Dopo la notte di Uri Schulevitz è certamente un testo che proporrei almeno all’arrivo di 10 anni.
Il testo imponente nelle sue quasi 300 pagine raccoglie il resoconto della fuga e della vita di un bambino di 4 anni che scappò con i suoi genitori dalla Polonia sotto attacco fino ai margini dello Stato russo. Proprio lo stare ai margini delle vicende belliche, salvaguardò la vita di questa famiglia, che riuscì a tornare in patria per poi fuggire nuovamente solo quando Uri aveva compiuto ormai undici anni.
Il romanzo è scandito in brevi testi, corrispondenti a singoli episodi di ricordi, ben organizzati secondo un criterio cronologico. La sua bellezza sta nell’essere frutto dello sguardo di un bambino che vede il mondo e ce lo racconta secondo le sue categorie: la fame, i giochi con gli altri bambini, la paura, gli scontri i ragazzi più grandi, la scuola, le malattie, le corse sulla neve… Tutte queste esperienze sono al centro del racconto, a cui margini ritroviamo una vita durissima, fatta di privazioni, fame, morte, dolore…
Gli episodi iniziano in modo più palese a introdurre alcuni degli orrori che la guerra portò con sé e che i bambini e Uri certo ricordano - sebbene indiretti perché Uri e la sua famiglia non furono mai internati nei campi di concentramento - e quindi va considerata l’età dei ragazzi a cui affidare queste parole.
Il fatto però che il punto di vista sia quello di un bambino fa sì che il testo non sia mai opprimente o semplicemente angosciante, tanti tantissimi sono gli spazi di speranza, di luce, di felicità e di gioia che anche nella miseria più totale illuminano il suo percorso lontano da casa.
Uri diventerà un famoso autore e illustratore per bambini.
«Sera dopo sera, andavo a letto a stomaco vuoto, a volte avendo mangiato solo un tozzo di pane in tutta la giornata, spesso nemmeno quello. I crampi della fame erano talmente dolorosi che facevo fatica ad addormentarmi. La mia povera mamma amorevole non poteva nutrire il mio corpo. Ma nutriva magnificamente la mia mente, distraendomi dalla mia situazione. Mi raccontava storie. Storie che ricordava, a volte solo a metà, alle quali aggiungeva episodi inventati da lei. A me non importava. Mi andava bene qualsiasi cosa. Miti greci, fiabe, storie che aveva letto o sentito, film che aveva visto. Le ero grato per quei racconti. Li amavo. Accendevano la mia fantasia e alimentarono la mia innata passione per le storie e la convinzione della loro importanza. Solo le storie avevano la capacità di trasportarmi in luoghi lontani e farmi vivere le vite di altre persone. Di tutte le storie di Mamma, la mia preferita era quella che mi raccontava quando le chiedevo: mamma, dimmi cosa mangeremo dopo la guerra»