Ve l’ho detto che mio figlio è in una fase deliziosa dell’esistenza in cui ogni fiato d’aria diventa l’occasione per una scenata furibonda? Beh, se non lo avevate capito è così, per cui è assolutamente giunto il tempo di parlare del Paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak. Questo libro, una pietra miliare della letteratura per bambini, ha secondo me tutte le ragioni per esserlo. Maurice Sendak, così io me lo immagino, doveva avere il dono di ricordare esattamente le vicissitudini e le avventure della sua infanzia, doveva probabilmente averne ricordi così vividi e presenti da riuscire a personificarne l’energia in personaggi reali e realistici e nello stesso tempo memorabili e immaginifici. Per cui se da una parte i riferimenti artistici, letterari e storici sono così densi da farne un’opera d’arte, di un profumo intenso e di peso considerevole (se non avete letto l’articolo di Anna Castagnoli leggetelo: è imperdibile!), dall’altra la forza della storia che è vera e semplice, che è familiare e infantile riesce a parlare con schiettezza ai bambini, che magari non riconosceranno i riferimenti danteschi ma che conoscono bene i mostri. L’equilibrio o meglio la trama stretta di fili che unisce queste due anime è frutto di un talentuoso genio umano. Ma torniamo ai mostri selvaggi. Avete in mente il mostro selvaggio che senza una chiara ragione - chiara almeno per la madri - si materializza al posto del caro pargolo e ne «combina di tutti i colori»? O che facendo sua tutta la forza di Eolo è capace di urlarti contro «io ti sbrano», brandendo mani artigliate e cruccio serio ed accigliato, che dichiara con nettezza la non ludicità della situazione. Ecco questo mostro vive in casa mia da 4 anni e mezzo, anche se a dirla tutta questa sua natura selvaggia ce l’ha mostrata solo di recente: all’inizio era un patatone :) Max, il protagonista di questo libro, è un fratello gemello di Saverio (tenete conto che Saverio vuole si pronunci il proprio nome quando si legge il libro…) e per una di queste sue crisi è mandato in camera sua «senza cena», e mentre il mostrino impenitente gironzola allegro per la sua stanza questa si trasforma in una foresta, così lui dopo aver navigato «in lungo e in largo per mesi e mesi infine dopo un anno o poco più giunge nel paese dei mostri selvaggi». E appena arrivato «quelli ruggirono, digrignarono terribilmente i denti, rotearono tremendamente gli occhi e mostrarono gli artigli»: nulla di nuovo, insomma. Infatti Max diventa subito loro amico, anzi diventa il re di tutti i mostri selvaggi (mille righe potremmo sprecare sulla simbologia della corona…), perché lui è il più selvaggio di tutti, così per inaugurare il suo regno Max indice la «ridda selvaggia», ovvero urla libere, artigliate gratis, balzelloni spaventosi…fino a che: «“Ora basta”» Max «si sentì solo e desiderò di essere in un posto dove c’era qualcuno che lo amava più di ogni altra cosa al mondo» e in quel momento un profumo di cose buone da mangiare lo richiamò da molto lontano. Con molta presenza di spirito e fermezza Max saluta i mostri, che ancora invasati vorrebbero papparselo o almeno inscenare la prossima ridda, e rinaviga verso casa, dove nella quiete della sera può addirittura posare l’espressione tronfia e sicura di sè (insieme alle orecchie da lupo!) per essere semplicemente felice «della cena ad aspettarlo che era ancora calda».
Per Saverio il passaggio nella rabbia non potrebbe essere rappresentato meglio di così. Nella solitudine della sua camera in preda al furore antico e ancestrale tra selve oscure e fiere orrende quel mostro del mio bimbo si abbandona a ridde selvagge, deve poterlo fare perché è solo provando il disordine degli schiamazzi che il richiamo del bene si sentirà forte e la nostalgia vincerà sugli istinti. C’è bisogno di tutto il viaggio per poter salutare i mostri con chiaro desiderio di abbandono. Uno solo è il requisito imprescindibile per il viaggio: che ci sia una cameretta e una persona che ti voglia bene e che ti prepari la cena, ovvero una persona che si prenda cura di te. Si cresce così, io credo: liberi e accompagnati.
Non mi dilungo sulle illustrazioni di Sendak che io amo, e che testimoniano nell’uso del colore un virtuosismo, che si poteva immaginare ma che lascia sempre a bocca aperta. Max in questo viaggio con le sue espressioni è la prova tangibile della fervente esperienza che Sendak iniettava nei suo personaggi: non c’è un particolare privo di significato, non c’è occhio che non sia attento, non c’è gesto che sia casuale. Il libro rimane da mesi e mesi tra i preferiti del mio pargolo (e miei).
Un capolavoro da avere, magari in combinazione con un mostrino di pezza con la bocca a cerniera: il nostro, diceva il libretto illustrativo allegato, si mangia tutta la rabbia e le paure…
P.S. qui un accenno dei festeggiamenti che si sono fatti l’anno scorso
Nel paese dei mostri selvaggi
Maurice Sendak-Antonio Porta (traduttore)
44 pagine
Anno: 2013 (ultima edizione) 1963 (prima edizione)
Prezzo: 12,50 €
ISBN: 9788883620072
Grazie Chiara! Questo messaggio mi ha illuminato la giornata 🙂
Se anche non mi interessasse il contenuto, seguirei la recensione dalla prima all’ultima parola solo per il gusto di leggere un testo degno di questo nome. Grazie per le condivisioni, ma grazie anche per come scrivi.
[…] si anima e prende vita, con un movimento progressivo che ricorda la trasformazione della stanza di Max. Il lampadario diventa la luna (badate “diventa” non “sembra”), la carta da parati una […]