«Tutti provengono da qualche parte
Tutti hanno un passato.
Tutti all’inizio sono da qualche parte
Tutti sono da qualche parte alla fine»
Michael Rosen è celebre per il suo bestseller mondiale A caccia dell’orso, ma chi davvero conosce questo autore?
In cammino, una raccolta di poesie appena uscita per Mondadori ci racconta dell’universo vasto e complesso che compone la storia di quest’uomo e quella della sua famiglia, una storia intrecciata alla guerra, segnata da migrazioni e fughe.
La raccolta poetica è un percorso emotivo in versi che nasce oggi, nella contemporaneità, per una consapevolezza che sboccia nel suo autore: oggi come ieri, diversamente ma in modo molto simile, oggi È come ieri.
49 componimenti poetici scanditi in 4 sezioni declinano questa consapevolezza: Famiglia e amici, La guerra, Gli emigrati in me, Di nuovo in cammino.
Le poesie sono quasi racconti spontanei, annotazioni rarefatte su un taccuino: solo le pause e la disposizione in versi le rendono riconoscibili come poesie. Non c’è uno schema rimico tradizionale, non c’è una regolarità dei versi confortante e riconoscibile, emerge invece un battente uso di anafore e ripetizioni che sono come un memento mori, frammenti e conquiste di consapevolezza che emergono e ritornano con significati diversi, di volta in volta con profondità sempre maggiore.
Da dove veniamo? è il titolo della poesia che apre la raccolta, una domanda esistenziale, che però diventa reale in luoghi e volti precisi, in una storia documentabile di eventi e accadimenti.
Per raccontare la propria storia si deve parlare della propria famiglia ed è questo che testimoniano le prime poesie: una dimensione familiare fatta di storie particolari e uniche che però già documentano un’universalità molto attuale.
Ci sono navi ad esempio che partono piene si speranze di salvezze e ci sono bambini che muoiono in mare.
«E perché è morto il bambino?»
Il dolore è incommensurabile oggi come ieri, i versi si arricchiscono immediatamente di un’attualità che appare immediatamente scandalosa.
Ieri come oggi.
La lettura è tortuosa, i racconti sono disseminati di segni e parole inciampanti: parole in lingue diverse (che devono addirittura essere spiegate con delle note!), di culture diverse, di luoghi lontani che pure compongono la storia di una famiglia (ebrei, tedeschi francesi...).
«der Heim... Meshpukhe... Bubbe... Fotz... Meshuggene…»
Ma questo comporsi ricco di storie, tradizioni e usanze diventa da subito, prima di ogni tragedia, una differenza.
Il poeta prende in prestito gli occhi degli altri e quello sguardo diventa un’immagine dolorosa di sé, ma anche degli altri.
«Gli occhi lo vedono strano?
…
Gli occhi ci vedono strani?»
Gli occhi degli altri, gli occhi dei miei amici.
La diversità può diventare un giudizio che si sente stridente, stonante con la verità di sé, un giudizio che tradisce il proprio essere:
«“Non far cadere dei soldi per terra,
altrimenti se li prende lui”
e poi hanno riso.
Ho pensato: che c’è da ridere?
Ho pensato che se a uno dei due cadessero i soldi
Gli direi: “Ehi, ti sono caduto dei soldi”»
Poi arriva la guerra, una guerra che con gli ebrei si accanì in modo indescrivibile, una guerra che non è dell’autore, i cui esiti però egli paga sulla sua pelle fino ad una consapevolezza che si fa strada nel tempo, nella memoria.
La guerra è innanzitutto una storia di persone con nomi e cognomi con strade e volti personali e unici, questo rende ancora più strazianti questi componimenti, perché queste persone vere, uniche e particolari vengono cancellate e divorate (nel bene e nel male) dalla cecità della guerra, che è senza umanità e che toglie l’umanità».
«Quando fanno la guerra,
dimenticano come si conta.
...
Niente numeri.
Niente nomi.
Li fanno sparire.
Li fanno svanire.
Così fanno»
Invece l’autore recupera minuziosamente i nomi, cerca nei documenti, ricostruisce tassello dopo tassello la sua storia:
«Guardo i nomi dei poliziotti
che bussarono alla porta
dello zio di mio padre
in piena notte
e lo arrestarono
Eccoli:
Eugène Cabanetos,
Arnand Mazouin,
Georges Salomon,
e l’ufficiale in comando,
Pierre Le Papu.
È colpa loro?»
Il tema della migrazione, dunque, emerge come secondario accanto all’imponenza drammatica della guerra. È la guerra il motore degli spostamenti scelti o imposti (fughe o deportazioni!) che scombinano, uccidono, feriscono le persone.
Nell’ultima parte la speranza emerge come esperienza personale di piccoli miracoli avvenuti davvero, come consapevolezza, come coscienza di sé ed è una speranza indissolubilmente legata alla umanità vera che emerge inesorabile come la verità.
Oggi come ieri, oggi è come ieri. La guerra, la disumanità rivive in strascichi nella contemporaneità.
Eppure basterebbe ricordare, rivivere, raccontare, rendersi conto che noi siamo uguali e che il male è in noi, identico.
La letteratura e la poesia diventano, in questo senso, un strumento di lettura e di ricordo, scrivere nasce come un’esigenza di raccontare ma anche una impossibilità a farlo.
«Nemmeno io li ho dimenticati...
Anche se non li ho mai visti»
«E rimase e rimase
E dove rimase
Fece la sua casa.»
«Arrivi
Vivi»
Una raccolta di storie intense e attuali oggi come ieri, perché oggi è ieri ed è necessario esserne consapevoli.