Una barchetta di carta fragile messa in acqua: riuscite a immaginare qualcosa di più effimero, fragile e destinato a perdersi? Eppure questa piccola barchetta di carta, piegata e affidata al mare da due personaggi i cui contorni sono difficilmente leggibili (c’è un cavaliere con una giacca da ussaro con gli alamari ben abbonati e una luna che perfora la sua testa come un corno, insieme ad un ragazzo in jeans e maglietta a righe) prende il mare, incomincia Il viaggio.
In una tavola dove la profondità del mare e la vastità bianca del cielo che lo sovrasta sono imponenti, la barchetta quasi si perde.
La vastità del mondo e la piccolezza della nostra protagonista sono le prime impressioni che questo viaggio ci regala: spersa in questo mare che sembra infinito ed uniforme, la pagina prende profondità in una vertiginosa escalation creata dagli uccelli marini - probabilmente una sula dai piedi rossi e delle sterne, tipiche delle isole Cayman - che ci risucchia in cielo.
Peter Van Den Ende, l’autore, ha vissuto infatti come guida-biologo per tanti anni nelle isole Cayman e questa storia credo sia, in parte, un tributo a quei luoghi.
La barca è piccola ed è lontanissima, la prua fende l’oceano, infinito.
Il gioco dialettico tra il sopra il sotto è evidente: il mare, la materia liquida, si fa soffitto, perdendo la sua caratteristica di trasparenza e leggerezza, per farsi confine velo permeabile, tra un sopra inizialmente bianco e vuoto e un sotto che è un brulicare di vita in cui pare quasi non esserci spazio per respirare, in un horror vaqui che è un pullulare di vita.
Attraversano questa membrana alcuni animali marini, incuriositi dalla piccola protagonista, ma anche in questo caso rimane sempre qualcosa di ambiguo: le tartarughe sembrano piccolissime se paragonate alle dimensioni della barchetta, il pesceluna gigantesco… l’occhio del lettore non riesce a orientarsi o è forse un mondo dove le regole cambiano pagina dopo pagina?
Gli incontri continuano ad essere sorprendenti: i pesci mostrano corpi umanoidi che non ci aspetteremmo, dalla barca appare una canna da pesca: ma c’è qualcuno che governa il nostro vascello di carta?
Il bianco il nero giocano tra di loro, sotto il mare è buio e gli occhi dei pesci sembrano brillare inquietanti nella foresta fittissima disegni tracciati e segnati col pennino, uno ad uno, i volumi tondeggianti, le volute dei movimenti dei banchi di pesci, le costruzioni architettoniche dei coralli, si avvolgono in spire che sfondano una pagina, donando un movimento che ricorda quello dei dannati delle chine di Gustave Dorè, movimenti imperituri.
Il viaggio continua tra le mangrovie: sopra gli uccelli marini - all’apparenza aironi - paiono quasi come i frutti mollemente appoggiati tra i rami, sotto i coralli, la trama di esseri viventi pullulanti. Siamo sopra o siamo sotto? Sono iguane o sono murene?
E quella è una lepre di mare maculata che cavalca un’aragosta?
L’incanto e lo stupore per la vita sommersa che si fa presente e dialoga con la piccola barchetta quasi distoglie l’attenzione da una domanda fondamentale: dove siamo diretti?
Non facciamo in tempo a soffermarci che la nostra protagonista torna a farsi piccolissima accanto ad una balena che fuma la pipa e poi ad un mostruoso polpiforme pesce lanterna. Cala il sole, i tratti neri si infittiscono e conquistano l’intera volte celeste: la notte si abita di esseri viventi che vengono da un altro mondo, onirico, certamente magico e inaspettato. Il pesce luna si fa luna, le stelle e gli occhi dei pesci si confondono in un’unica galassia punteggiata di punti luce come piccoli fari. Non c’è più sopra o sotto.
Sorge di nuovo il sole, il sogno scompare, al suo posto gigantesche navi umane la morte che portano con sé: uccelli e pesci cadono come foglie da un albero, dolenti. È un attimo, ma cambia ancora tutto e quello che sembrava uno spazio antropico viene percorso nuovamente dall’immaginazione: palombari o esploratori, elettricità, schizzi, bolle, spari cavalieri apocalittici, aquiloni, Nautilus come barche. Riappare l’ufficiale ussaro che aveva con amore dato piega alla barchetta, con la sua luna conficcata nella testa e un equipaggio di cavalli pomellati, omini senza occhi, giullari dalle dita campanello che giunge a soccorrere la piccola barca in balia della tempesta. Il nero dappertutto.
Siamo in mezzo a una guerra?
I labirinti naturali, il dentro-fuori, i canali e i tunnel che avevamo attraversato tra la radici delle mangrovie e poi tra i ghiacci tornano, questa volta nelle spire infinite di un serpente marino che attraversano il sopra e il sotto e avvolgono o guidano la barca al di fuori delle volute della tempesta.
Al sorgere del sole è un fiorire di meduse: dov’è il cielo? Dov’è il sotto? La barchetta ferita sembra abbandonarsi all’abisso. È un nuovo cielo quello che la barchetta incontra nelle profondità del mare, fatto di galassie, stelle, astri e pianeti che appartengono a un cielo nero altrettanto luminoso.
Ma no, non è la fine, un aiuto inaspettato giunge. Torna all’aria la barca, gioca con le foche (ma è possibile che siano così piccole?), il cielo sgombro, sott’acqua foreste di kelp.
C’è un palombaro in groppa a uno zebrato animale marino che raccoglie perle, creature dalla faccia di stella e costumi da bagno rigati che si arrampicano sulle boy. Il viaggio continua entriamo in una città: aumentano barche, appaiono serre marine, balene in tuta da sommozzatore, umani, mostri, pesci… I codici che regolano questo mondo ci sfuggono, ma riconosciamo qualcosa di familiare. Le volute del mondo marino si traducono in volute architettoniche, è una città di ponti e archi, le luci degli occhi dei pesci così come le stelle ora trapuntano la città grazie a piccole finestre illuminate. La barchetta non ha perso la sua placidità ma, quanto mai determinata, avanza: la compagnia eclettica, incontrata in mare la saluta, ma non è questa la sua destinazione. Eccola la meta, il porto sicuro: una casa poco appariscente, ma con la porta aperta, come di qualcuno che stia aspettando.
Il viaggio che vi ho descritto con queste parole, ma che potrete descrivere con le vostre le 1000 e più volte che percorrerete la rotta di questo viaggio rendono solo una pallida eco della ricchezza e della bellezza custodite in queste quasi 100 pagine silenziose e mute.
Un silent book davvero magnifico che lascia senza parole, a partire dalla percezione dell’imponenza del lavoro illustrativo che colpisce nella sua perfetta irregolarità e immensità.
La precisione tassonomica con cui le diverse specie marine delle isola Cayman vengono descritte è pari solo all’eccentricità e che emerge inaspettata.
Il reiterarsi delle linee sottili che sembra uniforme, ma che è mosso e unico (non c’è un’onda uguale ad un altra!) fa scorrere l’occhio su superfici che costruiscono immagini tridimensionali.
Una storia sulla fragilità e la tenacia che vi risucchierà. Per tutti.