Ogni volta è un libro sulla paternità e la maternità che non è solo il ribaltamento di un punto di vista, perché quel che è evidente è proprio che non si tratta di una questione di punti di vista, è un invito ad una posizione diversa.
Silvia Vecchini ci offre, con Ogni volta, la consapevolezza di una posizione più vera: quando si celebra la maternità o la paternità, ciò di cui si è grati è quel figlio che c’è, che regala e che causa accadimenti e scoperte che mai ci si sarebbe immaginati.
Ho avuto la grazia di partorire due figli, di accompagnarne tre in paradiso e di adottarne uno e in tutta questa vita che continua (perché l’esser figli non si esaurisce nell’infanzia) ciò che mi ha stupito sono stati loro e non quello che sono diventata io.
Perché certamente l’accadere di qualcuno che ti ama e che ha bisogno di te comporta cambiamenti incessanti nel desiderio di adattarsi, accogliere, sostenere, supportare… ma ciò che è determinante, ciò che è importante è guardare ciò che accade davanti agli occhi e che viene prima di ogni trasformazione.
E così “ogni” singola, specifica volta, non “tutte” indifferentemente (stupenda questa scelta lessicale!), abbiamo l’occasione di fermarci a vedere e forse di intuire quel che Silvia Vecchini ha così sapientemente raccolto nelle sue parole.
«Ogni volta che ti chiamo / è il tuo nome che chiama me»
«Ogni volta che ti guardo / sei tu che mi apri gli occhi»
Il testo poetico - a mio parere lo è anche se non ci sono rime - avanza in distici dove ai ripetuti «ogni volta» (anafore) corrispondono altrettanti «sei tu». Situazioni quotidiane come il lavare, il nutrire, il giocare, il parlare, il chiamare... sbocciano, nella pagina successiva, in qualcosa di totalmente inaspettato, rigoglioso, stupefacente. È lo spettacolo inconsapevole che l’essere figli regala ai propri genitori, un miracolo che chiede consapevolezza dell’alterità: tu, padre, tu, madre, non sei immediatamente parte di quell’accadimento ne sei uno spettatore, un raccoglitore - si spera - grato.
Questo è il sottile confine che l’autrice varca: non un punto di vista diverso, ma esistenzialmente uno stato d’essere diverso.
Nell’adozione questo, a mio parere, è palese: quale alterità ci lega ai nostri figli! Quale prodigio che quel bambino, con una storia misteriosa e lontana da te, possa chiamarti “mamma”. Perché forse, quando si partorisce, ci si lascia confondere da quel volto così simile e quelle espressioni forse già conosciute ci illudono di essere indissolubilmente parte di quella storia che invece incomincia in quell’attimo, ma già in quell’attimo prende la sua strada, staccandosi da te.
Ai padri e alla madri è dato il privilegio di assistere a queste storie che nascono ed in effetti gli sguardi dei genitori rapiti e tesi che Daniela Tieni riesce a intrappolare nei volti di questi genitori che appaiono in ogni pagina sono un invito a una posizione esistenziale: guarda quel che accade!
Gli sguardi assorti e i volti in contemplazione di attimi e di bambini che inconsapevoli, semplicemente, vivono, sono immersi in tavole che si animano di vita rigogliosa, immaginata e fantastica (più che onirica). Eppure in questo fiorire di figure e di colori (e che palette!) non c’è nulla di astratto. L’illustratrice coglie attimi molto intimi e forse più facilmente consapevoli del miracolo della genitorialità: il tocco timido al bambino che dorme, la mano tesa verso il bambino mentre si esce di casa, la presenza impacciata vicino al figlio dolente…
«Ogni volta che ti nascondi e poi ti trovo / sei tu che mi mostri dove sono e perché»
Le sequenze (due doppie pagine per un verso) mettono al centro un genitore alla volta, come per interpellarlo personalmente (“ogni” genitore), e il figlio che, in modo felicemente inaspettato, ha volti e colori che non sempre replicano quelli della mamma o del papà.
Un libro commovente e infinito (che bello che il testo non accenni a chiudersi e che non vi sia un “commento” finale!), toccante e dolorosamente vero che credo ogni genitore dovrebbe potersi regalare.
«sei tu che che, come un nodo, stringi più forte quello che conta»