La porta segreta è un saggio richiesto esplicitamente dall’editore italiano Terre di mezzo all’autore californiano Mac Barnett che ha firmato tanti titoli presenti nel suo catalogo. Il saggio, che è uscito in contemporanea mondiale poche settimane fa, è stato accolto con grande favore.
Non è, naturalmente, la prima volta che uno scrittore per l’infanzia si cimenta nella definizione e nella riflessione intorno al proprio lavoro letterario, anzi implicitamente o esplicitamente tutti gli scrittori per bambini e ragazzi hanno dovuto confrontarsi con quello sguardo giudicante, di cui parla Barnett, tipico degli autori che scrivono per adulti che guardano a chi scrive esclusivamente per bambini come a dei buontemponi non capaci di scrivere VERAMENTE.
Nel mio piccolo, mi è capitato più di una volta di ricevere complimenti per il mio lavoro in questi termini: parli dei libri per bambini come se fossero libri “veri”, come di libri che hanno la statura di quelli per adulti!
Nel panorama italiano oltre alle riflessioni di Rodari, Lodi e altri grandi autori ed educatori, ha fatto storia il saggio di Bianca Pitzorno Storia delle mie storie, in cui l’autrice ha affrontato i medesimi stereotipi sulla letteratura per l’infanzia già vent’anni fa.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, perché le questioni che riguardano la scrittura e la considerazione della letteratura per l’infanzia sono un nervo scoperto da sempre e non sono molto cambiate.
Cosa troverete dunque in questo saggio di Barnett?
Il più evidente punto di forza di questo saggio è sicuramente il tono dell’autore. Barnett è uno scrittore divertente e ironico. La sua scrittura è ricca di humour e gli esempi che riporta dalla propria esperienza sono esilaranti e hanno il grande pregio di rendere reali questioni e problemi che in altre sedi e che con diversi toni possono apparire astratti.
Le questioni sollevate riguardano tutti gli stereotipi largamente comuni presso un pubblico non specialistico:
1) i libri per bambini sono libri veri.
2) I lettori e destinatari della letteratura per l’infanzia non hanno nessun potere di acquisto e questo fa sì che questa letteratura, pur rivolgendosi ai bambini, debba necessariamente incontrare il favore degli adulti che sono poi i veri acquirenti dei libri per bambini.
3) Qual è la finalità dei libri per bambini: insegnare, educare, divertire?
Tutti questi punti sono esplicitati e messi sul piatto della discussione in modo ironico e coinvolgente e convergono in un’unica sintetica risposta:
«Un libro per bambini è un libro scritto per i bambini»
Questo assioma, tuttavia, funziona come slogan, ma richiede un’esplicitazione chiara sia di bambino che di libro (letteratura?).
L’autore si concentra sulla definizione di bambino che rappresenta la forza maggiore della sua argomentazione: bisogna rimettere al centro i bambini.
I bambini sono persone ideali, sono pieni di immaginazione, entusiasti, capaci «di vedere il mondo con la freschezza e la meraviglia», sono disposti a lasciarsi coinvolgere dalle storie…
Questa definizione di bambino rischia di essere un po’ parziale e idealizzata, anche se Barnett con tutto il suo ragionamento evidenzia un punto, secondo me importantissimo: il mondo contemporaneo ha una scarsa stima dei bambini.
La definizione di infanzia è, comunque, questione immensa come ha evidenziato benissimo Giuseppe Pontremoli quando, in Elogio delle azioni spregevoli, parla di un susseguirsi di feticci: un modello generalissimo e quindi astratto che viene utilizzato dagli adulti come feticcio per modellare un’idea di letteratura che rischia solamente di allontanarsi sempre di più dal bambini reali.
«Ma i bambini, per loro fortuna - e per quella di tutti - sono un po’ più variegati, e dentro questi schemi non ci stanno. Forse ci sta il Bambino, ma i bambini veri no, perché essi sono fatti anche di fantasia, ragione, riflessione, sentimento, corpo, passioni. E tutti in misura diversa, perché intervengono in loro - così è per tutti - mille cose» p. 16.
Non c’è, in ogni caso, una definizione univoca all’interrogativo di che cosa sia l’infanzia oggi, e quella di Barnett è un’immagine forse un po’ idealizzata di bambino che potrebbe comunque essere un punto di partenza, ma che non può essere l’unico elemento in gioco nella definizione del valore della letteratura per l’infanzia.
Questo è rilevante perché, incentrando completamente la risposta alle domande che aprono la sua argomentazione solo sull’idea del bambino, il concetto di letteratura che emerge risulta un poco sfocato, mentre credo che nella contemporaneità questo sia un punto importante a cui guardare per restituire effettivamente dignità ad un compartimento della letteratura e del mercato, oggi così in auge ma largamente frainteso.
Barnett, infatti, parla di letteratura evidenziando come il concetto sia ampio e comprenda al suo interno anche grandi quantità di mediocrità. La distinzione tra quelle che vengono definite belle storie e brutte storie rimane, però, abbastanza nebuloso e fraintendibile:
« Una letteratura per bambini sana deve comprendere l’arte, ma anche parecchia spazzatura»
«La buona narrativa invita il lettore a creare il senso»
«lo scrittore per bambini deve sostenere ostinatamente l’ineffabile»
«Una buona storia tende ad essere irriducibile»
Queste frasi, condivisibili da tutti, sembrano segnare discrimini non chiari e incentrati su questioni tematiche: le storie che fanno ridere sono spazzatura? Cosa si intende per arte? Solo le storie e libri che segnano una sperimentazione? E ancora come la creazione di senso può essere svincolata dall’insegnamento?
L’idea di Barnett è molto chiara (potrete leggerlo nell'intervista qui sotto!), ma nei fatti mi rendo conto che tanti adulti, in buona fede, ritengono buone storie libri che riescono a piegare agli usi più diversi (anche nobili, magari!) senza che al bambino sia data la possibilità di incontrare la letteratura, senza in fondo che la questione letteraria sia affrontata.
In questo punto, mio avviso, sta la debolezza (e forse la forza di mercato!) di questo testo, perché le definizioni un po’ generiche riguardanti il libro fanno sì che questo testo possa essere letto da persone con idee molto diverse che potranno piegarlo al loro punto di vista, senza che siano effettivamente smosse verso uno sguardo diverso che invece è proprio dell'autore, come testimonia in modo più approfondito nell'intervista (leggete che bello il passaggio sulla scomodità!).
A chi si rivolge, dunque, questo libro?
Questo libro, a mio avviso, ha il grande pregio di porre nuovamente sul piatto questioni che gli addetti ai lavori affrontano quotidianamente e sulle quali probabilmente hanno sviluppato un proprio pensiero, a questi il saggio può fornire argomentazioni divertenti per prendere con ironia gli sguardi di chi si occupa della letteratura “vera”.
È invece un saggio scorrevole e divertente da regalare a chi di questo mondo sa poco, anche se temo purtroppo che non abbia la forza per scardinare chi, con buone intenzioni adultocentriche, si approccia la letteratura per l’infanzia, orientandosi tematicamente.
Bisogna effettivamente avere il coraggio di raggiungere il punto di riflessione che riguarda la letteratura oltre alla riflessione sul “per” l’infanzia.
Ho incontrato Mac Barnett in una delle giornate affollatissime della Bologna Children’s Book Fair. È stato gentilissimo e cordiale, nonostante il fuoco di fila di interviste, interventi e fotografie che lo aspettavano. Io avevo letto i primi due capitoli del suo saggio, per cui alcune domande hanno anticipato o hanno trovato poi risposta effettivamente nel testo. Lo ringrazio immensamente per il tempo, la simpatia, la cordialità e la pazienza con cui mi ha accolto e ha dialogato con me. Vi lascio alle sue parole.
In questi giorni ho dovuto leggere altri saggi sulla letteratura per l’infanzia, ma come mi ha fatto ridere l’incipit il tuo..grazie! Ho ritrovato tutta l’energia che mi fa amare i tuoi libri (Sam e Dave scavano una buca, Come fa Babbo Natale a passare dal camino…)
Grazie a te, significa molto per me, perché è quello che speravo di fare. Voglio che il divertimento sia parte del messaggio. “Prendiamo sul serio i libri per bambini” è ciò che mi interessa comunicare, ma poi ho questo problema: mi piace scherzare! In realtà, sento che anche qualcosa di serio come questo può essere affrontato con divertimento. Molte persone non sono abituate a leggere di libri per bambini e ancora meno leggono di critica letteraria, quindi spero di poter essere più inclusivo con questa impostazione e spero di accogliere più lettori possibili in questo in queste pagine, in cui pensiamo alle cose seriamente, intrattenendoli lungo il percorso.
Ho trovato molto bella la sottolineatura del fatto che al centro della letteratura per l’infanzia ci sia un legame: un legame che determina l’acquisto del libro, un legame di lettura, ma anche un legame tra l’adulto che ha scritto il libro e il bambino ascoltatore. Hai detto in modo molto affascinante che, perché questo rapporto funzioni, bisogna essere pari: come si rispetta questa uguaglianza? E cosa porta in più lo sguardo dell’adulto?
Credo che questo tipo egualitario di legame sia difficile da capire, perché non è il rapporto a cui siamo abituati. In effetti, in molte circostanze, è importante che gli adulti abbiano autorità sui bambini. Lo capisco, perché sono un genitore e penso che l’essere autorevoli, in molte circostanze, abbia senso anche per me, ma d’altronde sono certo che il mio lavoro di padre sia diverso da quello di scrittore di libri per bambini. Sono due ruoli diversi, ma credo che gli adulti siano così abituati a comandare che i genitori, gli insegnanti, gli educatori siano sempre alla ricerca di strumenti che facilitino il loro lavoro. I libri per bambini diventano così un altro di questi strumenti, ma la letteratura per l’infanzia deve essere al servizio del bambino. Credo che questa sia la domanda essenziale: a chi si rivolge questo libro?
Stiamo scrivendo libri al servizio degli adulti o stiamo scrivendo libri al servizio del bambino? Non è raro che ci sia una tensione o una separazione tra le esigenze degli adulti (lettori o consumatori) e quelle del bambino: in questi casi, noi scrittori, dobbiamo stare dalla parte del bambino. Ma anche quando le esigenze sono sovrapponibili - perché bambini e adulti possono godere e trarre beneficio da un’opera d'arte contemporaneamente - è comunque importante chiedersi: quest’opera d’arte è stata creata, pensando prima al bambino o all’adulto? Credo che i bravi scrittori per bambini siano abituati a operare in questo modo: non si parla ai bambini, ma si lavora al loro livello. Questo richiede un cambiamento di prospettiva a tutti adulti coinvolti (acquirenti, recensori, bibliotecari, librai, insegnanti,…): è necessario assicurarsi che ci sia spazio per l’arte. Questo non significa che non ci saranno libri che insegnano, istruiscono, mostrano il mondo nei fatti o presentano messaggi edificanti, ma significa che l’arte fa qualcos'altro e dobbiamo dare spazio alla vera arte per i bambini.
Tu hai parlato del mercato editoriale rivolto ai bambini con molta onestà e hai detto che è pieno di libri spazzatura. E io concordo assolutamente con la definizione che hai dato. Sono preoccupata di dove sta andando il mercato editoriale, perché questi libri brutti sono dappertutto e abituano i bambini a pensare purtroppo che i libri siano noiosissimi e saccenti. Quello che facciamo è una battaglia quotidiana: cosa si può fare perché i bei libri non soccombano?
E sì, credo che tu abbia ragione. In effetti è molto egoista da parte degli adulti, perché noi ci concediamo il piacere della lettura, ma lo neghiamo ai bambini, dicendo che non deve essere solo divertente, non deve essere solo bello, deve avere un senso, un messaggio. È un doppio standard egoistico. Come facciamo a far sì che gli adulti vedano la loro ipocrisia e la abbandonino? Penso che sia molto difficile e, a volte, non ho molte speranze a riguardo.
O meglio, la penso così. Quando ho iniziato a pubblicare negli Stati Uniti, 15 anni fa, era un momento molto moralista, ma c’erano anche un sacco di libri eccitanti e audaci che avevano anche un discreto successo commerciale. Sembrava che le cose stessero cambiando, poi il pendolo è tornato a oscillare verso il moralismo e la mia sensazione è che l’oscillazione sia stata molto ampia e che sia rimasto rimasto in quelle zone molto più a lungo di quanto abbia mai fatto. Questa situazione può essere davvero frustrante, ma c’è una cosa che mi fa sperare.
La storia dei libri per bambini, fin dai suoi albori, si è sempre mossa tra questi due poli: il filone moralistico e la forza dell'arte divertente, che hanno lavorato di concerto. Io credo che la gioia di raccontare storie ai bambini non morirà mai, perché ci saranno sempre persone che vorranno raccontare a un bambino o a un gruppo di bambini una storia che li delizi e questa esperienza è così elettrizzante per un narratore che credo non morirà mai, anche se a volte, come oggi, sembra sopraffatta.
Io amo gli albi illustrati americani della metà del XX secolo e sono cresciuto, leggendo Nel paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak, che è così complesso, così bello. Oggi leggo questo stesso libro a mio figlio di tre anni e lo adora. Ogni volta che lo leggo mi meraviglio di questo libro: come opera di illustrazione, come opera di scrittura, come racconto della complessità dei rapporti familiari… Max dice qualcosa di terribile alla madre, viene punito e non si scusa, non lo fa mai, per tutta la storia. Non cambia mai esplicitamente idea, eppure, quando decide di tornare a casa, sua madre lo ha perdonato, perché lo ama. Non aveva bisogno di cambiare, giusto? Se questo libro fosse scritto ai giorni nostri, Max dovrebbe dire: “Mi dispiace tanto, mamma. Non avrei dovuto parlarti così”. Solo allora si meriterebbe la cena. Terribile. La genialità del libro di Sendak, invece, sta nel fatto che lui arriva a casa e la sua cena è lì e si capisce che l’amore di sua madre esiste a prescindere da chi lui sia. Anche sua madre non si scusa con Max, sebbene perda la pazienza, infatti prima che Max dica “E IO TI SBRANO”, lei gli urla “MOSTRO SELVAGGIO!”. Entrambi perdono la calma, litigano terribilmente e, mentre Max ha questa avventura, sappiamo che fuori dalle pagine sua madre è probabilmente seduta lì, sconvolta, che si sente in colpa, si vergogna, ma è anche arrabbiata con lui. Hanno passato una serata orribile tutti e due e, senza vedere nulla di tutto ciò, il libro contiene tutto questo. È assolutamente incredibile.
Eppure questo libro esisteva anche negli anni ’60, un'altra epoca moralista a cui i mostri selvaggi sono sopravvissuti e hanno ottenuto lo status di classico, meritandosi di venire letti ancora oggi. A volte penso agli anni '60 come a un’epoca in cui si facevano libri migliori, ma la verità è che credo che i libri che conosco siano quelli “buoni”, quelli che sono sopravvissuti mentre la pula, che vediamo sempre nuova, si è dispersa.
I bambini ricordano e, ribadisco, la speranza è sempre nei bambini. I bambini ricordano i libri che hanno parlato loro e, una volta diventati adulti, vedono quella copertina ed è come rivedere la vecchia fotografia di un luogo che hai amato e improvvisamente ti ritrovi lì e dici: “Questo libro è stato il mio mondo. Ho vissuto dentro questo libro!”. Così lo ricomprano per continuare la vita di quel libro ancora e ancora. Quindi i bambini di allora che hanno letto quei rari buoni libri ora penso che li porteranno avanti, anche se non so come. Mi dispiace di essermi dilungato su questo argomento, ma spero che si possa cambiare la percezione dei bambini e la percezione della loro capacità di apprezzare l’arte: i bambini sono persone intelligenti e sensibili che meritano la buona arte e gli adulti hanno la responsabilità di rieducare la loro idea di infanzia.
Ho amato molto la definizione che hai dato di letteratura come darsi una risposta rispetto a cosa significhi esseri umani in questo mondo («le storie più belle per bambini, come le storie più belle per gli adulti, dicono la verità su cosa significhi essere umani in questo mondo»). Nel libro Che cos’è l’amore? ad esempio, hai intessuto una storia intorno a una domanda e hai fatto lo stesso anche con il libro su Babbo Natale. Gli adulti invece sono spesso molto interessati a fornire risposte. Che ruolo hanno le domande dei bambini nei libri?
I bambini fanno continuamente domande. Sono molto onesti quando non sanno qualcosa, non si vergognano di non sapere qualcosa e non si vergognano della loro curiosità, quindi fanno delle domande, un sacco di domande. E gli adulti, molto spesso, anche quando non sanno la risposta, rispondono lo stesso perché non vogliono dare l'impressione di non sapere. Il non sapere imbarazza gli adulti, mentre i bambini non si vergognano di non sapere. Noi adulti cerchiamo di aiutare i bambini, dando loro risposte precise, perché pensiamo che sia la cosa più confortante, ma in realtà - credo - che sia confortante mostrare ai ragazzi che anche noi ci interroghiamo, che anche noi ci poniamo delle domande, anche noi facciamo esperienza di quel che stanno facendo loro: anche noi non sappiamo tutto.
A volte alcuni adulti dicono dei miei libri: "Non rispondi mai alla domanda. I bambini si arrabbieranno molto per questo!”. Ma io penso: “No, i bambini non si arrabbiano per questo, saranno gli adulti a farlo!”.
Oppure: "Oh, i bambini si sentiranno a disagio con l’ambiguità!”. Io non penso. Vorrei rispondere loro: "Avete mai incontrato un bambino? Avete mai incontrato un adulto? Cosa vi fa pensare che gli adulti siano a loro agio con l'ambiguità? Odiamo l'ambiguità nell'arte e nella narrazione, nelle relazioni con gli altri. Ma per essere umani abbiamo bisogno di sederci al suo interno, anche se è scomodo. È scomodo per gli adulti e per i bambini, ma loro sono più a loro agio. L’ambiguità credo sia il luogo dell’arte, un luogo dove due cose incompatibili e vere allo stesso tempo, come l’inconsapevolezza e la ricerca, stanno insieme. È questo che possiamo dare ai bambini con le buone storie.
Hai collaborato con artisti davvero eccezionali penso a Jon Klassen… Deve essere difficile vedere le proprie parole tradotte nell’immagini di qualcun altro. Qual è la tua esperienza? Mi sono immaginata, per esempio, tu e Jon Klassen seduti fianco a fianco, a chiedervi: ma come fa Babbo natale a scendere dal camino?
Con ogni illustratore la collaborazione è diversa. E anche con Jon, con cui ho lavorato di più, ogni libro ha funzionato in modo diverso, ma lo scenario che hai immaginato è veritiero! Abbiamo ideato Sam e Dave scavano una buca insieme durante una colazione e, mentre raccontavo la storia, ho detto che sarebbe stato molto divertente se questi due bambini avessero scavato una buca alla ricerca di qualcosa di speciale, ma poi non l'avessero trovato. Mentre parlavo Jon disegnava su un tovagliolo. Ad un certo punto Jon ha disegnato i due ragazzi che girano intorno al diamante e io ho pensato che fosse così divertente, ma nello stesso tempo ero convinto che i due protagonisti stessero facendo questa cosa insieme e che sarebbe stato davvero spaventoso per loro separarsi. Jon mi ha dato ragione, ma poi abbiamo continuato a parlare di quanto fosse divertente quella immagine e mi sono reso conto che, in realtà, bastava solo riscrivere il testo!
Purtroppo autore e illustratore, almeno negli Stati Uniti, sono spesso tenuti separati e spesso si suppone che l’illustratore debba solo fare quello che dice il testo, farlo funzionare. È ridicolo. Il rapporto autore-illustratore dovrebbe essere flessibile, collaborativo. Io e Jon ci sentiamo tutti i giorni, quando lavoriamo a un libro e parliamo di tutto. Il libro più collaborativo a cui abbiamo lavorato è stato Come fa Babbo Natale a scendere dal camino? Jon ha ricevuto il manoscritto e gli è piaciuto molto e il suo cervello si è messo in moto. Quindi abbiamo iniziato a sentirci, parlando di quanta neve dovesse esserci, o del colore dei sacchi… Jon poi, se disegna qualcosa che ritiene molto divertente, mi manda subito la foto, e io comincio subito a ridere e gli rispondere con un messaggio. “Sì, sì è così” gli dico… ci si incoraggia a vicenda.