«Per coloro che ci hanno provato e per quelli che ce l’hanno fatta»
Questa è la dedica del libro Il viaggio di Angela May George che racconta la storia di una bambina e della sua famiglia in fuga probabilmente da una guerra o una situazione di pericolo estremo.
«Ho visto cose orribili, che mi hanno fatto capire che cosa significa essere coraggiosi. Il coraggio è attesa. È continuare a credere, nel profondo del tuo cuore, che tutto andrà bene»
Il viaggio è un libro prezioso che ci ricorda, in questo gennaio dedicato alla memoria della Shoah, che oggi come ieri la vita di tante persone sia in pericolo e che le dinamiche della violenza, dell’esclusione, dell’ostilità non sono finite per sempre nel mondo degli uomini.
La protagonista, al sicuro in un Paese straniero, ritorna col pensiero alle immagini di quel viaggio che ha compiuto con sua madre, una fuga incerta e densa di paura attraverso il mare, una traversata senza acqua, senza cibo, dove il grigio e l’ostilità dei compagni è illuminato e colorato probabilmente solo dall’affetto della mamma stretta alla sua bambina.
Il racconto si sofferma sulla vita di adesso che sembra la vita di una bambina come tutte le altre, ma che è costellata di dettagli e di momenti che ci mostrano come la storia di questa bambina e della sua mamma sia stata impregnata da esperienze dolorose e paurose.
Il rapporto tra questa madre questa figlia è intenso eppure intriso di tristezza: manca qualcuno, manca il marito-papà che è partito per un’altra rotta ma che ancora non è arrivato.
«Quando andiamo in macchina fino alla spiaggia, mi viene in mente la barca. Ora, però, quando sento il profumo del mare e dell’aria salata, mi sento al sicuro… Mi sento libera»
E poi? La felicità può arrivare davvero?
All’apparenza è una porta aperta, una mamma che balla e un filo che sembra potersi finalmente riannodare.
Il papà è arrivato.
Questa storia che parla di guerre, dolore e violenza è intrisa di una speranza che non credo buonista, una storia con un lieto fine intrecciata al desiderio di una vita, libera.
Le illustrazioni sono molto rispettose della storia: non calcano la mano su dettagli che certamente potrebbero amplificare il senso di disagio e di angoscia. Tutto ciò che potrebbe essere angosciante è grigio quasi anonimo, il dolore si percepisce attraverso le parole che accompagnano le immagini che di per sé sono belle e pacifiche.
Il filo giallo che attraversa le pagine, è il simbolo potente che percorre tutta la vicenda fino alla fine: è una domanda aperta, una mano che aspetta, l’attesa di potersi riannodare.
Ma come mai sarà stato il viaggio di quel papà?
In modo forse un po’ azzardato, ma a mio avviso molto provocante vorrei accostare questa storia ad un’altra, apparentemente diversissima, e scritta nel 1948: Pellicano qui pellicano lì di Leonard Weisgard.
«C’erano una volta due pellicani. Due grandi pellicani. E vivevano insieme in un’isola sulla riva del mare»
L’incipit di questa storia sembra quasi un trattato etologico e divulgativo sulle abitudini di questi grandi uccelli marini che, per chi è appassionato, sono uccelli noti per la fedeltà con cui si occupano della loro prole e dalla loro famiglia.
L’andamento della narrazione segue le esigenze editoriali tipiche di quegli anni per cui la stampa alterna una doppia pagine a colori, ad una doppia pagina in bianco e nero. Ad un momento narrativo, che custodisce le parole e alcune figurine, seguono scorci brillanti e brulicanti di rara bellezza.
Le pagine come veri e propri wimmelbuch anticipano quello che le parole nella doppia pagina successiva spiegheranno e tratteggeranno: il bambino-lettore dunque può perdersi in queste illustrazioni sature di colore e improntate all’affollamento e al movimento, perdendosi e poi ritrovando (o riscoprendo) dettagli e particolari citati solo in un secondo momento nelle parole del testo.
La capacità descrittiva dell’autore è vivida: i colori sembrano brillare nelle pagine in bianco e nero per la capacità descrittiva e le associazioni che riescono a testare nell’immaginario.
«Un giorno il cielo sembrava gelato sciolto: cioccolato, fragola e vaniglia, spennellati insieme. Grandi nuvole nere lo attraversavano. Il vento soffiava e il mare si alzò»
In una giornata come questa, il candido nido che accoglieva i pellicani viene travolto come le navi vin mare: il pellicano maschio viene spazzato via, spinto verso nord, lì dove i pellicani non dovrebbero trovarsi.
D’un tratto, al girare della pagina, lo scorcio che ci si para davanti è completamente diverso: le coste assolate con le palme il mare lasciano spazio alle foreste incontaminate del Canada abeti, alci, lupi, volpi, balene, ghiaccio, foche, totem di nativi americani…
«Lì c’erano balene con enormi code piccoli occhi. Lì c’erano foche barche a vela. E lì c’era il pellicano che aveva tanto freddo, ma tanto freddo, così lontano dalla sua casa. Povero pellicano! Aveva così freddo da non sentire l’odore della foresta di abeti. Non vide l’alce né il piccolo cerbiatto. Non vide i totem. Non sentì gli indiani che abbattevano gli alberi. Non vide il piccolo treno trasportare merci nel bosco. Non vide un orso slittare sui scivolosi aghi di pino. Aveva voglia di tornare a casa e stare con il suo grande pellicano»
Incomincia il lento e faticoso viaggio di ritorno verso casa: giriamo pagina scendiamo, seguendo la costa e cercando di orientarci alla ricerca di quel sole caldo che il ricordo e la speranza di un nido accogliente rendono un faro. Ancora una volta la pagina zeppa di colori dettagli e di piccole scenette animate ci colpisce anticipando tutto quello che il testo descriverà attraverso un procedimento di sottrazione-negazione, perché gli elenchi che seguono sono tutto ciò che il pellicano non vide. Il pellicano infatti è determinato a passare sopra ogni cosa orientato solo a ritornare a casa.
Eppure nel progredire del viaggio, alla fine della doppia pagina di testo, c’è sempre qualcuno che vede, che lo vede, come a puntellare e a fermare ogni tratto del viaggio di ritorno, immortalarlo per documentarlo passo dopo passo.
Godibilissima la sfilza lessicale che si snocciola pagina dopo pagina nel descrivere tutti gli elementi brulicanti che animano la doppia pagina: transatlantici, rimorchiatori, chiatte, traghetti, barche e poi mele glassate, pop-corn, noccioline, giostre, bucce di banana, polli che chiocciano e raspano, grilli che frinivano, dentici, conchiglie, datteri…
Stiamo attraversando tutta l’America.
I bambini piccoli lettori certamente vorranno fare avanti indietro tra le pagine scritte e quelle disegnate per ritrovare, ricercare e rivedere i dettagli segnalati di volta in volta: e la mamma che scattava le foto al papà e alla famiglia di fronte al monumento di Washington le hai viste? e le barche che navigavano sul Potomac?
Ecco i Marlin, la costa si fa più calda, appaiono i primi fenicotteri, la palme che svettano… eccoli!
«C’era il suo grande pellicano e due piccoli pellicani! Nessun grande vento gli aveva spazzati via. Erano tutti al sicuro e avvolti nell’abbraccio della mamma, sotto le sue grandi ali di pellicano»
Ma ora cosa fa il nostro protagonista? Tu cosa faresti?
«Sfreccia in cielo come un aeroplano. Si tuffa nel mare come un sasso lanciato tra le onde. Raccogli abbastanza pesciolini nel becco per nutrire la sua piccola famiglia di pellicani […] sono felici»
Le illustrazioni sono meravigliose e oltre ad offrirci uno spaccato visivo quasi turistico-architettonico dell’America degli anni ’50 attraverso sapientissimi giochi che guidano il girare delle pagine, coinvolgendo il lettore in una lettura mai passiva.
Questi due viaggi così diversi eppure così simili per tanti versi si concludono entrambi con la presa di coscienza di una libertà e di una felicità conquistate nel ricongiungimento con i propri legami.
La guerra, ma anche semplicemente gli inciampi, gli accadimenti avversi e incontrollabili della vita possono determinare fatture e allontanamenti dolorosi: a tutti tocca il viaggio per ritornare in quell’abbraccio che ci fa sentire a casa.