Quanto può essere immensa e paurosa una città agli occhi di un bambino? Il titolo, Piccolo in città, ci suggerisce che il protagonista dell’ultimo libro di Sydney Smith si trovi immerso proprio in questa situazione, come se “Piccolo” bastasse a caratterizzare lo spaesamento. Ed in effetti, nelle immagini scorrono lente e pigramente rumorose, ci lega a sé un ragazzino, solo, che attraversa la città. Il monologo interiore che gli dà voce è in forma di dialogo, l’io sembra svelare le sue preoccupazioni e le sue strategie per compiere il viaggio - che deve conoscere bene! - senza pericoli fino a casa:
«Ma io ti conosco. Ce la farai. Se vuoi, posso darti qualche consiglio. I vicoli possono essere buone scorciatoie. Ma non inoltrarti in questo vicolo. È troppo buio.
[…]
C’è uno sfiatatoio da cui esce vapore caldo che sa d’estate. Puoi rannicchiarti lì sotto e farti un pisolino»
Ma un bambino “vero” parlerebbe ad un “tu” astratto? No. I bambini parlano sempre a qualcuno, immaginario o vivente che sia. Ed in effetti l’interlocutore si delinea lentamente: è un amico, un’amica forse, amato, ricercato, perduto.
Le immagini accompagnano il testo e ne diventano protagoniste, la descrizione degli spazi attraversati e i deittici (qui, questo, lì in fondo…), infatti, si svelano solo nella relazione con l’illustrazione.
Il viaggio è un crescendo, in salita (o in discesa?), durante il quale le emozioni si fanno sempre più intense e, ancora una volta, è l’illustrazione che con discrezione e gentilezza ce lo indica: la giornata è limpida, gelidamente esatta, ma poi inizia a nevicare, impercettibilmente e in men che non si dica siamo in una bufera, confusa, stordente, cupa.
Il piccolo attraversa la città, la conosce in tutti i suoi anfratti: sa dove essa mostra il suo volto umano e accogliente, conosce i tratti che la rendono spaventosa…
Ma spaventosa e accogliente per chi?
Questa domanda è fondamentale e la risposta definisce in modo esemplare l’infanzia, così ben tratteggiata dall’autore canadese.
Il mondo è osservato con gli occhi di un bambino, ma gli spazi cambiano se guardati con gli occhi di un altro. Sono gli indizi che il testo ci regala perché si formi in noi un’immagine dell’amico perduto: «puoi rannicchiarti … se glielo chiedi, probabilmente, ti regalano un pesce …potrebbero impigliarsi al tuo mantello… ti puoi accovacciare».
Che cura! Che gentilezza! Che empatia commovente!
Il viaggio dunque si trasforma da uno spostamento funzionale (torno a casa) ad una ricerca toccante in cui gli occhi dell’amico diventano gli occhi di un bambino.
«Se vuoi, puoi tornare»
Che struggimento, questa invocazione!
E quando ormai la neve, la confusione e il dolore hanno avvolto tutto, anzi proprio perché la neve, la confusione e il dolore hanno avvolto tutto ecco che accade qualcosa, che non avremmo potuto notare, senza neve, senza confusione, senza dolore. Avviene nel silenzio, quando ormai davamo la storia per finita.
Le illustrazioni sono perfette: dapprima nitide, poi gradatamente sfocate come se gli spazi fossero osservati attraverso un velo di lacrime o nel mezzo di una bufera di neve testarda, le luci e i rossi baluginano decisi. I gesti sono ritratti con naturalezza e pathos.
Una storia vibrante, ricca di emozioni (questi sono i libri sulle emozioni che vale la pena leggere!) e di amore (e anche di gatti che scappano!). I piccoli e gli animali hanno una capacità di comunicare tra di loro stupefacente.
Commovente.