizzava fumo dalle orecchie e sputacchiava fiamme dalla bocca, puzzava terribilmente ed era pieno di pustole: un orco. Cacciato via malamente dal «fetido buco che l’aveva visto nascere», Shrek va nel mondo spavaldamente alla ricerca di fortuna finché si imbatte in una strega:
«Ecco pronta la ricetta
per lessare i pipistrelli.
Mescolare senza fretta
far bollire zampe e pelli.
Gira e frulla nella broda
ali, testa, artigli e coda.
Bolle e gira la brodaglia,
pipistrello che si squaglia.»
Se conoscete Roald Dahl, riconoscerete il medesimo piglio ironico (e canterino) che intervalla spesso la narrazione. William Steig impiega questo modulo narrativo che piace moltissimo ai ragazzi, che memorizzano e leggono con facilità le rime.
La strega, dopo essere svenuta per la paura, in cambio di un paio di pidocchi acconsente a predire il futuro all’orco:
«Monta il groppa al buon somarello,
batti il cavaliere, entra nel castello.
La principessa avrai come sposa,
ma ti avverto che è proprio mostruosa:
è perfino più brutta di te…
ah ah ah, coccodì-coccodè!»
L’orizzonte e lo svolgersi dell’azione è ormai segnato, lungo il percorso che guiderà l’orco alla sua “brutta” non mancano però episodi esilaranti come la cottura delle pernici con lo sguardo laser (non vi dico le risate di mio figlio…), il rutto di fumo dopo la scorpacciata di saette, il drago steso dalla fiammata (alitata?) putrescente e i brutti sogni conditi di cinguettii. Alla fine Shrek incontrerà l’asinello, che nel storia sembra più un tontarello, sconfiggerà anche il cavaliere corazzato (vi lascio la sorpresa di scoprire come!), e incontrerà la sua principessa, ricca di cisti e verruche più che di oro e diamanti. Il ieto fine è assicurato (bellissimo il bouquet di cactus!).
La forza di questo libro sta nella sua assurdità, perseguita con insistenza dall’inizio alla fine, senza bisogno di un senso finale appiccicato, ma è un’assurdità piena di senso e ricca di svolte narrative coerenti e interessanti. Il testo è breve e si presta benissimo come proposta di prima lettura autonoma: i dialoghi e gli intervalli con filastrocche alleggeriscono il dettato e le illustrazioni onnipresenti sosterranno anche le difficoltà dei più piccoli. Non ho esitato a proporlo a Saverio, perché sapevo che l’impostazione umoristica (e i raggi laser) lo avrebbero conquistato e infatti non ha voluto smettere di leggere fino a che ha raggiunto la fine. Le immagini dell’autore sono d’altri tempi, molto descrittive e legate al testo, riconoscibilissime nello stile e con il medesimo tono ironico e caricato eppure mai eccessivo: l’equilibrio per cui si ride è mantenuto con maestria senza che si rimanga con l’amaro in bocca per una storpiatura di troppo. È la bravura dei grandi autori.
[testo e immagini del post sono tratti dall'edizione Mondadori precedente e in mio possesso. In questo caso la traduzione è di Ilva Tron]