Chi non vorrebbe essere strappato da uno di quegli umidi, noiosi e grigi pomeriggi autunnali da un’avventura inimmaginabile e travolgente a base di scope volanti e scuole magiche? Tutti, no?!
Mary Stewart nel 1971 scrisse una storia che incomincia proprio così, Mary e il fiore della strega:
«Persino il suo nome era banale: Mary Smith. Niente poteva essere più deprimente. Essere banale, avere dieci anni, starsene da sola con lo sguardo fisso alla finestra della propria camera in una grigia giornata autunnale, e chiamarsi Mary Smith».
L’ambientazione inglese è resa in modo vivido (i ciliegi, i fiori del giardino, il fiume, i boschi umidi, la nebbia…), ma anche i personaggi sono caratterizzati in modo efficace attraverso la descrizione di atteggiamenti, modi di fare particolari che si emanano e si manifestano nelle azioni minuziosamente descritte di ciascuno:
«la signorina Marjoribanks che districava un filo di seta color pulce da una matassa di un morbido rosso ruggine. L’accostamento dei colori era orribile. La signorina Marjoribanks torceva e scuoteva e strattonava, ma alla fine barò, tagliando entrambi i fili con le forbicine da ricamo. […] Mary aprì la bocca per offrile il suo aiuto. Immediatamente la signorina la fissò con i suoi occhi di un azzurro pallido e slavato. “Sssh!” sibilò».
Questa situazione, raggiunta da Mary a causa – come si dice – di una serie di sfortunati eventi, sembra non poter essere incrinata da nulla; lo stesso ritiro forzato sembra tingersi di quell’orribile color pulce. Una zia amorevole e sorda, una casa bella ma gestita e abitata da anziani servitori, un cane anch’esso anziano, nessun bambino in vista e l’autunno inglese. Poi, durante un passeggiata solitaria, un gatto dagli occhi smeraldo e dal manto nero, Tib, guida Mary ad un fiore blu-verde, striato d’argento e da questo duplice incontro si innesca un viaggio incantato ricco di peripezie. Il tocco del succo del fiore, inavvertitamente rimasto tra le mani della bambina e appoggiato su una piccola scopa di saggina, trascina la piccola e il gattino in un volo vertiginoso fino alle porte di una scuola di magia, l’Endor college.
Dal momento in cui la piccola scopa atterra, catapultando Mary nel cortile delle stalle della scuola (in cui si ricoverano le scope volanti!), incomincia un gioco di presupposizioni e fraintendimenti. Mary infatti decisa a godersi questa avventura e nello stesso tempo costretta dalla combinazione inappellabile di alcuni eventi, cerca di fingere di essere una strega, di volta in volta, assecondando, ascoltando, annuendo, rispondendo e venendo fraintesa. Il mondo magico descritto dall’autrice inglese anticipa le atmosfere fatate di Harry Potter: le aule gremite di maghi, i libri finemente rilegati zeppi di incantesimi, i famigli (animali da compagni dei maghi…), le scope volanti… Tuttavia fin dal principio Mary e i lettori capiscono che questa scuola di magia non è la calda e accogliente scuola pronta a far diventare Mary una provetta strega, è piuttosto un luogo inquietante e falso, copertura per un cupo segreto. La distorsione dello sguardo della direttrice, la signora Mumblechook, non si premura neppure di tenere nascosta l’atroce pratica che si coltiva tra i corridoi della scuola: la trasfigurazione (ovvero la capacità di trasformare gli esseri viventi in altri oggetti o animali) viene impiegata per fare esperimenti crudeli sugli animali che agonizzanti vengono tenuti in gabbie, palese testimonianza dei passi compiuti negli studi. Mary, turbata ma assolutamente decisa a non invischiarsi in questo mondo assai più vasto del suo comprendere, riprende Tib e la scopa e torna a casa. Il ritrovare la cuoca brontolona e le foglie da spazzare in cortile sono un confortante tonico per la bambina, ma il sollievo dura poco perché Mary si rende conto che Tib è stato rapito dalla scuola, per essere impiegato in quei ripugnanti esperimenti da cui era fuggita! Riuscirà Mary a recuperarlo nelle viscere di questo castello tetro e inquietante? La fuga si intreccerà con il destino degli animali, si rinvigorirà grazie agli incantesimi, troverà conforto in un bambino alla ricerca del suo gatto – proprio come Mary. Una fuga precipitosa e costellata di ostacoli, magici e non, sarà il percorso obbligato che riporterà i bambini a casa, a cavallo della piccola scopa e con i gatti strettamente avvinghiati alle spalle… il tutto nel giro di un’unica intensa, strabiliante notte.
«La sua stanza era come l’aveva lasciata […] sulla trapunta zampettava, facendo le fusa con aria soddisfatta e molto assonnata, un gatto dall’aspetto normalissimo, che non avrebbe mai più tentato di diventare il gatto di una strega».
La scrittura è calda e scorrevole, descrizioni affascinanti e vibranti si mescolano al racconto dei fatti e dei pensieri di Mary, secondo un andamento piano e una sintassi sviluppata e per nulla sincopata. Abituati a lunghe saghe e complicati intrecci, questa avventura di un giorno appena potrebbe lasciare insoddisfatti i lettori (proponibile dagli 8 anni) e certamente molti dei temi toccati sono risolti in modo semplice, quasi meccanico. Tuttavia la possibilità di essere toccati dalla magia, casualmente, per un giorno appena, lascia una sensazione di intrigante possibilità nel lettore che si accosti in un annoiato settembre ad una piccola scopa dimenticata.