Anche quella di oggi è una storia che parla - indirettamente - della Shoah, improntando il suo racconto sulla speranza e il bene che, anche in questo orrore, tante persone comuni hanno avuto il coraggio o semplicemente l’intuizione di fare.

Quella raccontata dall’artista ceco Peter Sís in Nicky e Vera è la storia di quello che potremmo definire “un eroe per caso” e di una bambina, i cui destini si intrecciarono.

Il nome di questo eroe è Nicholas Winton, un giovane benestante inglese che, ai primi del Novecento, ebbe la rara e preziosa possibilità di viaggiare in Europa, di diventare schermidore, di allevare i piccioni, di divertirsi… un uomo dai mille interessi che nel 1938, mentre programmava l’ennesima vacanza sulla neve, si accorse il mondo stava cambiando e che forse lui poteva fare qualcosa.

Una vacanza sulla neve: quanto di più lontano e stridente riusciamo ad immaginare se pensiamo al mondo nel 1938, all’alba dell’esplosione del secondo conflitto mondiale?

La storia si interrompe e l’autore passa a raccontarci di un’altra vita, quella di Vera che nel 1938 aveva solo 10 anni e viveva con la sua famiglia in un paesino vicino alla grande città di Praga.

La vita di questa bambina doveva essere molto diversa da quella di Nicholas: pochi soldi, un orizzonte che a mala pena si affacciava sulla città di Praga, una vita contadina per nulla internazionale, eppure ciò che accomuna queste due persone era che entrambe vivevano una vita felice.

Vera era una bambina ebrea: lei e la sua famiglia «erano orgogliosi cittadini della neonata Cecoslovacchia», non sentivano alcuna differenza nel loro essere ebrei, erano semplicemente tutti cecoslovacchi.

Sappiamo però che in quel periodo non tutti credevano a questa evidenza.

Fu come un’illuminazione e Nicholas (Nicky), forse ancora con gli sci e le piste innevate in testa, intuì che con la guerra sempre più imminente poteva fare qualcosa per le persone che iniziavano a temere per la loro vita: 

«l’Inghilterra avrebbe accolto i rifugiati minori di diciassette anni, ma prima bisognava trovare famiglie che li ospitassero, e organizzare il viaggio».

E così questo trentenne senza nessun altra ragione e senza nessun’altra preparazione specifica, forte solo dell’essersi accorto di ciò che andava fatto, mise su un ufficio «fece liste di bambini. Si procurò le loro foto. Studiò i collegamenti ferroviari. […] Non c’era tempo da perdere».

Dietro un’organizzazione di questo tipo, dietro gesti che sembrano immensi a volte si pensa ci sia bisogno di una programmazione, di un’organizzazione finemente rodata…questa storia invece ci racconta come il bene possa essere fatto con semplicità, un bene di dimensioni colossali portato avanti da una semplice intuizione.

«Nel marzo del 1939, l’esercito tedesco invase il resto della Cecoslovacchia»

Da quel momento nessuna famiglia ebrea fu più al sicuro, ma grazie a quel movimento che aveva messo in moto Nicky, Vera insieme ad altre 76 bambini poté lasciare, nella notte, con il primo convoglio la Cecoslovacchia e arrivare dopo tre giorni e tre notti a Londra.

Possiamo solo immaginare lo sgomento, la paura, i pianti di quei bambini che, facendosi forza solo della loro capacità e delle raccomandazioni dei propri genitori, senza nessun adulto che li accompagnasse, fecero quel viaggio e si affidarono alle cure di sconosciute famiglie inglesi.

Possiamo solo immaginare l’angoscia, il dolore, lo strazio di quei padri e di quelle madri che intuirono che l’unica salvezza per i loro figli era affidarli alla provvidenza e a un treno che fuggiva nella notte.

Da quel giorno in interrottamente per poco più di sei mesi partirono otto treni da Praga portando in salvo 669 bambini.

Poi la Germania invase la Polonia e da quel momento i treni non poterono più varcare il confine: in uno di questi - ci ricorda l’autore - c’erano i cugini di Vera.

«Nicky non poteva più fare nulla. Mise via le sue carte. Si arruolò in guerra come conducente di ambulanze»

Il tempo sembra scorrere veloce, la storia ci racconta cosa è successo dopo la guerra: Vera non ritrovò più la sua famiglia, morta nei campi di sterminio, però ebbe salva la vita, potè sposarsi ed avere dei figli.

Nicholas, d’altra parte, non raccontò a nessuno di quello che aveva fatto, come se la sua azione non fosse stata importante, solo necessaria, come nutrirsi o respirare. Solo quando ormai era già avanti con l’età questa storia incredibile venne scoperta e raccontata al mondo.

È incredibile riguardare i video e le fotografie che documentano il ritrovarsi nei sopravvissuti di quei viaggi in treno e l’inconsapevole Nicholas che aveva visto quei bambini solo nelle fotografie contraffatte con cui permise loro di raggiungere Londra.

Le parole dell’artista ceco si intrecciano a quelle del diario di Vera: questa bambina infatti registrò e raccontò tutto il suo viaggio e ancora adesso rappresenta una delle fonti principali di questa vicenda.

Le illustrazioni che accompagnano questa storia richiamano quella della tradizione ebraica: ci sono molti riferimenti all’opera di Marc Chagall lo stile naïf si arricchisce di simboli e segni. Solo il colore differenzia l’orrore dalla felicità: nessuna scena cruda, nessuna violenza innerva queste pagine, ma la mancanza di vita è resa evidente in tavole dove solo il grigio e una geometria disumana si impongono sulla pagina.

Ancora una volta ho scelto questa storia vibrante di speranza e di vita che testimonia come i gesti di bene possano nascere dalla semplice osservazione di ciò che accade e che non abbiano bisogno di grandi programmazioni. Il bene si può fare sempre.

La parola “eroe” spesso segna una distanza tra la figura narrata e i lettori, invece la dichiarazione di Nicholas a commento di ciò che aveva fatto («Ho visto solo quello che andava fatto ») è un invito e un una provocazione capace di interpellare qualsiasi lettore che si accosti a questa vicenda. 

Anche tu puoi fare lo stesso oggi come ieri.

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Nicky & Vera. Storia di un eroe discreto della Shoah e dei 669 bambini che salvò Peter Sís 64 pagine Anno 2021 Prezzo 18,00€ ISBN 9788817159210 Editore Rizzoli
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