L’uomo ha da sempre regolato la sua vita a partire dallo stupore per il più grande e quotidiano miracolo che è quello del sorgere e del tramontare del sole. Solstizi ed equinozi sono da sempre importantissimi nodi temporali che scandivano la vita contadina, intrecciando al naturale scorrere del tempo uno sguardo simbolico denso di significati.
Tra tutti gli eventi solari, certamente il solstizio d’inverno è quello che ha segnato e segna simbolicamente in modo più vigoroso l’immaginario di tante culture: l’inverno buio e mortifero che sembra negare ogni speranza di rinascita e quasi sembra inghiottire la luce, nel giorno più breve e cupo dell’anno, viene vinto dalla luce e dal sole che, in una inversione di rotta impercettibile ma radicale, ricomincia a riconquistare brano a brano, da quell’attimo, le ore del giorno, guidando gli uomini verso la rinascita della primavera.
Non è un caso che proprio nelle vicinanze del solstizio d’inverno tante culture diverse abbiano posto le loro maggiori festività tra cui anche il Natale cristiano.
The shortest day raccoglie un breve poema di Susan Cooper, dedicato proprio a Yule, una festività che appartiene al mondo pagano ma si intreccia - anche linguisticamente - con le diverse tradizioni religiose nordeuropee. La poesia racconta dell’attesa di questo grande miracolo e si intreccia alle eccezionali illustrazioni di Carson Ellis.
Il sole appare in apertura e in chiusura come un vecchio dio che sembra fuggito dai lungometraggi gli Hayao Miyazaki e attraversa la scansione delle pagine, dardeggiando in modi diversi nel mondo, dalla preistoria accanto ai piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori fino alla contemporaneità.
Sono molte le pagine prive di testo, silenziosamente e minuziosamente illustrate da Carson Ellis che raccontano di un lavorìo gravido di attese: i corvi stretti sui rami, le case chiuse nel bianco della neve, le persone curve alla ricerca di rami. Tutto è silenzio.
«So the shortest day came
And the year died»
I riti che si intrecciano in questo giorno si svolgono prevalentemente di notte: si portano le candele fuori nel freddo, per creare un varco nel buio nero del cielo invernale, si decorano le case con rami sempreverdi che testimoniano una fedeltà di vita che mai viene meno, anche nell’aridità dell’inverno.
È proprio alle tradizioni nordiche che si fa risalire l’usanza del decoro degli alberi di Natale che inizialmente erano decorati con le candele.
In questa notte si balla intorno ai fuochi, si fa confusione, si canta… è una notte di travaglio e di catarsi, quella di questo giorno più breve dell’anno, un a notte in cui si scacciano gli spiriti che si immaginano abitino il nero della notte e si attende, fiduciosi la luce.
«And when the new year’s sunshine blazed awake
They shouted, revelling»
Che gioia la luce! Che felicità il sole! Ieri come oggi festeggiamo anche se in modi molto diversi.
Questo libro ci chiede di ricordare cosa festeggiamo: una speranza, una fedeltà che non manca mai il suo appuntamento ogni anno, ma forse ogni giorno.
La capacità di riprodurre il calore dei movimenti, la gioia la contagiosa delle persone, ma anche la paziente attesa, l’entusiasmo dei personaggi… è impressionante. L’illustratrice istituisce paralleli anche iconografici tra le pagine che legano il passato al presente in un circolo temporale infinito.
L’inverno è un’attesa: tu cosa aspetti?
P.S. In appendice la poetessa racconta del suo rapporto con Yulee di tutte le iniziative che sono nate intorno a questo poema.