Sono giorni che possono essere considerati cupi e, nonostante io sia certa che per la maggior parte le paure dei bambini siano lo specchio delle preoccupazioni degli adulti, sarebbe supponente pensare che i bambini non possano provare paura, che non possano sentire il peso di eventi più grandi di loro e incomprensibili come appare questo Coronavirus.

Le fiabe, in questo, sono maestre eccellenti e non mi ha sorpreso di trovare perfettamente accordata al mio pensiero una storia molto affine alle narrazioni fiabesche: Il riccio nella nebbia di Sergeij Kolzov, Jurij Norstein e Francesca Yarbusova.

Nel 1975 un cortometraggio onirico lasciava a bocca aperti adulti e bambini: si chiamava Il riccio e la nebbia, appunto, e rappresentava un punto di non ritorno nella storia dell'animazione, ma anche un contributo importante nella storia delle storie per bambini.

Dopo poco meno di 40 anni (2011) è stato premiato come miglior film animato di ogni tempo e dopo qualche anno (2013), le prime copie di questa storia, resa albo illustrato, sono apparse timide sul mercato editoriale e finalmente oggi anche in Italia.

Questa storia ha una potenza particolare che le immagini le conferiscono: immagini pittoriche, cupe come la tradizione fiabesca russa predilige, ma illuminate da punti di calore, luci che sembrano spuntare dietro gli sfondi, dietro gli alberi, in mezzo all'erba.

La storia racconta di Riccio impegnato a raggiungere l’amico Orso che, naturalmente, abita al di là di un bosco «ogni sera Riccio andava a casa di Orso a contare le stelle. Accovacciati su un tronco i due sorseggiavano il tè e guardavano il cielo stellato, sospeso sopra il tetto proprio dietro il comignolo».

È il crepuscolo e Riccio, accompagnato dallo svolazzare di eteree falene bianche, si addentra nella pineta. Il travaglio che il bosco rappresenta, la prova, il pericolo si materializzano in incontri suggestivi e inquietanti: un magnifico Gufo (soffermatevi sul suo piumaggio!), un vecchio pozzo buio, una foglia secca, un albero, una chiocciola, un pipistrello, un cane e poi un cavallo bianco immerso nella nebbia. Il Riccio, in realtà, non interagisce mai con queste figure oniriche, ma da loro è seguito o sottilmente attratto e ne deriva, nel lettore, un senso di inquietudine e di allerta. Immerso nella pesante nebbia umida del bosco, il riccio sembra oppresso e circondato: le volute vaporose dell’umidità si trasformano in figure, compagne o nemiche che scivolano attorno al piccolo protagonista, senza mai toccarlo, ma facendo percepire la loro presenza.

«Un Elefante si stava sollevando e gonfiando fino al cielo, O non era un Elefante? […] Affacciato alla nebbia come a una finestra, il Gufo lo fissava e bubolava: “Oo-hoo! Oo-hoohoohoohoohoo!…” poi di nuovo svanì. “Che follia!” pensò Riccio»

I rumori e le immagini, i richiami e le voci (si sente anche l’amico Orso che chiama!) si intrecciano in una esperienza straniante e opprimente: Riccio si è perso, non vede dove sta andando, non vede ciò che succede accanto a lui.

«Raccolse uno stelo d’erba. In cima c’era una Lucciola. Con lo stelo sollevato sopra la testa come una candela, sporgendosi tutto in avanti, Riccio cercò una via d’uscita, e si fece strada arrancando nella nebbia. […] La Lucciola - il suo minuscolo faro - oscillando nella nebbia illuminava il cammino con un esile bagliore verde. Ma poi anche lei cadde nell’erba e sparì. Scese il buio».

La paura e il panico, causati da ciò che accade senza controllo intorno a sé, alla fine fanno cadere Riccio nel fiume. È la fine? No. Perché dalle profondità melmose e cupe dell’acqua, ecco sopraggiungere un inaspettato aiuto, un incontro reale. Il primo.

«“Scusami…” disse Qualcuno sottovoce. “Chi sei e come sei finito qui?” “Sono Riccio” rispose anche lui sussurrando. “Sono caduto nel fiume” “Allora dài, sali sulla mia schiena” disse Qualcuno pian piano. “Ti porto a riva”»

Quel Qualcuno, che Riccio non aveva neppure potuto vedere, lo aiuta, lo soccorre e lo conduce fino alla teiera calda e al suo amico Orso. E il piccolo Riccio ancora stranito, ma più rincuorato si siede a guardare le stelle.

«Però che bello essere di nuovo insieme»

Questo viaggio che è anche e soprattutto un viaggio nelle proprie paure, indefinite, incontrollabili e comunque sempre più grandi di sé ha però un arrivo confortante e mostra l’esperienza confortante e speranzosa di una compagnia gratuita e benefica che non abbandona nel momento cruciale. Il bello e lo spaventoso si mescolano nelle illustrazioni di Francesca Yarbusova, in una armonia unica e ammaliante. Le parole curate, ben disposte e pesanti come macigni, accompagnano a rallentano la lettura.

Una storia che lascia il segno e che può essere un’ottimo punto di partenza per raccontarci della paura, ma anche e soprattutto del bene che arriva inaspettato e vittorioso, anche nelle situazioni più confuse.

Qui trovate il cortometraggio sottotitolato.

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Il riccio nella nebbia Sergeij Kolzov, Jurij Norstein e Francesca Yarbusova, Livia Signorini (traduttrice) 48 pagine Anno 2019 Prezzo 19,00€ ISBN 9788845934452 Editore Adelphi
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