Milioni di gatti di Wanda Gág è un classico della letteratura dell’infanzia, ma forse più di un classico, è un testo che ha fatto la storia del picture book (o albo illustrato) fin dai suoi albori (c’è chi dice che abbia proprioo fondato il picture book come lo concepiamo oggi!) e quest’anno torna sugli scaffali italiani, che poco lo conoscono.
A firmarlo un’artista americana di origine boema che dedicò la sua vita all’arte, alla scrittura e all’osservazione della natura: Wanda Gág.
Milioni di gatti esce nel 1928 frutto di una svolta nella vita di quest’artista (che potete ben trovare descritta in appendice la nuova edizione di Pulce), che, stanca di dedicarsi all’illustrazione per altri e all’illustrazione commerciale, decide di esplorare il suo mondo artistico, ritirandosi in una fattoria e dipingendo per sé.
Questo tempo dedicato all’espressione libera di sé si riversa in queste pagine, in modo originalissimo.
La storia, infatti, intreccia lo stile dei racconti orali e delle fiabe, ma anche dei miti e delle narrazioni bibliche che, pur non facendo parte dell’esperienza familiare della Gág (lei racconta che la sua famiglia si distaccò dal credo cattolico) riecheggia come storia delle sue origini, ed emerge potente come memorie di racconti e di storie ascoltate.
Al centro di questa storia vi è infatti una coppia di anziani che molto si amano e che non hanno figli.
Da Bauci e Filemone, passando per i genitori di Raperonzolo e Buchettino, ma anche per Abramo e Sara e poi Zaccaria ed Elisabetta la storia e le letteratura pullulano di anziani senza figli a cui accadono miracoli. Ma, se nelle fiabe, nei miti e nella Bibbia i due anziani, per lo più, ricevono in dono un bambino, stravolgendo completamente le aspettative, il vecchietto protagonista della nostra storia parte alla ricerca di un gattino.
«“Se solo avessimo un gatto!” sospirò la vecchietta. “Un gatto?” domandò il vecchietto. “Sì, un dolce piccolo morbido gatto”, disse la vecchietta. “Ti porterò un gatto mia cara”, disse il vecchietto»
Il vecchietto parte, dunque, la ricerca di questo gatto fino ad arrivare su una collina «che era quasi tutta coperta di gatti».
Una sorta di paese della cuccagna dove ,tuttavia, al posto del cibo, si trovano trilioni di gatti.
La storia va avanti secondo il modulo dell’accumulazione e dell’iperbole, infatti il protagonista si prepara a scegliere quale gatto portare a sua moglie, ma non sa decidersi, per cui uno dopo l’altro incomincia a sceglierli tutti.
«“Ora posso scegliere il gatto più carino e portarlo a casa con me!”. Così ne scelse uno, era bianco. Ma proprio mentre stava per andarsene, ne vide un altro bianco e nero che gli sembrò carino quanto il primo. Così prese anche quello. Ma poi poco più in là vide un gattino grigio sfumato, carino come gli altri… Così preso anche quello»
Il ritorno a casa è in pompa magna, con un corteo, guidato dal vecchietto, seguito da «centinaia di gatti, migliaia di gatti, milioni e miliardi, e trilioni di gatti»
L’accoglienza a casa però non è così felice, come forse il vecchio protagonista si aspettava, perché la moglie ben più pratica e pragmatica pone immediatamente al marito il problema del sostentamento di tutti gatti.
Ed ecco che Gág - ancora una volta lontana da ogni narrazione rassicurante tipica, in quegli anni, nelle storie rivolta ai bambini - fa irrompere nuovamente la fiaba e inserisce un elemento perturbante: i gatti scatenano una sorta di lotta per accaparrarsi il posto nel cuore e nella casa dei due anziani, morendo tutti.
«“Devono essersi mangiati l’un l’altro”, disse la vecchietta, “è un vero peccato!” “Ma guarda!” disse il vecchietto, e indicò un mucchio di erba alta. Nel mucchio d’erba c’era un piccolo gattino spaventato»
Questa grande avventura si ricompone, dunque infine, in un quadro familiare probabilmente inedito dove al posto di un minuscolo bambino, un piccolo gattino sgraziato viene accudito amorevolmente da due tronfi e felici vecchietti al lume della loro lampada ad olio.
Il testo è perfetto nella sua riproduzione ritmica e ripetitiva che ricorda vividamente le narrazioni orali che, proprio nella ripetizione delle singole parole, ritrovavano il tempo per pianificare il racconto.
A questo si unisce una creazione del pathos quasi iperbolico e un accordo perfetto con le immagini.
«Gatti qui, gatti là, gatti, gattini ovunque. Centinaia di gatti, migliaia di gatti, milioni, e miliardi, e trilioni di gatti!»
Le immagini, nate nel contesto preciso di un allontanamento dell’artista dalla città, trovano in questo la loro originalità e la loro forza che le rendono uniche all’epoca in cui nascono e pioniere di una storia, quella del picture book, che trova già lì tutte le intuizioni che conformeranno il suo sviluppo.
Come Gág dice infatti in un suo diario: «[negli alberi, nelle masse di fogliame] una sinfonia, il suono comprende non solo lunghezze d’onda ma volume».
Nelle illustrazioni, che accompagnano il testo, questo accento e questo sguardo sono evidenti: quel ritmo armonico del testo sembra seguire e segnare i passi ripetuti dell’anziano che attraversa con costanza il paesaggio. Scardinando ogni riquadro e fissità geometrica, le illustrazioni si organizzano come turbini: il cielo viene risucchiato all’estremità delle pagine o scivola velocemente sopra le vallate e le colline.
Anche la scelta del formato del libro orizzontale permette alle immagini di attraversarlo come le nubi attraversano velocemente il cielo, come le colline si profilano armonicamente in volumi e onde.
Il crescendo dell’azione si trova riflesso in un crescendo delle immagini: guardate ad esempio come la vecchietta trafelata corre fuori da casa, raggiungendo il marito in un triangolo che si amplia progressivamente! Non si era mi visto un libro così!
Anche il tratteggio nero e lo stile naïf che - come corrente artistica - nasce proprio in quegli anni, sono specchio della ricerca di Gág che, nel 1923, racconta della sua decisione di allontanarsi dalla città come del desiderio di diventare “nativa”.
I segni fitti bianchi e neri riproducono regolarmente e vividamente i prati d’erba attraversati dal vento e giocano con i gatti, che sembrano far parte dello spazio naturale.
Dal 1928 questo testo continua ad essere stampato e ad accompagnare i bambini americani e di tutto il mondo, questo perché io credo abbia a una grandissima capacità narrativa, sorprendente e perturbante, ma esattamente consona e accordata ai bambini.
Un classico che se ancora non conoscete vi invito a scoprire.
P.S. Un plauso specifico all’edizione di Pulce che è curata nei minimi dettagli: sia nell’impaginazione che riprende con precisione l’organizzazione e la disposizione di testo e di immagini nella pagina così come nell’edizione originale, sia per una scelta molto ben calzante del font che, a differenza delle edizioni precedenti, cerca un’affinità con l’originale, scritto a mano dal fratello della Gág.