C’è ancora bisogno che qualcuno dica che la guerra è insensata? Poeti, scrittori, filosofi, artisti lo ripetono dall’inizio dei tempi e le loro storie, un fiume di testi che collega l’antichità alla contemporaneità, dicono solo una cosa: la guerra non porta mai a niente di buono.
«Se c’è una cosa che si impara dalla Storia è che nessuno impara mai dalla Storia. William Golding»
Lo ricordiamo oggi con un testo del VI secolo a.C. attribuito ad Omero la Batracomiomachia, ovvero La battaglia delle rane e dei topi in una spettacolare edizione per i tipi de L’ippocampo.
La definizione che troverete del testo è “scherzoso”, “parodia”, eppure in questo poemetto non c’è nulla che faccia ridere o sorridere, perché, sebbene le figure animali “facciano il verso” alle epiche vicende della guerra di Troia, la guerra degli umani, lo scontro che si consuma intorno a questo stagno non mostra meno drammaticità o meno orrore.
Grazie a un finissimo lavoro di cartotecnica, le canne, i rovi e i fili d’erba che circondano lo stagno diventano veri e propri varchi, uno palcoscenico quasi animato che offre una tridimensionalità teatrale, unita a delle meravigliose illustrazioni di Daniele Catalli.
«Ecco la storia di un solo giorno. Quello in cui i topi marciarono contro le rane»
In una giornata qualunque una rana e un topo si incontrano, senza acredine, anzi con una curiosità che diventa spontanea condivisione.
«Gonfiagote riflette in silenzio, poi dice “Bevi, topolino, dissetati, l’acqua non manca e il mio regno racchiude meraviglie. Vuoi scoprire i suoi splendori? Svelto, saltami in groppa e stringiti forte. Sarà un viaggio indimenticabile!”»
Poi un incidente, una svista, una tragica disgrazia… Rubabriciole, il piccolo topo muore annegato.
Le immagini sono tutt’altro che neutre e non si limitano a ricreare un contesto suggestivo: le prime pagine - se ci fate caso - creano tra i fiori il profilo di un teschio, ombra e presagio di ciò che sta per accadere.
Rodipane parla al suo popolo:
«“Questa tragedia non è soltanto mia, è la nostra. È la tragedia del Topo”»
La rabbia monta, l’odio rende ciechi, la violenzia rende soprattutto anonimi: i topi si preparano per la battaglia.
Percepiamo l’iniziale incredulità del popolo delle rane, eppure l’ombra ideologica della morte li inghiotte in un attimo:
«“Cos’ho mai fatto perché ci dichiarino guerra? […] Mostriamo il nostro coraggio a quei musi grigiastri, ne va del nostro onore. L’onore della Rana»
Parole come coraggio, come onore vengono piegate all’orrore dell’invito alla guerra e a nulla valgono le parole di chi nel marasma conserva lo sguardo lucido della verità:
«“Pazze che siete! Tanti topi moriranno e ancor più rane non vedranno la luce dell’indomani. Lo stagno sarà avvelenato per molte estati e non offrirà più ai sopravvissuti un luogo dove cantare e gracidare sereni. Un topo è morto. Meglio sarebbe onorarlo insieme ai topi, piangerlo con loro”»
«“SCORRA IL SANGUE! MORTE AI SOZZONI»
Quando la morte viene così invocata essa accorre. Le parole di Omero così come le illustrazioni di Catalli non risparmiano dettagli: piccoli duelli, scontri incrociati, vittorie che durano un secondo per trasformarsi in morte. Decapitazioni, teste fracassate, corpi trafitti. Le linee e i colori si mischiano in un caotico accavallarsi, mentre la bellezza della natura sembra sgomenta.
I papaveri che brillano sul campo di battaglia ai primi scontri sono un chiaro presagio del sangue che scorrerà, simbolo dei caduti che non si rialzeranno.
La scontro è equilibrato, ovvero le morti si equivalgono: è un massacro. Rane e topi pensano che un duello sarà la risoluzione, un duello dove anche l’onore ha perso il suo peso. Morte, morte, solo morte.
«“Tu combatti con onore, Godilacqua!” Risponde la rana: “Di chi difendiamo l’onore? Oggi di noi due ne sopravviverà uno solo, ma ricorda che nessuno sopravvive alla guerra”»
Nessuno sopravvive alla guerra. Quello che rimane è desolazione, putridume, devastazione, orrore. Non solo. Perché l’ottusità dei protagonisti travalica l’oggettiva drammaticità della morte, per riaffermare con una stupidità imbarazzante la “propria” della vittoria (sia i topi che le rane sostengono di aver vinto!), suggerendo come la manipolazione del racconto della guerra abbia il potere di cancellare una realtà fatta solo di orrore, sangue, morti e perdite.
È nella solitudine di ogni cuore che il discorso ufficiale non regge, come ci ricorda la rana Salterello, nel campo di battaglia, piegata a piangere sul compagno di avventure estive il topo Campagnolo.
Questo poemetto che ha in sé tutti gli stilemi che appartengono la favola è un monito chiaro e non fraintendibile di che cosa significa venir meno all’umanità e ricercare la morte.
Piangiamo insieme il morto annegato, suggeriva il Godilacqua, ma nessuno lo ha ascoltato.