Uno dei grandi inganni in cui si può cadere quando si affronta la lettura di un albo illustrato è quello di chiedersi: “a che cosa serve?”.
Nessuno si è mai chiesto a cosa serva conoscere la storia di Jo March o di Elizabeth Bennet, quando si leggono i romanzi che le hanno come protagoniste. Si entra a far parte della loro storia e…. basta.
Questa evidenza - che in realtà è alla base della selezione letteraria che vi propongo ogni giorno su Scaffale Basso - ha bisogno di essere ribadita con forza nel caso de L’estate dei tuffi, perché il rischio di definire il libro di oggi come un libro sulla malattia mentale è altissimo e questa etichetta così limitante, naturalmente, non può che allontanare qualsiasi lettore da un libro di questo tipo, mentre la storia di Zoe, suo padre e Sabina merita di essere incontrata da tutti.
L’albo di Sara Stridsberg, una delle più note scrittrici viventi svedesi (l’avevamo già incontrata, ricordate?!), è di fortissimo impatto visivo grazie alle magnetiche illustrazioni di Sara Lundberg che non possono lasciare indifferenti. Una delle più belle copertine del 2022.
«Un giorno quello che era il mio papà è scomparso all’improvviso»
La voce di Zoe bambina, in un mondo a cavallo degli anni ’70, ci racconta lucidamente la sua avventura.
Il suo papà è in un ospedale psichiatrico, circondato da persone che «controllano solo che stia bene sulla terra perché non se ne voli via».
La discrezione silenziosa e certa della mamma, l’umanità ferita eppure viva del papà e il mare di domande, i pensieri profondi e gli occhi azzurri di Zoe ci accompagnano in una storia intima e dolorosa, ma anche vera e speranzosa grazie anche alla bellezza che trasuda da ogni tavola illustrata.
«Sono contenta quando ride. Perché in realtà è così triste che non ha più voglia di vivere. Come si fa a non aver voglia di vivere quando esistono i cani e le farfalle e il cielo? Come si fa a non aver voglia di vivere quando esisto io? Nessuno ha una risposta. È così e basta.»
Poi un giorno la tristezza del papà di Zoe sembra prendere il sopravvento: «scrive “Addio” su un pezzetto di carta», non vuole più vedere nessuno, piange.
In questo limbo incomprensibile Zoe si ritrova da sola («erano altri tempi”»!) a tornare regolarmente all’ospedale del suo papà, anche se lui non la vuole più vedere.
Le sale comuni dove familiari e malati condividono il tempo diventa il luogo in cui Sabina, un'altra paziente, entra in scena, con il suo costume sotto la vestaglia e con due occhi azzurri come il mare.
Sabina è l’occasione di Zoe di scoprire il “si può fare”, ovvero la gamma delle possibilità che la vita offre e che, a volte, la sensibilità di alcuni ammalati percepisce con più acutezza.
Sabina aspetta con Zoe.
Cosa aspetta? La dimensione dell’attesa si dilata, aspettando qualcuno o qualcosa che la riempia.
Sabina e Zoe trascorrono l’estate allenandosi a nuotare sul prato dell’ospedale, i tuffi sono la metafora e il gesto che permettono a Sabina l’accesso al suo mondo, che per un’estate condivide amorevolmente con Zoe.
L’ospedale e i suoi abitanti accolgono Zoe e Sabina, senza quasi accorgersene.
«Stiamo sdraiate al sole a guardare gli aeroplani […] L’estate passa veloce. Mentre si aspetta succede sempre qualcos’altro. […] io e Sabina abbiamo fatto a nuoto molti giri del mondo»
Alla fine dell’estate, come ritemprato dal calore accumulato durante i lunghi mesi estivi, il suo papà «arriva».
Il racconto a questo punto fa un balzo in avanti.
«Il mio papà non è mai più stato davvero felice ma in fondo ha avuto una vita abbastanza bella. […] non dimenticherò mai [Sabina] che è stata mia amica l’estate in cui il mio papà non voleva più vivere».
La storia è commovente e rende onore alla profondissima intelligenza dei bambini, della loro sensibilità, ma anche ai mondi emotivi che sono capaci di abitare.
Sabina è, ugualmente, un tributo vivente allo sguardo divergente di chi il mondo lo guarda attraverso la sensibilità acutissima che a volte si trasforma in malattia mentale.
Insieme ci offrono una testimonianza di come si possa abitare lo scomodo spazio dall’attesa.
La parole scelte da Sara Stridsberg - che ha percorso molte volte questo tema - sono perfette: schiette, vere, limpide, senza sbavature.
Le illustrazioni di Sara Lundberg sono vere e proprie opere d’arte che riecheggiano e rielaborano pittoricamente Berta Hansson, Escher e molti altri artisti come a testimonianza che la vita, ritratta esattamente, contiene in sé una poesia struggente.
È la storia di Zoe, del suo papà e di Sabina solo questo, ma basta questo per dire che la storia meriti di essere conosciuta.