Le storie del gatto sornione di Marcel Aymé è una delle raccolte di racconti, dedicati all’infanzia, più famose della tradizione letteraria francese. Un Rodari di Francia che nel 1934 scrisse questi racconti, ambientati in una fattoria, conquistando il pubblico con storie, impregnate di fantastico e di gioco, e che da allora non smettono di essere ristampati.
L’autore fu scrittore e umorista, lavorò moltissimo per la televisione e il cinema e Le storie del gatto sornione sono la sua prima e più nota prova dedicata ai ragazzi.
«L’opinione del mio amico gatto è che esse sono adatte a tutti i bambini che sono ancora in grado di capire gli animali e di parlare con loro»
Questi testi si situano in un luogo ponte tra la favola e il racconto fantastico con una solida struttura morale e dei personaggi abbastanza decodificati, ma pescano anche da una tradizione immaginifica completamente imprevedibile, attraversata da exploit di fantasia che sbaragliano il già noto.
Ci troviamo in un contesto contadino del primo novecento, una fattoria che immaginiamo nella campagna francese; al centro delle avventure che partono dal focolare Marinette e Delphine, due bionde sorelle con gli zoccoli di legno e i grembiuli di cotone, ma anche due genitori e tutti gli animali che compongono la piccola comunità familiare e che, come gli umani, sono dotati di pensieri e parole, intese da tutti.
I genitori - che non sono nominati se non come tali - sono contrapposti anche idealmente alle due bambine: le ultime sono comprensive, empatiche, leggiadramente farfalline, i primi ottusi, duri… adulti, anche se l’autore non li considera “cattivi genitori”.
Gli animali, invece, se in parte ricalcano e mostrano alcuni degli stereotipi favolistici attribuiti loro da una tradizione orale atavica, tuttavia sono tratteggiati sottilmente uno per uno con tratti che li rendono unici.
C’è l’anatra giudiziosa e intelligente, il papero maleducato, l’asino umile e paziente, il bue giudizioso, ma anche quello stupido, il maiale malmostoso, il cane generoso…
Racconti di questo tipo non erano unicum nel panorama del tempo (penso ad esempio al ciclo di racconti di Tommaso Catani di cui parlò appassionatamente Natalia Ginzburg, ma anche La fattoria della animali di 11 anni posteriore), innanzitutto perché la vita in contesto agricolo era tutt’altro che una eccezione, ma poi perché i microambienti che si creavano nelle corti agricole erano veri e propri universi circoscritti e simbolici della società di cui facevano parte.
Le storie sono avvincenti e accoglienti, il fantastico che le attraversa è inaspettato e bello, come quando le bambine giocano all’Arca di Noè e invitano tutti gli animali dentro in cucina e la gallinella bianca si “trasforma” in un elefante per giocare:
«“È arrivato il diluvio. Pioverà quaranta giorni e quaranta notti. Se non volete venire nell’Arca, peggio per voi. La terra sarà coperta dalle acque e affogherete” Gli scontrosi non se lo fecero ripetere due volte e si affannarono a entrare in cucina»
«“Però ci manca un elefante. La gallina bianca potrebbe fare l’elefante…”»
Accadono piccole grandi cose in una fattoria: si può temere per la sorte dell’anatra grassoccia e ritrovarsi, dopo poche pagine, con una pantera indiana in visita, si può cercare di risolvere un difficilissimo problema di matematica e poi avventurarsi nel bosco tra cinghiali e scoiattoli a contare tutti i diversi tipi di alberi, si può giocare con il lupo e poi venire mangiate, si può disegnare con le tempere nuove e far sparire due gambe all’asino o addirittura due buoi!
Ad un realismo onesto - che prevede che gli animali vengano allevati per essere mangiati, che gli adulti possano bastonare gli animali recalcitranti e che i bambini possano essere puniti, cenando a pane e acqua - Marcel Aymé accosta un incanto che non è magico, ma fantasioso e certo straordinario. Le bambine e gli animali sono legati da una complicità unica tipica dell’infanzia (in un episodio si trasformeranno addirittura in due animali!) che le rende il motore delle storie e gli occhi con cui osserviamo stupiti il mondo, ma non appartengono ad un mondo al di fuori di quello reale: la gallina bianca si trasforma davvero in un elefante e neanche i genitori riescono a vedere le gambe scomparse dell’asino, l’anatra è invitata a cena e «si comportò proprio come se fosse una persona».
Le storie sono bene scritte, ricche nel lessico nelle brevi ma sempre vivide descrizioni, imprevedibili sebbene riconoscibili e quindi facilmente amate dai più piccoli (dai 5 anni).
Impreziosiscono infine queste storie ricamate le stupende immagini di Nathalie Parain che, sebbene successive alla prima edizione dell’opera, furono da subito amate anche dall’autore, per la capacità di ricreare l’ambiente contadino con calore senza cedere alla caricatura, ma con molta naturalezza.
Una raccolta tristemente poco nota ma ricca di belle storie.