Aggiornamento maggio 2019: per Zoolibri arriva la traduzione italiana!
-------------------------------------------
Sono immersa in una settimana pazzesca: tra lezioni, scadenze di lavoro, letture ad alta voce alla scuola di Saverio, treni che partono alle 5, incontri che iniziano alle 21, turni al banchetto biblioteca, torte per le merende dell’asilo, recupero delle 22.000 lavatrici non fatte in 2 giorni di ponte, cane ammalato, auto con spia “rottura del motore” preoccupantemente accesa… e normale amministrazione della casa; spero di uscirne viva! Tuttavia, in un modo o nell’altro, in questi giorni non si può non far altro che parlare di mamme. Come in tutte le feste più importanti, anche quella che mi vedrà domani armata di teleobiettivo e lacrimoni di commozione, le festeggiate non hanno alcun merito: io sono diventata mamma, non per merito mio, non perché l’ho voluto (certo l’ho desiderato con ogni fibra del mio corpo, ma il desiderio non basta!), ma perché ci è capitato (a mio marito e a me!) un dono grande: il nostro Saverio, un patatone così meraviglioso ed incredibile che ci ha lasciato da subito gratamente stupiti. La storia di oggi è dedicata a me e a tutte le mamme per ringraziare dei miracoli che solo piccole manine sono in grado di compiere.
Il cuore e la bottiglia (Heart in the bottle) è un meraviglioso libro di Oliver Jeffers. Direi che è il mio preferito in assoluto tra i meravigliosissimi libri dell’illustratore irlandese-australiano-americano :)
Girovagando tra gli stand americani della Fiera di Bologna lo vidi spiccare, con il suo giallo canarino, dal desk di uno di quegli stand costruiti per non avere romantiche blogger perdigiorno tra i piedi, ma io con una faccia-di-tolla-le-tue-occhiate-manco-le-vedo me ne sono appropriata e me lo sono letto. Tornata a casa è stato il primo ordine che ho fatto (o forse l’ho fatto direttamente dall’iphone tornando a casa).
La storia racconta di una bambina come molte altre, una bambina piena della curiosità per il mondo: una bambina che davanti alle stelle si chiede se sono api incendiate, che vuole andare a conoscere le balene e che per una ragionevolissima esperienza del mondo pensa ad un mondo pre-copernicano… Una bimba di 4 anni, insomma, che vive con un papà straordinario – o che ha un nonno straordinario (non sono riuscita a capire chi sia) – uno di quei grandi che non ti condisce via con un «Non puoi ancora capire!», o «Te lo spiegherò quando sarai grande!», ma prende la barca e viene con te al mare, si sdraia con te sotto una coltre di stelle, prende l’enciclopedia e ti spiega la nascita delle piante. Una vita piena, quella della piccola, una vita entusiasmante e pulsante, finché un triste giorno quella poltrona di legno, comoda e un po’ usurata, dalla tappezzeria a rose viola è vuota, quello straordinario “grande” se n’è andato. Il dolore della bambina è, come i dolori dei bambini, assoluto e infinito (nel senso che non si vede la fine!), il tradimento è bruciante, la situazione insostenibile: l’unica soluzione è prendere il suo cuoricino sanguinante e metterlo in una bottiglia. Così sarà al sicuro e «that seemed to fix things… at first.». Ma quasi senza accorgersene la bimba smette di accorgersi delle cose e, crescendo, pur passeggiando accanto al mare e pur camminando sotto le stelle, non vede né l’uno né l’altre. La ragazza non si interessa più a niente. Il suo cuore è pesante nella bottiglia, ma è al sicuro e lì deve stare, giorno grigio dopo giorno grigio, mattina vuota dopo mattina vuota. Finché un giorno: «Gli elefanti possono fare i sub?». « ». Niente, vuoto, pagina bianca, anzi beige. Oliver non ci racconta la reazione della scompigliata bimba rossa, ma la nostra bionda protagonista sembra urtata dalle 10 tonnellate dell’elefante. Come si fa a non saper rispondere? Le risposte saranno rimaste chiuse nel cuore: bisogna spaccare la bottiglia. I tentavi che vengono messi in atto sono frutto delle ironiche, surreali e impensabili ipotesi già viste nei libri di Oliver Jeffers, ma sempre (e dico sempre) capaci di strappare risate («ma dai mamma, l’aspirapolvere?!? Oh no! Ma che sega è???»). Ma non funziona così: c’è bisogno di piccole mani. E così «The heart was put back where it came from». E il mondo riprende il suo colore, il suo odore, i suoi rumori: il cuore pulsa e la vita ricomincia.
Io ho vissuto esattamente questa storia, perché il mio cuore, sebbene amato infinitamente, era finito in una bottiglia e gli ci sono volute delle manine dalle dita lunghe e le loro unghiette fragili per rimettermelo nel petto e farmi di nuovo accorgere delle cose belle e meravigliose del mondo, per farmi rinascere la voglia delle avventure e delle risate.
Grazie Saverio, la tua mamma ti vuole bene fino allo spazio e ritorno!
P.S. probabilmente avrete pensato che il libro sia per adulti, invece con sommo e inaspettato stupore ho dovuto rendermi conto dell’amore di Saverio per questo libro, di cui coglie probabilmente solo la vicenda letterale “semplice”, ma che ama molto!
Davvero una coincidenza incredibile! E grazie per le tue parole
Incredibile leggere questa recensione, trovare le stesse sensazioni e perfino lo stesso nome dei nostri figli. Viva i nostri Saverio che ci fanno scoprire cose bellissime
Sì era proprio quello! Spassosissimo!
Tremendo quando succede: io mi mangio le mani!! Tu parli di Nei guai, che fu proprio il nostro primo approdo a Oliver Jeffers (https://www.scaffalebasso.it/la-ridarola/ ) un libro che trovai geniale, proprio perché assurdo. Oliver Jeffers non mi sembra mai cercare il compiacimento dei bambini, osa in modi davvero inaspettati e come dici tu, riuscendo sempre a raggiungere il cuore dei sentimenti. Tra l’altro questo libro (che tradurranno presto in italiano!! Finalmente!) piace moltissimo anche a Saverio, perché in fondo – io credo – sorride, ma parla di un’esperienza molto umana.
Non tutti riescono ad essere adulti come quello in poltrona e non tutti riescono ad accorgersi che il proprio cuore è in bottiglia, bisogna sperare anche di avere mani a disposizione capaci di ripescare il proprio cuore!
Il mio messaggio si è perso per colpa del capcha. Sgrunt!
Beh, dicevo che conobbi Jeffers con un libro che trovai in biblioteca, a colpo d’occhio riproponeva lo schema abbastanza consueto nei racconti per bambini del gesto o dell’azione ripetuta fino al parossismo, ma lo faceva tirando fuori una vena comica inusuale, che rasentava la farsa, e sconfinava nell’assurdo.
Quel libro (che mi pare in italiano suonasse qualcosa come “che guaio” o “che disastro) piacque inaspettatamente ad entrambe le mie figlie, malgradoil divario di età e di gusti (la mia grande penso abbia più o meno l’età del tuo Saverio, 5 anni a luglio; la piccola ne compie 2 a momenti)
Io lo trovo fantastico per questa sua capacità di portare all’estremo le metafore verbali creando mondi surreali, ma riuscendo comunque a eviscerare il cuore dei sentimenti. La sensazione descritta in questo libro mi è familiare, e credo lo sia a molti genitori che si riscoprono vivi nel rapporto coi propri figli, dopo aver lasciato per troppo tempo l’infanzia in una zona confinata del ricordo.
Del resto avevo avuto prova della profondità di questo autore nel descrivere i sentimenti anche in “Chi trova un pinguino”…
Ti ringrazio per la segnalazione di questo libro che mi incuriosisce molto. Non tutti riescono ad essere degli adulti come quello cseduto in poltrona su queste pagine. Ma uno ci prova…