Quanto può essere penoso un distacco?
Chiunque abbia provato l’esperienza di perdita di un proprio caro, ma anche di un animale domestico sa che un periodo di rielaborazione è necessario.
Ce lo racconta con una metafora o un sogno o una storia unica Matthew Cordell che sceglie un orso per raccontarcelo in L’isola dell’orso.
Louise ha perso Charlie, il suo amico cane, lo scopriamo subito, ancora prima che il frontespizio ci annunci l’inizio della storia, perché all’inizio della storia già tutto è freddo e triste.
Per sopportare, sopravvivere, andare avanti Louise fa un viaggio verso l’isola in mezzo al lago davanti a casa. La lontananza, la solitudine e lo spazio per pensare le permettono di esprimere la sua rabbia, la frustrazione per il senso di ingiustizia, il dolore della mancanza.
«Faccio un giro in barca»
È sull’isola, un luogo magicamente “altro”, che Louise incontra un orso che pare specchio del suo sobbollimento dolente ed è lo stare insieme a quell’orso ferito che sembra aiutare entrambi a calmare le acque agitate.
Simbolico e sottile è l’uso delle variazioni cromatiche che rimangono sui toni del marrone, freddo, come il folto e freddo manto dell’orso fino a che Louise lascia che il calore e il colore riscaldino di nuovo la sua vita, salvo poi ripiombare nel freddo del ricordo e poi riprendersi di nuovo.
«Stavano cambiando sull’isola»
Il mondo riprende colore nella compagnia che la bambina e l’orso si fanno, ma poi sul più bello sembra spegnersi di nuovo, perché l’orso - giunto l’inverno - deve lasciare Louise per andare in letargo.
Ecco allora che Charlie ritorna tra i pensieri della bambina:
«“Non è giusto…” pensò Louise»
Matthew Cordell ha sempre insistito, nei suoi lavori, sulla parte emozionale che le scelte e gli accadimenti della vita determinano, spesso in modo molto palese ed esplicito (come nel racconto delle aspettative nell’attesa di un figlio, ad esempio). In questa storia invece, le parole e le emozioni si inseriscono in una trama precisa che è metafora ma è anche avvenimento, come accade ne Un lupo nella neve. Le grandi tavole illustrate a volte singhiozzano, si frantumano in fotogrammi e cornici tondeggianti che ci invitano a sostare e a pensare.
Le cose finiscono, «ma a volte la fine… è anche un inizio».
E se il finale con l’arrivo di un cucciolo nuovo è abbastanza scontato (gli antecedente quasi non si contano), la narrazione di quello spazio personale di ripensamento, di accettazione, di riscrittura del lutto è invece elemento non scontato, sopratutto nella focalizzazione del dialogo e della compagnia reciproca che Louise e l’orso triste si fanno. Quello che mi colpisce è che l’autore avrebbe potuto lasciare al suo pennino il racconto, mentre invece sceglie di delimitare con le parole ogni passaggio.
«C’era mai stato veramente? [l’orso ndr.]»
Come ogni orso che si fa compagno ad un bambino la sua fisionomia è sfumata.
Un libro che rispetta lo spazio emozionale del bambino nel parlare dei propri lutti.