Tra le proposte per il Natale religioso di quest’anno ho scelto un testo dell’editore San Paolo: La più bella storia che udita fu mai di Matteo Fossati e Carla Manea.
L’albo è costituito da un lunghissimo testo in rima, diviso in quartine a rime baciate, con una struttura che richiama i salmi. La storia percorre tutto il periodo liturgicamente considerato natalizio: non si ferma, dunque, alla Natività, ma prosegue fino alla Festa della famiglia che coincide con l’episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio, ultimo episodio narrato della sua infanzia.
L’autore è evidentemente un profondo conoscitore della Scrittura e dei Vangeli e racconta con precisione tutte le vicende. Il testo poetico è improntato alla narrazione dei fatti, senza orpelli e con poche concessioni al simbolismo, ma con invece un lieve accento teatrale che ricalca il dettato evangelico attraverso i dialoghi come quello tra Erode e i Magi o quello tra Maria e la cugina Elisabetta.
Il testo si apre con la creazione e con l’attesa profetica dell’Antico Testamento, accennati brevemente, ma poi con semplicità passa a narrare di Maria, Giuseppe e Gesù bambino.
«E al colmo dei tempi - che dono insperato! -
il Padre mandò sulla Terra l’Amato.
La carne mortale il Diletto abbracciò,
fra noi una fragile tenda piantò»
Il testo è molto molto lungo e corposo, martellante nei suoi endecasillabi, ed è impossibile immaginare una lettura continuativa e ininterrotta, dall’inizio alla fine, ad un pubblico bambino. Sono, però, segnalati dal cambio pagina gli episodi principali che possono, in questo caso, essere considerati i “capitoli” di una storia più ampia. Idealmente si potrà leggere: l’attesa del Vecchio Testamento, l’annunciazione e la visita dell’angelo Giuseppe, la Natività, la presentazione al Tempio e l’incontro con Simeone, l’arrivo dei Magi, la fuga in Egitto e infine il ritrovamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme.
Le illustrazione di Carla Maneo sembrano voler conciliare un aspetto iconico e sacro, fuori dal tempo, con la narrazione dei fatti: troviamo quindi ritratti molto naturali, come Giuseppe che dorme col braccio sopra la testa o Maria che appoggia affettuosamente la testa sulla spalla di Giuseppe, su sfondi monocromatici che tendono a restituire un’impressione di atemporalità.
Nuove e antiche parole per raccontare la Natività.
«L’annuncio istillò gran stupor nei pastori,
che dissero pronti ai celesti cantori:
“In fretta corriamo a Betlemme, fratelli,
vediamo con gli occhi i misteri più belli!
Cerchiamo la stalla... quell’asino raglia...
c’è un bimbo che in fasce è deposto su paglia.
È ciò che ci disse quell’angelo d’oro:
lodiamo il Signore, cantiamolo in coro!”
Li accolsero lieti Giuseppe e Maria,
pastori ed agnelli in un’umile scia.
E in quella capanna al di là di una siepe
la terra ospitava il suo primo presepe»
P.S. l’unica nota stonata che vorrei evidenziare è che forse è riconducibile alla formazione di scrittore “per adulti” dell’autore è il riferimento al testo come a un “libretto” («In questo libretto trovare potrai / la storia più bella che udita fu mai»). Questo termine può non avere connotazioni dispregiative, solo quando riferito a un libro di piccole dimensioni, altrimenti appare immediatamente un termine svilente. Pensare che un libro rivolto ai più piccoli debba essere un “libretto” conferma un pregiudizio di valore sulla letteratura per l’infanzia di cui è tempo di liberarci.