Non voglio aggiungere molto alle parole che Nicholas Jubber ha dedicato al suo lavoro in un fitto e cordialissimo dialogo che ho avuto con lui durante la Bologna Children’s book fair. Nicholas è uno studioso appassionato, gentile, generoso e preciso nel ricostruire il suo lavoro che è convogliato in un bel volume per Bompiani: I raccontastorie. Un viaggio nella storia segreta delle fiabe e dei loro autori.
Questo libro ha due anime, come lui stesso racconta. Da una parte una riproposizione di fiabe perdute, ritradotte o ritrovate in manoscritti e studi recenti che vengono riproposte ai lettori in una veste curata (le trovate in pagine elegantemente incorniciate), dall’altra una puntigliosa e suggestiva ricostruzione dei luoghi, degli ambienti culturali, della storia che circondava e in cui erano immersi i narratori orali, i primi raccoglitori di fiabe, gli autori delle fiabe di tutto il mondo.
È un viaggio tra Danimarca, India, la Napoli del XVII secolo, la Siria, Parigi, Russia, Finlandia… Jubber ricostruisce vividamente i contesti in cui vissero i grandi narratori, ma è anche abile nel segnalarci i legami che le storie innervano, unendo l’Occidente e l’Oriente in una grande mappa geografica che non vede confini.
Vi lascio alle sue parole e invito gli appassionati (in primo luogo), ma anche chi abbia ascoltato una sola fiaba in vita sua a compiere questo viaggio che è più un racconto narrativo che un testo scientifico per addetti ai lavori.
Le fiabe sono legate all’oralità in modo determinante. Che spazio ha la narrazione orale nel mondo contemporaneo secondo te?
Penso che la fiaba, nel suo nucleo assoluto, sia un medium orale e la sua storia sia una storia principalmente di voci: le fiabe che abbiamo ereditato sono storie che sono state raccontate per secoli e millenni da narratori orali. L’immagine classica che associamo a questi momenti è rappresentata da un gruppo di persone sedute attorno al focolare, come sulla copertina del libro [a cura di Jeugov ndr.].
L’idea è che ci sia un gruppo di persone sedute che si tengono calde nelle notti buie, mentre qualcuno racconta una storia. Attraverso queste esperienze, tutte queste storie sono state tramandate nel corso del tempo, quindi anche se ora le fiabe sono generalmente stampate, rappresentate o riprodotte sullo schermo, noi abbiamo ereditato il linguaggio della narrazione da quel periodo.
Penso che sia importante avere in mente questa origine e penso che abbiamo ancora un amore istintivo per la narrazione orale ed è il motivo per cui i bambini sono così accordati ad essa. I bambini non hanno necessariamente bisogno di tutti gli accessori e i gadget che accompagnano la messa in scena di una storia spettacolare. Una delle cose che mio figlio piccolo mi ripeteva spesso e che ancora mi ripete è: «Mi racconti una storia?»
Quello che i bambini desiderano è solo sentire una persona che racconta una storia e questo può essere sufficiente e, se la storia è abbastanza buona, basta per accendere l'immaginazione.
Penso che questo sia il motivo per cui la narrazione orale continua ad essere importante anche nel mondo di oggi.
Vi dirò di più. Quando mi appresto a raccontare le fiabe che ho letto a mio figlio, spesso lui mi dà una sorta di lista della spesa, gli “ingredienti” che vuole appaiano nella storia, del tipo: «Deve esserci una navicella spaziale e anche uno Stegosauro».
Io ci provo, ma, in effetti, a volte se sono troppo stanco, mio figlio di sette anni prende il controllo della storia e continua lui finché non lo fermo.
Che tipo di lavoro di ricerca e ricognizione hai fatto per ricostruire i profili dei diversi autori di fiabe in tutto il mondo? Nel prologo, infatti, racconti e fai intuire di aver fatto una sorta di ricerca sul campo: che tipo di lavoro c’è dietro a questo libro?
La ricerca per il libro è stata orientata in tre diverse aree. Innanzitutto attraverso la lettura di fonti primarie e secondarie dell’epoca dei narratori.
Ti faccio un esempio. La prima parte del libro riguarda Giambattista Basile, quindi sono tornato alle fonti primarie dell’epoca, leggendo tutto quello che aveva scritto. Successivamente ho considerato le fonti contemporanee a Basile che parlano dei suoi scritti, perché Napoli, all’epoca, era un centro pulsante della cultura e molti intellettuali e molti viaggiatori, soprattutto britannici, visitavano l’Italia e descrivevano la Napoli di quel tempo. Sono molte le fonti che possono aiutare a costruire un’immagine del mondo in cui viveva Basile, anche le biografie sui suoi contemporanei. Ad esempio, Caravaggio è stato aggredito e ferito quasi fatalmente in una osteria dove Basile andava regolarmente a bere. Quindi ancora una volta, anche la vita di un artista aiuta a costruire un’immagine del mondo in cui viveva il nostro protagonista. Tutti questi racconti si sono intrecciati e mi hanno aiutato a costruire un’immagine coerente del suo mondo.
Mi sono, poi, recato nei luoghi da cui provenivano i narratori, ed è stato un elemento centrale della ricerca, per ogni sezione del libro: sentivo di dover andare nei luoghi da cui provenivano e vedere quel mondo il più possibile, cercando di immaginarlo attraverso i loro occhi. Nel caso di Basile ha significato viaggiare fino a Napoli. Gran parte della Napoli del XVII secolo è sopravvissuta e si può ancora viverla al punto che, effettivamente, camminando in una della strade principali si raggiunge la cappella del Pio Monte della Misericordia dove si trova ancora appeso il quadro Le sette opere di misericordia di Caravaggio, proprio nello stesso luogo in cui è stato dipinto. Anche la pittura è un’altra grande fonte per la ricostruzione del profilo dei narratori, perché, ad esempio nel caso de Le sette opere di misericordia, ci troviamo di fronte ad un dipinto su Napoli, proprio di quel periodo in cui Caravaggio fonde la simbologia biblica, ma anche tutto ciò che vedeva per strada intorno a sé. Sono andato anche in posti come Avellino, in campagna… ho viaggiato in altre parti d’Italia per cercare di assorbire il mondo di Basile. Quindi il viaggio è stato il secondo elemento importante della mia ricerca.
Infine, cruciale è stato poter parlare e intervistare studiosi ed esperti, a cui devo i miei ringraziamenti e che mi hanno raccontato di nuovo quelle storie, dal loro punto di vista. Ho intervistato attori che avevano messo in scena La vecchia scorticata ed è stato bello comprendere cosa Basile significasse per loro e anche come scegliessero di reinterpretare quella storia oggi. Ho intervistato studiosi che lavorano su di lui, come la professoressa Nancy Canepa dell’Università di Detroit, che ha tradotto in inglese i testi di Basile per una recente edizione e ha anche scritto molti articoli in ambito accademico sul suo lavoro: è stata molto disponibile sia nel rispondere alle mie domande che nell’indicarmi altre fonti, come alcune lettere che Basile scrisse a suo fratello, e mi ha aiutato nel tradurre dal dialetto napoletano. Questi, direi, sono i principali orientamenti su cui ho basato il mio lavoro per ciascuno dei narratori che presento nel libro.
In questo libro ci sono due anime ben distinte: c’è un lavoro di recupero di alcuni testi di fiabe addirittura mai tradotti, ma anche tutta una parte di ricostruzione storica molto consistente. Chi immagini sia il lettore di questo libro?
Questo libro è rivolto a chiunque sia interessato alle fiabe. Si possono leggere le fiabe contenute ad un bambino e raccontarle come fiabe, ma il libro è anche rivolto a lettori adulti interessati a questo genere letterario.
Parte dello scopo di questo lavoro consiste nel raccontare nuovamente quelle storie e ricordare ai lettori il valore di queste narrazioni: il piacere di leggere o di farsi leggere storie.
È l’amore istintivo per le fiabe che - immagino - sarà il primo motivo per cui le persone prenderanno in mano questo libro, ma poi si può andare oltre. È un po’ come quando si va a teatro: guardi il palco e ammiri la performance, poi vai dietro le quinte e vedi come è stata fatta! Quindi si tratta di superare quella cortina per approfondire, ma devi mostrare cosa c’è davanti per far venire voglia di andare dietro le quinte.
Nel tuo lavoro di ricognizione e di studio sulle fiabe ti sei imbattuto anche in edizioni illustrate? Se sì, che rapporto c’è, secondo te, tra il racconto orale, il racconto scritto e quello disegnato?
il libro è ovviamente incentrato sulle storie scritte che traggono origine da racconti orali, però penso che l’illustrazione sia un altro elemento che porta a quella che potremmo chiamare l’organizzazione “de-orale” delle storie.
È ciò di cui parlo nell’Epilogo del libro. Sempre più, man mano che il XIX secolo proseguiva nel XX secolo, le storie venivano fissate in particolari illustrazioni e questo ha determinato quel passaggio per cui consideriamo come “fiabe” le storie rivolte ai bambini.
Il libro traccia la storia delle fiabe fino a quel momento di transizione, che io ho individuato in Hans Christian Andersen che rappresenta il punto di rottura.
Dopo Andersen gli scrittori iniziarono espressamente a commissionare le illustrazioni delle loro opere, come Lewis Carroll che si rivolse a John Tenniel, un particolare illustratore, a cui chiese di illustrare la sua storia, Alice nel Paese delle Meraviglie.
Di conseguenza, Alice nel Paese delle Meraviglie è associato molto strettamente nella mente dei lettori a illustrazioni particolari ed è difficile separare la storia da quelle illustrazioni, al punto che penso che sia difficile per chiunque disegnare il Cappellaio Matto senza quel particolare cappello che Tenniel gli disegnò la prima volta, perché è così che l’illustrazione è stata fissata.
Mentre invece le storie di Andersen, la Sirenetta, la Regina delle Nevi o il Soldatino di stagno si possono disegnare in molti modi diversi, perché non c’è stato un illustratore che fosse diventato così strettamente associato ad essi.
Questo è un sviluppo molto interessante che è avvenuto, ma questo libro si ferma prima che accada, prima che le illustrazioni abbiano - in un certo senso - preso il controllo della narrazione per bambini a partire dalla fine del XIX secolo.
Tu sei inglese e non esistono grandi narratori di fiabe inglesi (se l’Italia, la Francia, la Russia hanno avuto i loro grandi narratore di fiabe, in confronto l’Inghilterra non ne ha mai avuto uno). Come te lo spieghi?
In effetti le nostre fiabe più popolari, in Gran Bretagna, sono storie che abbiamo ereditato da Germania, Francia e Italia.
D’altra parte, c’è una forte tradizione di storie del folklore in Gran Bretagna e ci sono molte persone che hanno raccolto queste narrazioni.
C’è Joseph Jacobs, australiano che, nel XIX secolo, è venuto in Gran Bretagna e ha raccolto alcune delle storie più note della nostra tradizione, come Jack e il fagiolo magico. C’è Katharine Mary Briggs, grandissima folklorista e poi scrittori come Robert Southey, che ha scritto la fiaba di Riccioli d’oro e i Tre Orsi.
Quello che è successo alla fine del XIX secolo è che l’industria dei libri per bambini è diventata sempre più dominante e questo ha significato che la narrazione in Gran Bretagna è diventata sempre più anglosassone. Con la predominanza che il mondo anglofono ha avuto sulla cultura mondiale, le storie degli autori britannici e americani sono diventate il filone dominante e in realtà mi dispiace molto per questo, perché penso che saremmo migliori se assorbissimo storie da tutte le direzioni e da luoghi diversi.
In effetti, una delle ragioni per cui ho intrapreso lo studio delle fiabe è che amo il fatto che la storia delle fiabe sia internazionale, ed è un elemento che voglio celebrare in questo libro che raccoglie storie diverse ma simili che vengono dall’India, dal Medio Oriente, dalla Russia, dall’Italia, dalla Francia, dalla Germania, dalla Danimarca…
GRAZIE!
P.S. Ringrazio Giuditta de Concini, la traduttrice che mi ha aiutato a comprendere e dialogare con Nicholas Jubber.