C’è il tempo giusto ovvero il momento perfetto per fare qualcosa e c’è il giusto tempo cioè quel lasso di tempo necessario, perché certe cose possano essere fatte bene.
Ho pensato a questa sottile differenza nello sfogliare il bellissimo libro di Stépahanie Demasse-Pottier e Clarisse Lochmann, Fine estate, che racconta di un passaggio necessario e scontato quanto spesso doloroso e radicale come quello di abbandonare il luogo delle vacanze per tornare alla quotidianità.
A volte si pensa questo passaggio in modo un po’ automatico: chiuso il capitolo delle vacanze, si apre la lista delle cose da fare per la scuola. Questo tuttavia è un pragmatico sguardo adulto, in mezzo ci sono i bambini che, forse meno assillati dalle cose da fare, devono accettare un cambiamento di luogo, di tempo e di ritmi che non è scontato.
«Niente da fare. Le vacanze erano finite. Bisognava rimettersi in viaggio. Tornare a casa. Le valigie erano pronte. Le persiane accostate. La porta chiusa»
Il focus narrativo è rappresentato da una bambina, di 4-5 anni: la voce, l’espressione del disagio e dello strappo appartengono a lei, tuttavia le figure genitoriali non sono marginali, ma in modo molto empatico e attento partecipano di questa avventura emotiva.
«Abbiamo fatto il giro della casa un’ultima volta. Non sapevamo se saremmo tornati, o quando. Ero triste, ma non l’ho mostrato»
Chiudere un capitolo è sempre, non solo metaforicamente, percepire la fine, morire, e questo libro con una bellezza struggente ce lo ricorda.
Dopo i saluti di cortesia, le foto di rito, si parte. La bambina si addormenta e:
«al mio risveglio, le montagne erano scomparse. Nel mio cuore, come un vuoto»
La mamma e il papà intercettano i bisogni della figlia e trovano una strada per poter accogliere insieme questo dolore. Un picnic insieme, parlando delle cose belle fatte insieme in vacanza - perché quei momenti non si perdono! - e poi un’idea:
«“E se facessimo una deviazione? Dopotutto non c’è fretta”»
Il viaggio di ritorno si smette in standby, anzi si trasforma in un viaggio di andata… verso una nuova meta.
«Ci siamo presi il nostro tempo»
Il tempo subìto viene ripreso: la famiglia si riposa, la bambina fa corone di fiori, insieme scelgono uno spiazzo e si accampano alla bell’e meglio, si stringono e riposano sotto le stelle.
«Domani torneremo a casa. Ora mi sento pronta»
Gli acquarelli colorati si mescolano senza confini netti e creano un luogo dove emozioni, movimenti, pensieri si confondono, senza un limite e una conformazione precisa. I lettori si muovono in uno spazio indefinito che calza a pennello con questa storia.
Le tavole illustrate chiedono di fermarsi ad osservare per cercare di mettere a fuoco i volumi e, solo dopo questa pausa, le immagini si rivelano agli occhi dei lettori, ritratte con naturalezza e intimità.
Anche la conformazione del testo maiuscolo, tra cui la punteggiatura si perde, riecheggia il flusso di pensieri, che si racconta precipitosamente tra pause affidate più al girar pagina che alla lettura.
Un bel libro che prende sul serio i bambini e le loro emozioni, grazie anche ad adulti che, per una volta, non sono spettatori inermi ma parte del viaggio della loro bambina. Un libro sulle soglie da attraversare, una storia da leggere sempre, non solo a fine estate, perché tutti abbiamo bisogno del “giusto tempo”.
P.S. Ho apprezzato molto la cura grafica, di stampa, di scelta delle font... credo che tutto testimoni un’attenzione non scontata. Bellissima la copertina.