Nel 1938 Margaret Wise Brown, autrice eclettica ma imprescindibile di alcuni tra gli albi illustrati più belli e più onestamente rivolti all’infanzia, scrisse una storia che riguarda la morte e che è rimasta come punto di riferimento per tanti altri libri che sono seguiti.
Quello che la Wise Brown fa, come spesso accade, non consiste in nient’altro che descrivere un episodio all’apparenza trascurabile e minuto che si trasfigura attraverso il significato che i protagonisti bambini danno a quel momento.
The dead bird non è mai stato tradotto in italiano ed è disponibile nella interpretazione che recentemente ne ha dato Christian Robinson per Harper Collins, ma è nato con le illustrazioni di Remi Charlip in un particolare formato orizzontale.
Il ritmo perfetto che autrice e illustratore avevano creato originariamente purtroppo si perde nella nuova interpretazione: la narrazione infatti rimaneva isolata in due pagine bianche e veniva seguita dalle illustrazioni, una volta girata la pagina, e questo creava intorno ai disegni un silenzio quasi sacro che permetteva ai lettori di entrare in sintonia con le parole.
Nella nuova edizione, invece, testo e immagini sono impaginate come un albo illustrato moderno in un dialogo costante, pagina per pagina.
Il testo racconta di un gruppo di bambini, impegnato a giocare insieme all’aria aperta, che si imbatte in un uccellino appena morto:
«The bird was dead when the children found it»
L’autrice si premura di sottolineare con un realismo molto umano che «it was still warm and its eyes were closed»
Quello che accade successivamente a queste parole descrive esattamente l’imponenza che i bambini percepiscono in momenti cruciale quali il sorgere della vita o della morte.
Tutt’altro che preoccupati o schifati, come oggi vorrebbero farci credere tanti libri per bambini, davanti ad un Mistero che tocca corde così profonde i bambini sanno esattamente che cosa fare.
Quello che potrebbe sembrare un gioco (i bambini sono contenti perché «they could dig a grave in the woods and bury it»), è in realtà l’evidenza di come il gioco dei bambini sia una cosa molto seria, proprio perché non prevede ci sia distinzione tra il mondo reale e quello della vita interiore. Travestiti da animaletti - nella versione di Robinson - questo ci suggerisce che essi condividono con il piccolo uccellino morto una condizione metamorfica, tipica della vita naturale e selvatica, da cui non sono ancora staccati: i bambini sono parte dello stesso popolo dell’uccellino!
La sacralità è una dimensione che i bambini rispettano in modo molto umano, sanno partecipare ad un rito e ne colgono il valore salutare che vi è inscritto: ci sono gesti da fare con cura ed è necessario un abbandono, consci che si è ritornati in un abbraccio che non ha nulla di spaventoso.
I bambini, dunque, seppelliscono l’uccellino con tutti i crismi e questo permette loro di rielaborare un dolore che in fondo è anche prossimo alla gioia, tanto che li fa cantare:
«Oh bird you’re dead
You’ll never fly again
Way up high
With other birds in the sky
We sing to you
Because you’re dead
Feather bird
And we buried you
In the ground
With ferns and flowers
Because you will never fly
Again in the sky
Way up high
Little dead bird»
I testi stringati della scrittrice statunitense sono cristallini, descrittivi, senza che nulla di melenso, nulla di adulto e interpretativo emerga. La morte come la vita c’entra indubitabilmente con il sacro e i bambini ci ricordano che non è una dimensione culturale, ma una dimensione umana: questo libro da leggere sempre lo ricorda a tutti.
P.S. L’impatto di questa scena sulle storie successive è impressionante: Giorgia Grilli ne parla nel suo saggio Di cosa parlano i libri per bambini, ma potete intuirlo anche solo leggendo Tutti i cari animaletti.