Alcune esperienze dell’infanzia rimangono impresse in modo indelebile nell’animo, come scene iconicamente distillate dal tempo e dallo spazio. È il mondo che interessa il bambino, è il mondo che interesse l’essere umano, in realtà, ma questa sete di vita nei primi anni è vigorosa e non è mediata dall’esperienza dello studio e della riflessione teorica. I bambini piccoli infatti anche nei libri ricercano il familiare, il vero, il dettagliato il preciso, il fotografico.
La precisione delle illustrazioni di questo tipo, mutuato da un’esigenza scientifica che abbatteva i muri tra arte e scienza (i primi biologi, esploratori, osservatori, scienziati… non avevano macchine fotografiche!), ritorna in opere che valorizzano la linea e ricercano una stereotipia funzionale alla descrizione universale delle categorie. Questa precisione necessaria ha un suo fascino indubitabile, ma tuttavia sottrae spesso alle immagini la componente vitale: i fiori, i frutti, le foglie, gli animali sono perfetti e ineccepibili.
Natura viva di Martin Jarrie commuove, nel senso che smuove e quasi soppraffà il lettore con la bellezza viva, viva davvero, delle sue immagini (non a caso il titolo originale dell’opera è Imaginier du vivant)
Ci riportano a quei momenti personali e cruciali dell’infanzia le parole dell’autore, usate come riassunto del libro in quarta di copertina:
«Nella casa della mia infanzia crescevano cavoli, fagiolini, carote, patate e qualche albero da frutto. In fondo al giardino c’era la gabbia dei conigli a cui mi avvicinavo timoroso, sorpreso dai bruschi scatti di quegli animaletti…»
È questo l’unico testo che troverete in questo libro, se si escludono le etichette (nomi) che si accompagnano ai dipinti di questo immaginario familiare.
Pere, piselli, tartarughe, cipolle, cavoli rossi, melanzane, peperoni, narcisi….
La precisione tassonomica si approfondisce in una precisione del vero: l’albicocca è bruna, forse sporca, la pera ammaccata, la pelle della cipolla è strappata, il cavallo è assorto, la zucca storta…
I protagonisti sono guardati ed esplorati come farebbero le mani e gli occhi di un bambino: c’è il «cavolo rosso» e anche il «cavolo rosso a metà», c’è la «noce» e la «noce a metà», il baccello dei piselli è aperto, il gatto è pronto a scattare…
Le illustrazioni di Martin Jarrie sono veri e propri ritratti pittorici: gli sfondi, stesi e grattati con approssimazione, rendono l’idea dell’imperfezione e della sedimentazione dei ricordi, il colore delle superfici dei ritratti è irregolare e pastoso, così come nella realtà apparirebbe. Sugli sfondi neutri appare l’immagine, estrapolata dal contesto, pescata direttamente dalla memoria e offerta come valore assoluto.
C’è un iperrealismo che mi ha ricordato i ritratti di Maurizio Bottoni, eppure in questo immaginario dell’artista francese, mancano le ombre e il disturbante, i soggetti sono regalati nella loro imperfezione sensoriale e chiedono solo di poter restituire un senso di benessere e gioia, senza particolari interrogazioni.
Si viene colti da un irresistibile desiderio di sfiorare il «sedano rapa», di addentare la buccia amara del «limone», di annusare il profumo del «narciso», ci si immobilizza di fronte alla «lepre» fremente pronta a fuggire, ci si incanta di fronte alla «rapa» che sembra un cielo estivo e a quel «cavolo rapa» che sembra una fotografia!
Mi immagino questo libro sfogliato amorevolmente da grandi e piccini, indagato minuziosamente dai più piccoli, toccato come se fosse vivo da tutti.
Un immaginario che pulsa come un piccolo cuore.