L’essenza della vita è l’attesa. Si aspetta che succeda qualcosa, si aspetta che cambi qualcosa, si aspettano i figli davanti a scuola, si aspetta in coda alla posta, si aspetta che arrivi la pizza, si aspettano le graduatorie, si aspetta un invito, si aspetta una telefonata, si aspetta il caffè alla macchinetta… ma in fondo si accetta di aspettare perché ci si aspetta di essere felici.
Di questo tema esistenziale ci offre una metafora Michelle Cuevas nel suo ultimo libro Il postino dei messaggi in bottiglia, attraverso l’immagine che forse in modo più potente racconta l’attesa: quella della posta. Forse i bambini di oggi non proveranno la gioia di ricevere una lettera d’amore scritta a mano, forse non sbirceranno trepidanti dalla finestra in attesa del rumore del postino, di certo però troveranno altri modi per innamorarsi.
«Il postino dei messaggi in bottiglia viveva solo in cima ad un’altura con un albero soltanto a fargli ombra. Tutto il tempo teneva gli occhi fissi sulle onde, in cerca di un luccichio di vetro». Quello del postino è un lavoro che conduce nell’intimità delle persone, bisogna saperlo fare con discrezione e rispetto: si entra nelle vite degli altri ed è necessario farlo in punta di piedi, a maggior ragione se il messaggio è contenuto in una delicata bottiglia di vetro. Grazie ad un retino il postino raccoglie messaggi che sembrano venirgli incontro e poi parte, affinché ogni parola giunga a destinazione. Perché, sapete, chi manda un messaggio in bottiglia spesso sa che il destinatario è molto lontano: «A volte doveva viaggiare finché la bussola non arrugginiva e la solitudine diventava tagliente come una squama di pesce». Ma la fatica è tutta ripagata perché i messaggi che consegnava («il più delle volte») «rendevano le persone piuttosto felici». Che raro e meraviglioso lavoro il suo!
Quotidianamente assisteva a piccole schegge di luminosa felicità: era lui a portarle nella sua tracolla, lui le aveva delicatamente raccolte tra i flutti, lui le affidava gratuitamente a colui al quale erano destinate.
Sarà stato forse contagiato da quelle schegge, perché «tutte le volte che apriva una bottiglia, sperava di vedere il proprio nome campeggiare in cima al foglio», ma puzzava di pesce lui, di sali, «di sogni di marinaio». «Nessuno gli avrebbe mai scritto un messaggio. Però gli sarebbe piaciuto». Finché un giorno nel retino rimane impigliata una bottiglia un con messaggio, ma senza destinatario: «Questo invito potrebbe non arrivare in tempo, ma sto organizzando una festa. Domani alla marea della sera in riva al mare. Per piacere, verrai?».Il postino percorre in lungo e in largo la sua città, interroga i destinatari abituali delle missive, tutti esprimono rammarico e stupore di fronte una lettera così compita, ma nessuno riconosce il mittente. Il postino è addolorato: è la prima volta che non riesce a svolgere il suo lavoro e forse gli pare di aver sbriciolato quella scheggia di felicità che qualcuno gli aveva affidato. Così la sera dopo, stringendo tra i guanti rossi una manciata di conchiglie, si presenta all’invito, per scusarsi. E quando arriva «Eccoti!». L’abbraccio degli amici a cui il postino tante volte aveva regalato la felicità sono tutti lì: erano loro i mittenti della lettera? Hanno solo colto l’occasione? Non lo sappiamo. Sappiamo però che la felicità è contagiosa e non si può fare a meno di chiedere che riaccada:«alla fine quando sorsero le prime stelle e poi la luna, il postino raccolse la bottiglia che non era riuscito a consegnare. “Forse” si disse con la bocca piena di torta, “sì, forse riproverò a consegnarla domani”».
La storia raccontata da Michelle Cuevas racconta e ricorda ad ognuno di noi che la felicità è qualcosa che ci riguarda personalmente e che non bisogna mai smettere di attenderla. Ci ricorda che nel petto di ogni uomo batte un cuore bisognoso di essere felice, un cuore che ci rende tutti uomini e tutti accomunati da un desiderio. L’attesa è un affar serio che affonda le radice nel qui e nell’ora: perché non si vuol essere felici domani, ma adesso. Il postino dei messaggi in bottiglia si accorge di questo: che non è solo di fronte al mare ad aspettare una bottiglia.
Erin Stead riesce, come solo lei sa fare, a rendere delicata e quindi lieve una narrazione che avrebbe potuto chiudersi su se stessa in un guscio di retorica o scontatezza. La verosimiglianza dei gesti (il piede appoggiato alla ciabatta della vecchia signora, cosa non è?!) e allo stesso tempo la loro pesantezza (non riesco a trovare un termine diverso e migliore per dirlo) rende umana e vera ogni virgola della storia. Vi è una magia che avvolge i lavori di Erin, uno spirito bambino che si insinua nei volti degli anziani, degli adulti, degli animali (molti come al solito gli angeli custodi non umani che osservano con pazienza): i personaggi non sono quasi mai bambini, ma i cuori che battono nei loro petti mantengono quella fresca e incontaminata confidenza con la realtà che lascia disarmati e senza parole. La pastosità dei pastelli a olio utilizzati dall’illustratrice dialoga con i segni appena accennati e impalpabili delle matite. Le incisioni restituiscono il carattere originale e unico del lavoro dell’autrice inglese, con toni che vanno dall’azzurro al verde, passando per il giallo e l’arancione.
Un meraviglioso albo per gli adulti dal cuore bambino o per i ragazzi a cui si voglia ricordarlo.
Un albo per chi non ha paura di aspettare, vigile che il proprio cuore possa essere «un vaso colmo fino all’orlo».
Il postino dei messaggi in bottiglia
Michelle Cuevas - Erin E. Stead - Cristina Brambilla (traduttrice)
40 pagine
Anno: 2016
Prezzo: 13,50 €
ISBN: 9788883623806