Il giardino di mezzanotte è un romanzo intrigante molto bello che si costruisce passo a passo intorno a uno dei temi e delle metafore più care ed efficaci della letteratura per l’infanzia, quella del giardino segreto.
In un’Inghilterra che immaginiamo degli anni ’60-70 il giovane Tom viene allontanato da casa, perché suo fratello Peter ha preso il morbillo e, suo malgrado, il fratello maggiore deve fare le valigie per andare a trascorrere l’estate, in quarantena, nell’appartamento degli zii senza figli e senza giardino.
Come potete immaginare, la soluzione è quanto mai odiosa agli occhi di Tom che è molto recalcitrante e addirittura astioso con il fratello per quella che è, nel suo immaginario, una condanna senza scappatoie. Non a caso il primo capitolo è intitolato Esilio.
Le descrizioni dello stato d’animo di Tom sono molto vivide e si contrappongono al formalismo e al perbenismo rigido degli zii che appaiono freddi e ottusi, chiusi in un borghese e lindo status che non ammette urla, non permette sporco, non accetta domande dirette e schiette, ma accoglie il piccolo Tom nella certezza di avergli offerto la miglior sistemazione del mondo.
Tuto cambia quando Tom incontra una pendola, che fa parte della vecchia casa originale da cui sono tratti gli appartamenti, uno dei quali occupato dagli zii. Una vecchia pendola bizzarra che batte i colpi casualmente e che di notte batte addirittura 13 colpi: ma che orario è mai quello oltre i 12 rintocchi?
«Era ridicolo: lo sanno tutti che non ci sono tredici ore in una mezza giornata, proprio no. Ma perché allora l’orologio aveva detto che c’erano? Impossibile negarlo.»
Tom esce dal letto deciso a confrontarsi con la pendola sbadata, incapace di tenere il ritmo delle ore giuste e in quell’attimo, in cui il bambino si allontana dall’appartamento per scendere nell’altro della vecchia casa, una magia impercettibile accade e la porta che dovrebbe dare sul vialetto delle autombili si apre, invece, e svela a Tom un giardino incantato, fuori dal tempo o meglio dentro al tempo in cui la vecchia casa era abitata da un’unica ricca famiglia, circa cent’anni prima.
Da quell’istante il giardino segreto, che apre i suoi battenti solo a Tom nella 13ª ora, cioè in quel tempo inesistente (?) dopo la mezzanotte, regalerà al bambino la più grande delle avventure.
All’interno del giardino Tom può interagire con tutto, senza essere visto praticamente da nessuno: solo un burbero giardiniere e una bambina, la piccola Hatty, lo vedono. Da quell’istante l’estate sarà di Tom e Hatty: case sugli alberi, archi di rami, frecce, giochi nella serra, tesori nascosi, nascondini, oche, cadute, esplorazioni…
«la pendola continuava a battere, come se avesse perso il conto del tempo; e mentre batteva, Tom, con la gioia nel cuore, tirò il chiavistello, abbassò la maniglia, aprì la porta e uscì nel suo giardino, che (adesso lo sapeva) lo stava aspettando».
Le descrizioni sono ricche di dettagli e spunti sensoriali e ci immergono nell’universo letterario dell’autrice:
«prima imboccò i vialetti più esterni, coperti di ghiaia e cinti da siepi di bosso […] Passava sotto il buio dei tassi che si univano a creare una galleria da una parte…»
La suspense si insinua piano piano nella percezione del lettore. Dopo la sopraffazione stupita del miracolo del giardino, essa diventa sempre più imponente: perché solo Hatty vede Tom? Il giardino è un sogno? Un’illusione? Hatty è morta? È un fantasma? Perché i suoi cugini la trattano come un’estranea?
«La sua mente continuava a tornare a certe cose che la turbavano: il bel tempo costante, il rapido andirivieni delle stagioni e delle ore del giorno, la sensazione di essere osservato. Una notte quel disagio assunse un significato.»
«La bambina gli aveva davvero fatto la linguaccia. Lei lo vedeva»
La ricostruzione della storia, del giardino e di Hatty si compone notte dopo notte:
«non riusciva mai a resistere. In quel primo giorno, e per tutti quelli che seguirono segreti e storie si riversarono da Hatty in un flusso rapido e denso, come se temesse di perdere la compagnia di Tom di lì a poco» (p. 84)
Ma accanto alla ricostruzione strutturale della fabula, la narrazione è densamente abitata dal racconto del gioco e dell’avventura infantile:
«tutte le notti, quando entrava nel giardino, si dimenticava di essere un investigatore, e ricordava solo di essere un bambino, che quello era il giardino per un bambino e che Hatty era la sua compagna di giochi» (p. 88)
L’avanzare degli eventi tiene il lettore incollato alle pagine e, nella progressiva ricostruzione del legame che c’è tra il mondo di Tom e quello del giardino di mezzanotte, la storia si compone, intrecciando presente e passato, ma lasciando sempre lacune che sembrano custodite dalla pendola, oggetto liminare che suggella i due mondi.
«Tom stava pensando al Passato, che il Tempo rendeva così lontano. Il Tempo aveva preso questo Presente di Hatty e ne aveva fatto il suo Passato. Eppure, qui e ora, per un po’, in qualche modo diventava anche il suo Presente, suo e di Hatty» (p. 153)
«“Ci vediamo domani” disse Tom. Hatty sorrise. “Lo dici sempre, e poi spesso passano mesi e mesi prima che torni” “Ma se vengo tutte le notti” disse Tom» (p. 156)
Il tempo si mostra come un giano bifronte, amico e nemico, ed in effetti il tema del tempo è portante in questa storia in cui il passato e il presente giocano ed intrecciarsi, tra fantasmi, morte e sogni.
«non vi sarà più Tempo, l’angelo della pendola l’aveva giurato. Ma se il Tempo deve finire, vuol dire che il qui e ora è solo qualcosa di temporaneo. Forse se ne può fare a meno; o meglio, lo si può eludere.Tom forse sarebbe riuscito a sgattaiolare dietro la schiena del Tempo per avere il Passato (ovvero il Presente di Hatty e il giardino), qui, ora e per sempre. Per riuscirci naturalmente doveva capire com’è che funziona il Tempo» (p. 175)
Il tema del giardino dell’infanzia, del luogo in cui essere i bambini, del tempo fuori dal tempo, del tempo della potenzialità infinita (che emozione per Tom poter salire sulla cattedrale di Ely, dove lo zio non lo ha portato!) si intreccia a un racconto con una solida struttura narrativa che ricorda la tradizione delle storie di fantasmi inglesi, intrecciando ciò che è immaginato e sognato ad una realtà (l’episodio dei pattini è, in questo senso, significativo).
L’estate di Tom il suo giardino segreto non sono un’immaginazione, ma si intrecciano ad un sogno: il finale realissimo allontana questa avventura da ogni mentalismo e la consacra a classico, giustamente.
La graphic novel che Edith riscrive sul testo originale di Philippa Pearce è interessante, soprattutto per l’evidente amore dell’autrice per il romanzo originale (come testimonia anche la postfazione). I dialoghi sono ripresi spesso letteralmente dal romanzo e chi ha amato le parole della Pearce non può che ritrovarsi tra le pagine illustrate dall’illustratrice francese. Certo si perde la costruzione della suspense e la bellezza illuminante delle descrizioni che, illustrate, regalano solo lampi fugaci della puntigliosità narrativa. La palette di colori, ad esempio, è molto uniforme e assai diversa da come io ho immaginato cambiare il giardino nelle diverse stagioni!
Credo in ogni caso che la trasposizione sia fedele e ben fatta. Un approccio soft perché i lettori possano incuriosirsi avvicinarsi ad un racconto intenso e stupendo.