Durante quest’estate una delle letture alla quale mi sono dedicata è stata la raccolta Mai devi domandarmi di Natalia Ginzburg, una serie di articoli usciti sulla Stampa sugli argomenti più disparati, tra cui - udite udite - anche la letteratura per l’infanzia. La congiura delle galline è l'articolo dedicato alla riflessione sui libri per bambini di allora, sul narrare e sull'immaginare: io ne sono rimasta molto colpita e vorrei condividerlo con voi.
«Non so se qualcuno della mia generazione ha letto, nell'infanzia, i romanzi di Tommaso Catani, nelle edizioni Salani per i bambini. I libri delle edizioni Salani per bambini costavano, se non sbaglio, cinque lire al volume, erano rilegati in tela azzurra, e avevano in copertina un disegno di due ragazzetti in vesti ricamate che sedevano a leggere su un sofà. I romanzi di Tommaso Catani erano quattordici; e avevano disegni e illustrazioni del pittore Carlo Chiostri. Questi romanzi si potevano leggere anche isolati, ma costituivano un ciclo unico. Erano storie di gatti, cani, anatre, galline e volpi, che s'aggiravano fra la città e la campagna. Tutti questi animali erano dotati di parola, ma il loro mondo era essenzialmente realistico; si trovava però in mezzo a loro, cavalcato da una fata, un asino con le ali. Le varie storie ramificavano e s'intrecciavano, i vari personaggi s’incontravano, si perdevano e si rimescolavano in un disegno complicato e disordinato; e a me una simile trama intricata e affollata piaceva immensamente.
Sul frontespizio erano definiti «romanzi umoristici»; in verità vi succedeva di tutto e anche cose drammatiche e strazianti. II primo romanzo della serie era Uno sciopero nel pollaio; seguiva La congiura delle galline; non mi riuscì mai di avere né di leggere la collezione completa, ebbi lo strazio di non conoscere mai alcuni volumi elencati al fondo di ogni libro, come Vandolino o Il girasole azzurro: erano già allora introvabili. L'ultimo volume era La formica nera; non ricordo cosa diavolo vi succedesse, ma doveva esserci qualcosa di spaventoso o tristissimo, perché le parole «formica nera» suscitano in me ancora oggi una vibrazione dolorosa. Se non sbaglio, l'autore non s'è curato di dare un finale lieto alla sua lunga epopea gallinesca e domestica, scritta in prosa toscana e ambientata fra Livorno e Firenze. Custodii per anni quei volumi nei miei scaffali e poiché i confini tra infanzia e adolescenza sono spesso confusi, li rileggevo e li amavo insieme ai romanzi di Annie Vivanti e di D'Annunzio che lessi In età precoce. Poi li dimenticai e finirono non so dove e quando più tardi li cercai nelle librerie per darli da leggere ai miei figli, seppi che erano scomparsi dalla circolazione e nessuno li ricordava e il pensiero che erano finiti al macero mi diede malinconia. In tempo recente, su una bancarella di libri usati trovai La congiura delle galline e me lo portai a casa. I libri delle attuali collezioni infantili presentano una strana e nervosa mescolanza di sbadatezza e di studio, nel contenuto come nelle immagini. Si sente che l'editore, il pittore e l'autore inseguono un'idea fissa: imporsi all'attenzione, far soldi, avere fortuna. Questo vecchio volume respira dalla sua tela azzurra, dalle immagini accurate ma prive di sfoggio e da ogni pagina, una totale indifferenza al denaro e alla fortuna. Esso emana una profonda quiete e una profonda onestà. Non so chi fosse Tommaso Catani. Avendo egli scritto quattordici libri, deve aver dedicato non poco tempo della sua vita a fare questi suoi romanzi per bambini. Tuttavia non divenne un classico per l'infanzia; fu presto dimenticato. Se non meritava di diventarlo per suoi difetti, o se la sorte è stata ingiusta con lui, mi è difficile stabilirlo, essendo io legata a lui dall'affetto della memoria, quella singolare specie d'affetto che ci lega alle creature e ai paesaggi della nostra infanzia. Sfogliando oggi La congiura delle galline ne traggo l'impressione d'una prosa chiara e piana, a cui forse avrebbe giovato maggiore asciuttezza e concisione. Ma questo è il solo giudizio su di lui a cui posso arrischiarmi. Era certo una persona dotata d'una grande fantasia: una fantasia che non doveva essere però, a quel tempo, nulla d'eccezionale. Una fantasia che oggi è scomparsa dai libri per l'infanzia, è scomparsa dal mondo. In verità oggi nessuno passerebbe tanti anni della vita a scrivere per bambini.
Oggi, i romanzi per i bambini sono, nei rarissimi casi di esito felice, opera di scrittori per adulti, che hanno destinato ai bambini un prezioso ritaglio del loro tempo; e vi si avverte una sorta di parsimonia, come se chi scrive stesse attento a offrire solo una piccola, studiata e gelosa porzione di sé. In altri casi sono opera di scrittori frustrati e infelici, che sognavano di scrivere per adulti e non ci sono riusciti, sfogano, scrivendo per i bambini, una loro vena lirica e surreale: questi libri sembrano indirizzati ai bambini, ma sono in verità segretamente indirizzati agli adulti; e vi si sente il forte odore della vocazione mancata, conservata in canfora e naftalina, oppure fermentata e inacidita nella polvere d'una soffitta. Coloro che seriamente si propongono di indirizzarsi ai bambini, o scelgono un linguaggio schematico e razionale, o piovono in un'effusione di miele e zucchero; parlando ai bambini come se avessero davanti una folla di piccoli ingegneri, o parlandogli con smorfie come a una folla di piccole scimmie. Sempre il mondo che traspare è un mondo totalmente deserto di fantasia. Lui, Tommaso Catani, non aveva forse grandi doni, ma aveva il dono d'una fantasia generosa: e si sente che aveva il pensiero rivolto a bambini veri. Una simile fantasia non era un tempo, come ho detto, nulla di straordinario né di eccezionale: era qualcosa che allora correva le strade, costava poco e si poteva mangiare ogni giorno come la polenta o il pane. Non aveva lui, Tommaso Catani, né disegni pedagogici, né profusioni di miele; non conosceva la parsimonia, e non conosceva certo i fermenti d'una vocazione umiliata: scriveva con allegria e disordine, e con libera sconsideratezza, le sue storie definite umoristiche ma così spesso strazianti. Non era mai crudele; era straziante. Non era crudele, perché si sentiva circolare, nel suo mondo, un'aria chiara, aperta e campestre, un odore di polenta calda e di pane uscito dal forno. Ma i suoi gatti e le sue galline impazzivano ad ogni pagina, bevevano veleno, diventavano zoppi o ciechi, precipitavano giù dalle rocce. La fantasia non indietreggia davanti a nulla, non si ferma davanti all'idea della morte. Inoltre allora, non era ancora sorta nel mondo l'idea che si dovesse usare prudenza nello scrivere per i bambini. Non rattristarli, non dargli inutili dispiaceri. Questa idea è certo ragionevole. Noi, da bambini, abbiamo versato sui libri fiumi di lagrime, ci siamo abbeverati .di tristezze.
Gli eroi della nostra infanzia erano perseguitati, calpestati, vittime di un destino feroce, di matrigne perverse. Erano però degli eroi. Oggi, nei libri destinati all'infanzia, non ci sono eroi. Ci sono i forti, i trionfatori, gli imbattibili, ma gli eroi, quelli che sopportavano le sventure, versando pianti ma senza piegarsi, quelli non ci sono. Mi si dirà che non servono, che l'infanzia oggi può farne a meno, che oggi si va nella luna e non occorrono, nei libri per i bambini, né la fantasia né gli eroi. È però vero che si stabiliva, con quegli eroi che incontravamo nei libri, un rapporto singolare, fantastico e solitario, un'abitudine a pensare e amare in solitudine le lagrime e il coraggio. Un simile rapporto è scomparso e il suo spazio è vuoto. Feci leggere La congiura delle galline a una mia piccola nipote. Ne lesse avidamente una metà, poi, di colpo, lasciò stare. Le sembrava, mi disse, «troppo triste ». S'era fermata a un punto dove muore un gattino, sua madre impazzisce dal dolore e lascia la casa, i gattini rimasti vanno soli per il mondo. Noi, piangendo, avremmo continuato a leggere; niente ci avrebbe potuto distogliere dal desiderio di sapere il seguito. Lei non pianse, ma chiuse il libro. Con i bambini di oggi, la tristezza non ha fortuna. Li attrae la crudeltà, ma dalla tristezza si ritraggono. Non ci sono abituati. Ne sono sempre stati tenuti al riparo. La tristezza la rifuggono soprattutto perché gli appare assurda e irragionevole, germogliando e scorrendo sulle acque della semplice fantasia. Era infatti totalmente inutile far morire quel gattino. Ma lui, Tommaso Catani, dava ai bambini ciò che aveva, e non aveva che fantasia. Noi oggi nei confronti dei bambini abbiamo scoperto l'attenzione, la responsabilità, il rischio, il timore delle conseguenze; e tutto questo l'abbiamo pagato con la morte della fantasia. Abbiamo riflettuto a quello che, con i bambini, non dobbiamo fare; però non abbiamo ancora scoperto quello che invece dovremmo dargli, come dovremmo indirizzarci a loro, le parole da usare; e non abbiamo da offrirgli che i nostri mondi deserti».
ottobre 1969
Credits: le immagini sono tratte da libri custoditi con somma cura su un mio scaffale... alto.
Possiamo certamente accordarci. Mi scriva una email così spostiamo la discussione.
Buonasera gentilissima,
grazie per l’articolo interessante.
Le chiedo una gentilezza. Una delle immagini riportate è tratta da Ri Ro e Ram, Editoria Libraria. Questo Libro, in originale ben conservato dalla mia nonna e decenni fa trafugato dalla sua casa. Per fortuna noi nipoti molto legati al vecchio volume ne abbiamo fatto copia, tristemente riprodotta con fotocopie a colori. Ora anche questa versione è praticamente distrutta, logorata dal tempo e (per fortuna) dall’utilizzo dato che la tramandiamo di figlio in figlio. Purtroppo l’originale è introvabile. Le chiedo: se lei ha l’originale in buone condizione, sarebbe possibile provare a farne copia dal suo? provvederei ovviamente alle spese. La ringrazio e le auguro buona serata.
Non so se il punto è proprio il fatto di essere senza eroi, però la riflessione sulla tristezza è un punto sul quale non avevo mai riflettuto: ho rivisto ad esempio il Bucato dei Cinque Malfatti che piange a dirotto e sono rimasta senza fiato. Sarebbe bello parlarne!
Molto interessante questa letteratura senza eroi….ci mediterò su. La tristezza è vero che è difficile da digerire….io la ricordo bene, anche nei cartoni animati! La crudeltà, la violenza, la paura sono più plateali e mediatici. Socialmente accettati. La tristezza no, è intima, e non può essere gridata. Inoltre, non si può proprio essere tristi in questo mondo di bambini che sempre sorirridono e sorridono e sorridono.