Arrivo da giorni, settimane, mesi durante i quali ho avuto l’onore di immergermi nelle parole di Maurice Sendak, nel suo sguardo critico, nella parole degli studiosi che hanno cercato di carpire fonti e significati, rimandi ed echi… da questi giorni esco arricchita e ispirata da un uomo che fece dello studio il suo cavallo di battaglia, per poter comprendere e per poter fare fino in fondo il suo lavoro.
Era molto schietto Sendak, non si tirava indietro quando gli veniva chiesto un parere e non usava mezzi termini anche se questi prevedevano la critica più aspra.
Spronata dalla schiettezza di questa interessante posizione, provo anch’io a dire la mia sul polverone che in questi giorni si è sollevato, riguardo della modifica di alcuni termini decisi dall’editore Puffin sui romanzi di Roald Dahl. Lo faccio perché la letteratura è il mio lavoro e credo che sia necessario rendere pubblico il proprio giudizio.
Credo che sia assolutamente improprio mettere le mani su un’opera d’ingegno e di intelletto di qualcun altro per modificarla, nascondendo questa azione irrispettosa sotto l’etichetta di un desiderio di modernizzazione o peggio di inclusione.
Nessuno ha il diritto di modificare alcunché di un’opera d’arte, di un romanzo, di un testo letterario. Qualsiasi azione di questo tipo si connota come censura e apre le porte ad una dittatura di pensiero di cui l’arte e la letteratura stessa ci hanno già dato scorci di inquietante lucidità.
Azioni di questo tipo svalutano l’opera d’arte stessa e definiscono in modo preciso i lettori a cui ci si rivolge.
Nel periodo in cui nasceva il romanzo, nel 1700, vi era un pullulare di autori che cercavano di cavalcare – anche economicamente – questa grande rivoluzione della lettura, offrendo però testi di dubbia qualità letteraria.
La maggior parte di questi testi è scomparsa, mentre invece le opere di Jonathan Swift ancora oggi vengono lette dai ragazzi di tutto il mondo.
Che la letteratura o che un romanzo scompaia nel tempo non è un dramma, anzi è una selezione naturale e preziosissima che salva i lettori dalla mediocrità e affida alla storia testi e storie che possiamo poi, a ragion veduta, considerare classici.
Credere che Dante sia arrivato fino a noi per i rimaneggiamenti, gli adattamenti, le riscritture moderne è un giudizio scialbo e superficiale.
Dante è arrivato fino a noi, perché secolo dopo secolo, ci sono stati studiosi, accademici, critici e appassionati che si sono spesi e si spendono costantemente per indagare, scoprire, ricercare, leggere un testo che è un classico, perché capace di parlare all’uomo di oggi all’uomo di ieri con la stessa medesima forza, nonostante i suoi oltre 700 anni e nonostante racconti, anche, di pettegolezzi trecenteschi. Molti altri autori di quel periodo – considerati all’epoca più famosi e capaci – sono finiti nel dimenticatoio, le cattedre dantesche si contano invece nelle università di tutto il mondo.
Lasciamo pure che la mediocrità venga erosa dal tempo.
Rimaneggiare un’opera letteraria ha la stessa carica di violenza e di sfregio di quando la stessa cosa accade ad un’opera d’arte. Se la modifica de Il Giudizio Universale di Michelangelo e le foglie di fico apposte sulle nudità ci hanno scandalizzato, perché invece mettere le mani sul testo letterario di qualcun altro, senza la sua autorizzazione, dovrebbe invece essere ritenuto una cortesia fatta all’autore, per renderlo eterno, “adatto ai tempi”?
Si sottovaluta l’opera d’arte. Non la si ritiene in grado di attraversare i tempi e si ritiene di doverla adattare alla sensibilità della contemporaneità.
E se non fosse adeguata ai tempi? Perché mai dovremmo preoccuparci di salvarla?
Questo episodio cela, a mio avviso, una concezione di fondo, sulla quale pochi si esprimono esplicitamente.
Consideriamo veramente letteratura, la letteratura per l’infanzia? Giovanna Zoboli, recentemente, ha offerto un contributo critico interessante che, tuttavia, ripropone questioni che non sono mai state affrontate seriamente.
Un’azione come quella che è stata fatta contro i testi di Dahl risponde in modo netto: no, la letteratura per l’infanzia non è letteratura. E questa deformazione è drammaticamente collegata alla figura del lettore di riferimento che, non a caso – nello specifico –, è il bambino lettore.
Chi mai avrebbe avuto il coraggio di avanzare una proposta del genere ad un romanziere che si occupa di letteratura per gli adulti? Ancora oggi, nella contemporaneità, i bambini sono ritenuti inabili a riconoscere, a distinguere e a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, cos’è la morte e cos’è la vita.
Come se un bambino non avesse coscienza del peso che hanno le parole, come se la letteratura per l’infanzia avesse il fine di educare ed istruire.
Io credo invece che i bambini abbiano una coscienza esatta di ciò che è brutto e di ciò che è bello, di ciò che è vero e di ciò che è falso, di chi è calvo e di chi è ciccione, di ciò che è letteratura e di ciò che è lezione. Se non diamo ai bambini parole per cogliere le sfumature del mondo, li condanniamo alla schiavitù di un pensiero unico che sarà sempre in balia del potere.
«Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l’arma. Castriamo la mente dell’uomo. Chissà chi potrebbe essere il bersaglio dell’uomo istruito? […] li si designò custodi della nostra pace spirituale, il fulcro della nostra comprensibile giustissima paura di apparire inferiori, censori, giudici, esecutori. […]
La gente di colore non ama Little Black Sambo. Diamolo alle fiamme. Qualcuno ha scritto un libro sul tabacco e il cancro dei polmoni? I fabbricanti e i fumatori di sigarette piangono? Alle fiamme il libro! Serenità, Montag.
Le tue battaglie combattile in sordina. Meglio ancora, buttale nel forno crematorio. I funerali sono dolorosi e pagani? Annulliamo anche i riti funebri. […] Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa! Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione»
Ray Bradbury, Fahrenheit 451
a questo provvedono ampiamente la TV e la scuola
Viviamo in un mondo di struzzi. Con tanti problemi da affrontare per il futuro dei nostri figli tante menti “progressiste” infilano la testa nella sabbia dell’oblio e levano le chiappette al cielo. Che Dio ci aiuti.
sono d’accordo con te.
Esattamente anche io penso sempre a “Fahrenheit 451” riguardo tutte queste assurdità che vorrebbero imporci. Privati delle parole per definire le cose, veniamo privati anche della capacità di pensare