Le storie di Pija Lindenbaum sono spesso improntate a una dimensione assurda che spiazza molti lettori adulti abituati a narrazioni basate sul presupposto condiviso che la realtà in quanto tale e anche l’immaginazione non possano contemplare in nessun modo l’eccentrico e l’inaspettato.
Questo aspetto disturbante della narrazione della Lindenbaum si mostra con forza nell’ultimo libro arrivato in Italia, Il piede di Freki, che racconta una storia in un’ambientazione perfettamente quotidiana e riconoscibile entro cui non ci si aspetterebbe niente anormale e invece…
L’apertura dell’albo sembra in effetti molto rassicurante: un bambino piccolo, dopo aver scartato la scatola regalo che conteneva delle attesissime scarpe da ginnastica nuove - che nell’immaginario dei bambini rappresentano qualcosa di molto affine agli oggetti magici in dotazione ai supereroi (dai talari di Ermes fino ai gadget degli eroi Marvel) -, si mette a dormire con le scarpe indosso.
Lo shock che innesca la storia accade la mattina successiva quando «Freki scopre che una delle scarpe è scomparsa. A guardare meglio, vede che è svanito anche il piede».
Nulla di più normale.
Per nulla disorientato dalla “perdita” del piede Freki non inizia a zoppicare, non ha bisogno di una stampella o di un bastone, non perde l’equilibrio, semplicemente cammina senza che il suo piede sia più visibile.
Appurato che la scarpa con il piede dentro non si è nascosta in nessun anfratto della camera o del bagno, a Freki non resta che rivolgersi alla mamma, comunicandole l’urgenza di dedicare la mattinata alla ricerca della scarpa e del piede.
La tavola della cucina ci mostra la mamma alle prese con un disgustato neonato che non ha nessuna intenzione di nutrirsi della pappetta che gli sta davanti e una mamma a corto di tempo e di sonno che con i capelli bagnati e con due occhiaie ben marcate cerca di imboccarlo: una situazione perfettamente realista che stride con l’impensabile sparizione di un piede. Tuttavia anche l’adulto con disinvoltura accetta che l’inverosimile accada, ammettendo che la priorità possa essere che un bambino si diriga da solo alla ricerca della sua scarpa e del suo piede.
Freki è molto sistematico: prima scrive degli biglietti da appendere nel quartiere e poi si dirige, dotato di zaino con merenda, alla ricerca in città.
Trama e ordito si intessono in modo eccentrico. Se infatti la trama si caratterizza per una descrizione quasi iperrealista, ben dettagliata dalla mamma che si asciuga i capelli, dal fratellino che raccatta cibo sul pavimento, dagli scorci cittadini con gli avvisi affissi sopra gli alberi dei viali e le villette a schiera, l’ordito, invece, parla di un mondo inverosimile di cui è difficile scorgere e identificare delle regole sensate. Il primo «signore» che Freki incontra è un tasso con gli stivaloni da cowboy:
«un signore con gli stivali si ferma subito a leggere. “Che fortuna”, dice. “Ho appena trovato una scarpa solitaria. Prego, provala!”»
E Freki, pur non avendo il piede, riesce a provare la scarpa, rendendosi conto che non è la sua (e forse gli va pure un po’ larga!).
La coerente assurdità continua perché lo spazzacamino gli suggerisce che la scarpa possa essere stata accalappiata dall’accalappiascarpe, facendo sprofondare Freki nello sconforto al pensiero che la sua fiammante scarpa rossa possa trovarsi tra spazzatura e robaccia.
Continuando nel suo viaggio di ricerca Freki attraversa un bosco, apparentemente realistico che, però, ancora una volta suggerisce di essere regolato da altre leggi tanto che «un po’ dappertutto sul sentiero ci sono scarpe smarrite. Ma nessuna si muove», come se fosse del tutto normale trovare disseminate per un sentiero scarpe che possono addirittura muoversi.
Nell’incontro con una fiabesca cappuccetto rosso che le indica la città il protagonista ha un’intuizione che potrebbe essere vincente:
«ovvio che una scarpa veloce voglia andare in palestra a fare sport!»
I tentativi di trovare la scarpa continuano, così come continua l’assoluta condiscendenza degli adulti che non si stupiscono della richiesta del bambino che cerca una scarpa veloce e bella con dentro un piede: non lo farà la custode della palestra, non lo farà il calzolaio («“oggi non ne abbiamo nessuna con il piede”»), neppure la poliziotta, che un po’ bruscamente lo invita a cavarsela da solo, non è colpita dalla richiesta piuttosto stravagante.
Questo travaso tra mondi che sembrano sovrapposti ha dei riscontri evidenti a livello illustrativo: ai più attenti non sfuggirà che la bambina alla stazione del tram, senza una scarpa, sia accompagnata da un adulto che al posto dei pantaloni mostra delle gambe ferine e che in palestra pronto per andare a giocare a volano ci sia un tasso…
L’apice dell’assurdità però è certamente raggiunto nel finale di questa storia, che non risolve niente.
Freki infatti non trova la scarpa e da quel giorno gira con un solo piede, attendendo più o meno speranzoso che prima o poi il piede e la scarpa ritornino a farsi vivi. Punto.
È interessante come questo albo inviti ad una scomodità e a una non comprensione che lascia inquieti. Eppure proprio in questa instabilità, data dall’intrecciarsi di mondi e di modi di leggere il mondo, nasce un attraente invito alla sospensione, una dimensione quest’ultima che la contemporaneità oggi non contempla, irreggimentata e forse omologata in un continuo travaso di contenuti uguali a se stessi. Sappiamo stare in equilibrio anche senza un piede? E abbiamo fiducia che i bambini possano cavarsela da soli?