*Resoconto a cura di Elisabetta Previati.
⇒ Elisabetta è un’artista, cantante e compositrice, che potete sostenere e conoscere su Patreon
«Misura quanto sei arrabbiato. / A volte è soffice come la neve. / Ci si può perdere./ È una scopa che spazza il pavimento./Se è buio, fa paura./ È una macchina del tempo»
Con questi versi che sono quasi un indovinello, si è aperto il nostro incontro sul silenzio, ovvero con la lettura del bellissimo albo di Silvia Vecchini La mia invenzione.
In realtà il libro andrebbe letto partendo dal titolo e senza svelare prima di cosa tratta. Ma per la sua bellezza riesce a coinvolgerci anche alle letture successive ed è il punto di partenza perfetto per introdurre un argomento che a prima vista è un po’ ingannevole. Il silenzio negli albi illustrati.
Quando possiamo dire che un albo illustrato parla di silenzio? Sarebbe troppo scontato pensare ai silent book, dato che spesso sono davvero molto “rumorosi”, per la storia che raccontano o per la narrazione e il ritmo.
Potrebbe essere, il silenzio, la condizione di chi non riesce a parlare, e qui viene in mente un albo di Carthusia Questa è la storia di Topolina.
Potrebbe essere una situazione con risvolti positivi, che ti fanno sentire bene, o al contrario negativi, che ti avvolgono come una gabbia o ti frenano come un muro.
Oppure potrebbe essere un silenzio descrittivo. Nei libri sulla neve c’è spesso molto silenzio, come se un fenomeno atmosferico così delicato quasi imponesse una contemplazione. Così nei libri sulle emozioni può esserci spesso un grande silenzio, per lasciar passare meno parole e più sensazioni.
E all’interno delle storie narrate, dove prende piede il silenzio?
Pensiamo all’albo Se vuoi vedere una balena di Julie Fogliano. Una voce narrante spiega a un bimbo, come un vademecum poetico, cosa è necessario fare per vedere una balena. Occorre concentrarsi, e per farlo ci vuole silenzio. Occorre soffermarsi su piccoli dettagli, ma soprattutto occorre l’attesa. “E aspettare. E aspettare”. Tutte azioni che esigono, quasi, un grande silenzio.
Anche ne Il leone e l’uccellino di Marianne Dubuc ci sono tante attese e tanti silenzi. Il leone sta lavorando al suo orto, in silenzio, e sente il rumore di un uccellino ferito che cade al suolo. Forse non l’avrebbe nemmeno sentito se non fosse stato in silenzio. Uccellino si trasferisce a casa del leone per l’inverno, un inverno molto bianco. Guarisce e torna a volare. Leone è triste della partenza del suo amico, percepiamo la sua solitudine silenziosa. E sempre dal silenzio torna l’amico uccellino per fargli compagnia in un altro inverno.
Ne La mia città sul mare, densissimo albo dedicato a una particolare storia di città minerarie, percepiamo il silenzio come inscindibilmente legato al colore dei pensieri del bambino, che ripercorrono il lavoro di suo padre in miniera e riflettono sul futuro. Il mondo interiore del piccolo ci appare talmente vasto da aver bisogno del silenzio per sintonizzarsi sui propri pensieri.
Entriamo poi in un altro albo che parla di una tematica forte, La diga, in cui i toni bianco e nero e seppia e la distanza fisica del testo dalle illustrazioni ci suggeriscono un silenzio anche grafico, che ben si accorda con un racconto a tratti triste, in cui si parla anche di morte.
Un tipico scenario silenzioso può essere la notte? Negli albi sulla notte spesso percepiamo un rumore di fondo, quello della paura, perché il silenzio spesso ai bambini fa paura, o è un silenzio di fondo in cui però succede un evento tutt’altro che discreto (pensate alla pioggia di rane di Tuesday) o è un silenzio contro cui lottare (In punta di piedi).
Nell’albo Una notte nera, troviamo invece un diverso tipo di silenzio, più narrativo, che dipende dai tempi reattivi del lettore. Un bimbo, da solo nel bosco notturno, incontra divere figure più o meno spaventose da cui sfuggire trattenendo il fiato.
E l’ascolto richiede il silenzio? È la tematica alla base di un albo intitolato appunto Ascolta!, che personalmente ho sempre trovato più adatto agli adulti, che spesso reagiscono alle emozioni dei piccoli subissandoli di soluzioni e domande, quando invece le emozioni hanno bisogno del giusto silenzio per emergere.
E nei libri ironici, è possibile trovarne, di silenzio? In Ti mangio, albo ormai classico, il lettore viene coinvolto nella catena di avvenimenti divoranti attraverso il pathos dell’attesa, che catapulta potentemente il bambino all’interno della storia.
Qualcosa di molto simile accade in Aiuto, arriva il lupo, albo interattivo in cui più sfogliamo le pagine più il lupo si ingrandisce e ci lascia senza fiato.
Cambiando del tutto stile, e passando a una narrazione quasi cinematografica, troviamo Alba, un albo recente molto delicato, che si presta a una lettura come albo silenzioso, sia per la narrazione (“i suoni lievi diventano forti”) che per il colori delle illustrazioni, che giocano con gli spazi bianchi della pagina. Un bimbo viene svegliato in piena notte dal suo papà, e insieme camminano nel bosco. Possiamo intuire che vadano a veder sorgere il sole, ma non ne siamo certi fino alla fine, e così il piccolo protagonista, che segue suo padre senza fiatare, quasi non volesse disturbare la notte o la foresta, domandandogli dove sono diretti. E i suoni circostanti emergono dal silenzio, che risulta piacevole ma in qualche modo anche pesante per le cose taciute dal papà.
Sempre sul rapporto con il papà si concentra un albo che non poteva mancare in una carrellata sul silenzio. Io parlo come un fiume. Un silenzio doppio, quello che ci regala questo libro intenso e commovente. Il silenzio della balbuzie del bimbo (che si prepara alla sua giornata “senza una parola”) e quello del suo papà che è con lui molto discreto. Gli dice solo che lui parla come un fiume, e proprio lì lo porta, in un posto tranquillo, per farlo riprendere da una brutta giornata a scuola. Nella doppia natura del fiume, tumultuoso e impetuoso ma anche limpido e scintillante, il bimbo trova la chiave per affrontare il suo problema con le parole e col silenzio.
Ne Le contes de petit duc troviamo un tipo di silenzio reverenziale nei confronti della saggezza. Un uomo, un saggio, sa già tutto e quindi si annoia. Scende dal monte e incontra un gufo. Entrambi restano in silenzio. Poi il gufo lo invita a non fargli domande su Chi? Dove? Quando?, altrimenti lui resterà in silenzio. Lo invita piuttosto a indagare il perché delle cose. Perché esiste la notte? Perché esistono i sogni?
E sempre di domande che presuppongono un silenzio di partenza parla un albo inedito in Italia, My little book of big questions, in cui Britta Teckentrup propone una protagonista adolescente alle prese con un lungo catalogo di interrogativi esistenziali. È un albo che ho trovato importante nel suo tentativo di legittimare tante domande forti, che ogni adolescente o anche adulto o persino bambino potrebbe aver creduto di essere l’unico a pensare, nel silenzio del suo cuore, ma che invece sono accomunanti. Troverò il mio posto nella vita? Il mondo è fuori o dentro di me? Perché mi piace qualcuno completamente diverso da me e che ha pensieri completamente diversi nella sua mente? La felicità significa forse pensare solo a cose belle? Tutte le persone si fanno le stesse domande?
Sicuramente si facevano le stesse domande, senza saperlo, i protagonisti di Incontri disincontri di Jimmy Liao. Dato che è l’ultimo albo proposto, mi abbandono a un atto di amore folgorante per questo libro, che parla del silenzio della solitudine, dell’attesa, dell’incertezza e infine anche del silenzio della felicità, perché la felicità si racconta male, ha detto qualcuno.
In un intreccio che alterna la voce di un narratore a degli incursus in corsivo che segnano lo scorrere dei giorni e l’incedere delle stagioni come un diario (“22 dicembre. Il sole fa capolino tra le dense nuvole nere che ancora avvolgono le cime dei monti”), un ragazzo e una ragazza hanno gli stessi gusti, le stesse passioni, abitano vicini senza saperlo, e ogni giorno svoltano dal lato opposto della strada, non incontrandosi mai. Si incontreranno, naturalmente, e si perderanno. E il silenzio sarà solitudine indesiderata, e segnerà il lungo tempo dell’attesa.
Per finire vi lascio con due suggestioni emerse nel corso dell’incontro.
La prima è questa: avete mai pensato che quando sentiamo una cosa davvero molto, troppo bella, durante uno spettacolo o un concerto, la forte reazione emotiva ci spinge a restare in silenzio, più che ad applaudire?
La seconda è uno spunto di ricerca. Mi sono chiesta se esistono albi che parlano del silenzio dei ricordi. Mi ci ha fatto pensare una poesia di Emily Dickinson, con cui vi saluto:
“Per quel ripostiglio sacro chiamato memoria/quando fai pulizia/scegli una scopa riverente, e fallo in silenzio.”