Cari lettori e lettrici della Ridda, bentrovate e bentrovati dopo la lunga pausa estiva che si è estesa praticamente all’autunno. Quest’oggi ci occuperemo del testo che ha dato il nome a questa rubrica, il celeberrimo e sempre attuale Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak.
Ho scelto questo argomento un uggioso pomeriggio di pioggia in cui non mi sentivo per niente ispirata. In giornate così, spesso cerco conforto in un libro amato, e quel giorno mi era capitato tra le mani Where the Wild Things Are, nell’originale inglese. Rileggendo poi la traduzione di Lisa Topi, mi aveva particolarmente colpito questa frase: «e dalle pareti entrò il mondo». In precedenti letture non mi ci ero mai soffermata ma, forse perché quel giorno avevo proprio bisogno che dalle mie pareti entrasse un po’ di mondo, mi era sembrata una frase particolarmente riuscita.
È inevitabile fare paragoni?
Forse qualcuno ricorda che la traduzione di Topi era stata discussa in particolare per la scelta di non riproporre il famosissimo “Attacchiamo la ridda selvaggia!” (da cui viene, appunto, la nostra Ridda!). Se avete voglia di sentire la traduttrice stessa parlare di questo suo lavoro, potete dare un’occhiata a questo video.
Pensando e ripensando alle due versioni disponibili in italiano - quella di Topi, più recente (2018), e quella di Antonio Porta (1981) - mi sono chiesta se un confronto fosse necessario: spesso ci accostiamo a diverse traduzioni della stessa opera in prospettiva di comparazione, volti a scovare i limiti di questa o quella e, implicitamente, a proclamare la migliore. Più mi occupo di traduzione, però, e più questo approccio mi sembra limitato. Oppure, semplicemente, è un approccio che può essere integrato in altro modo (per chi fosse interessato, trovate comunque un’approfondita analisi comparativa qui).
Volendo dunque tentare una lettura parallela ma diversa, vorrei oggi soffermarmi su alcuni passi o trovate di ciascuna versione che trovo particolarmente azzeccati, ognuno per i propri meriti.
Una doverosa puntualizzazione
Come già dicevo in apertura di questa rubrica, non bisogna mai sottovalutare la carica emotiva di un libro amato, soprattutto se è stato un libro significativo durante un periodo formativo come l’infanzia. È assolutamente legittimo preferire una certa versione (raccontavo ad esempio di essere particolarmente legata alla traduzione del 1955 di Piccole donne, scovata nella cantina di mia nonna e letta decine di volte).
Si possono riconoscere i propri attaccamenti personali senza che essi ci portino ad una visione antagonistica delle varie versioni. Nel caso di traduzioni separate da un lasso considerevole di tempo, come queste, trovo particolarmente affascinante il fatto che il testo originale, per quanto possa essere “datato”, rimanga in un certo senso fuori dal tempo. Le traduzioni, invece, non possono far altro che parlarci del loro tempo, della storia e delle preferenze del traduttore o della traduttrice, del contesto sociale e letterario e delle abitudini e aspettative di lettori ed editori. Non dico niente di nuovo, tutti questi concetti sono assodati nel campo della traduzione. Ma penso che il passaggio dalla teoria alla pratica della lettura e del godimento dei testi in traduzione in questa prospettiva non sia affatto scontato.
In ogni caso, bando alle ciance e guardiamo i miei passaggi preferiti de Il paese dei mostri selvaggi nelle traduzioni di Porta e Topi rispettivamente.
«That very night in Max’s room a forest grew
and grew–
and grew until his ceiling…»
[Trad. letterale: «Quella stessa notte nella camera di Max crebbe una foresta
e crebbe–
e crebbe fino a che il soffitto...»]
Porta:
«Nella camera di Max quella sera una foresta crebbe
e crebbe crebbe crebbe
crebbe fino al soffitto…»
Di questo passaggio apprezzo che Porta abbia deciso di sciogliere il trattino nella ripetizione del verbo. Penso che sia una bella trovata perché i trattini, in inglese, possono essere molto carichi di significato e attesa (pensate a Emily Dickinson!), e la ripetizione del verbo in italiano fa questo effetto, senza contare che è uno degli espedienti della lingua parlata quando si raccontano le storie.
«They roared their terrible roars and gnashed their terrible teeth
and rolled their terrible eyes and showed their terrible claws»
Porta:
«quelli ruggirono terribilmente, digrignarono terribilmente i denti
rotearono tremendamente gli occhi
e mostrarono gli artigli orrendi»
Questo passaggio è notevole dal punto di vista fonico, sia in inglese che in italiano. A leggerlo ad alta voce, si è obbligati ad andare lentamente e calcare tutte le r, le t e le d, che altrimenti ci si impasterebbero in bocca. Insomma, fatto apposta per enfatizzare la paura provocata dalle terribili creature!
La traduzione di Porta ci dice anche che è stata fatta in un momento in cui ancora si aborrivano le ripetizioni: il terrible che compare quattro volte nell’originale diventa terribilmente, terribilmente, tremendamente e orrendi. Oggi potremmo discutere di questa scelta, ma è innegabile che nella ripetizione Porta abbia trovato avverbi e aggettivi che funzionano e potenziano l’effetto fonico.
«and tamed them with the magic trick
of staring into all their yellow eyes without blinking once
and they were frightened and called him the most wild things of all»
Porta: «e li domò con il trucco magico di fissarli negli occhi gialli
senza batter ciglio e quelli ebbero paura e proclamarono
che lui era più mostro selvaggio di tutti»
Di questo passaggio mi piace che Porta abbia mantenuto la paratassi dell’originale inglese (and…and…and… > e…e…e…) e che abbia utilizzato un’espressione che suona sgrammaticata, «era più mostro selvaggio di tutti», ma che in realtà ricalca perfettamente l’inglese «the most wild thing»: grammaticalmente ci aspetteremmo «the wildest thing», e la distinzione è sottile: Sendak considera l’espressione “wild thing” come entità unica, e quindi non attacca il suffisso del superlativo all’aggettivo monosillabico, ma usa most, come si fa nel caso di parole polisillabiche. Questa trovata ci indica che Porta era stato un lettore attentissimo delle sfumature dell’originale.
«and grew until his ceiling hung with vines
and the walls became the world all around»
[trad. lett. «e crebbe fino a che dal soffitto penzolarono rami
e le pareti diventarono il mondo tutto intorno»]
Topi: «crebbe finché il soffitto si coprì di rami
e dalle parenti entrò il mondo»
Come dicevo all’inizio, si tratta della frase che ha dato origine a questa riflessione. La trovo fantastica perché con estrema concisione comunica la potente immagine di un altro mondo–fantastico, avventuroso, imprevedibile–che irrompe nella piccola cameretta di Max. Guardate le immagini: la prima immagine della camera di Max, di cui vengono mostrate le tre pareti, comunica proprio un senso di chiusura quasi claustrofobica. Al contrario, a trasformazione avvenuta, le pareti sono completamente scomparse e sono state sfondate, non ci sono più limiti: la cameretta è diventata il mondo!
In generale la traduzione di Topi è piuttosto asciutta e si fa più fatica ad isolare singole trovate interessanti, penso che sia più facile da apprezzare nell’insieme, nella sua attenzione alle ripetizioni e ai ritorni lessicali. Ad esempio, quando Max comincia a sentire nostalgia di casa:
«And Max the king of all wild things was lonely
and wanted to be where someone loved him best of all»
[trad. lett: «E Max il re di tutte le cose selvagge si sentiva solo
e voleva essere dove qualcuno lo amasse più di tutti»]
Topi: «E Max il re dei mostri selvaggi si sentì solo
avrebbe voluto essere con qualcuno che lo amasse terribilmene»
Dove il terribilmente riprende il terribile terribile che abbiamo visto prima.
Oppure, un pochino prima, i mostri dicono di amare così tanto Max che se lo mangerebbero (simile al nostro “ti mangerei di baci”), ma lo dicono esattamente con lo stesso verbo utilizzato all’inizio (eat up) quando Max, con tutt’altra intenzione, dice alla mamma che se la mangia:
«“I’LL EAT YOU UP!”»
«we’ll eat you up–we love you so!»
Topi: «E ALLORA TI MANGIO!»
«Ti amiamo così tanto! Ti mangeremmo!»
È una traduzione che ci racconta di come siano cadute alcune convenzioni un po’ artificiali della lingua italiana (ad esempio l’orrore assoluto per le ripetizioni!) e di come sia evoluto il mondo della traduzione, che mostra ora, generalmente, meno diffidenza nei confronti delle rese non completamente assimilate alla lingua d’arrivo e più apertura nei confronti delle rese che rimandano ad altro (una lingua altra, un tempo altro, una cultura altra).
L’argomento delle “traduzioni a confronto” è molto avvincente e molti lettori amano parteciparvi. Qual è il vostro atteggiamento nei confronti di nuove o vecchie traduzioni? Tendete a fare paragoni e proclamare il vincitore, oppure a prendere ciascuna per quello che è?
Spero che questa riflessione e analisi abbia offerto qualche interessante spunto di lettura. Alla prossima Ridda!
** Parole in ridda ** Una rubrica sulla traduzione a cura di Anna Aresi. Ogni mese, Anna affronta un tema legato alla traduzione nell’ambito della letteratura per l’infanzia, con un’attenzione particolare ai libri illustrati.
Ciao Laura! Grazie di essere passata di qua 🙂 Sono d’accordo con te, e secondo me il tuo è, per fortuna, l’atteggiamento prevalente tra i traduttori e le traduttrici e di chi lavora nel settore. Tra i lettori…dipende. Penso sia interessante per loro essere esposti a idee nuove. Almeno spero… A presto!
Anna
Ciao Laura benvenuta 🙂 Ho avvisato Anna che eri passata di qui! Arriverà a risponderti
Ciao Anna,
essendo anch’io traduttrice, non stile mai classifiche di traduzioni diverse di uno stesso testo. Mi piace confrontarle proprio per la curiosità di vedere quanti modi diversi (e altrettanto validi e convincenti) ci sono di traghettare uno stesso testo in un’altra lingua. La vivo anche come un’occasione di apprendimento, una sorta di formazione continua. La traduzione del Giovane Holden di Adriana Motti, per esempio, sarà sempre nel mio cuore, perché per me quel libro è stato un vero e proprio innamoramento, però ho iniziato a “studiare” con grandissimo piacere anche la nuova versione di Matteo Colombo.
p.s. ci vediamo al corso “Tradurre per bambini e ragazzi!”