Non credo che Luis Sepúlveda, autore cileno, abbia bisogno di presentazioni. Io lo conobbi con un’opera che probabilmente è considerata secondaria (Diario di un killer sentimentale), ma non mi appassionò come altri scrittori sudamericani che invece mi hanno rubato il cuore. Dopo anni, però, incontrai le sue storie dedicate all’infanzia e scoprii un Sepúlveda diverso che mi piacque molto di più, un autore che dà voce agli animali per parlare di quotidianità con un occhio diverso e per rappresentare in modo essenziale dinamiche emotive e sociali che forse tra gli uomini si complicano senza ragione.
Le principali storie che l’autore dedica ai ragazzi sono quattro:
Ciò che accomuna tutte le narrazioni è uno stile intimo, preciso, ma mai astratto. L’autore dà voce a personaggi animali, mostrando una sintonia particolare nell’esprimere i loro sentimenti, le loro emozioni e i loro comportamenti. Non mancano le ripetizioni (di frasi, di sintagmi…) che scavano nel testo narrativo anse quasi poetiche e numerosi dialoghi che rendono le storie scorrevoli alla lettura. I contenuti, pur svolti con immediatezza e con una semplicità data dal racconto di esperienze reali, costudiscono e offrono riflessioni profonde sull’identità, l’amicizia e la crescita, senza banalità. La dimensione quotidiana cittadina ed europea, infine, da cui l’autore si allontana solo l’ultimo romanzo, rende la struttura narrativa facilmente proponibile e affascinante per un pubblico tra i 7 e i 9 anni.
Il testo più famoso – anche per la trasformazione in lungometraggio animato – ed anche più complesso a livello di trama è Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Questo romanzo, dipanato in 11 capitoli, racconta in terza persona la storia di accudimento e crescita di un gatto gentile e nero come il carbone, Zorba, ed un uovo di gabbiano che regalerà alla strampalata compagnia di gatti, amici del protagonista, una pulcina, Fortunata, di cui occuparsi. Tra scimmie che alzano il gomito, topi mangiatori di uova, promesse a madri morenti, umani lungimiranti e desideri imperiosi di volare, la storia racconta della bellezza e della rivoluzione (cioè del cambiamento che implica nel soggetto educante!) di accompagnare nella crescita qualcuno e del coraggio di spiccare il volo. Per la lunghezza del testo, più che per la complessità dei contenuti, il romanzo si adatterà bene ai ragazzi della terza primaria.
«“Ora volerai, Fortunata. respira. Senti la pioggia. È acqua. Nella tua vita avrai molti motivi per essere felice, uno di questi si chiama vento, un altro ancora si chiama sole e arriva sempre come ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali.” miagolò Zorba. La gabbianella spiegò le ali. […] “Ora volerai” miagolò Zorba. “Ti voglio bene. Sei un gatto molto buono” stridette Fortunata. “Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo” miagolò Zorba. […] “Bene, gatto. Ci siamo riusciti” disse sospirando. “Sì sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante” miagolò Zorba. “Ah sì? E cosa ha capito?” chiese l’umano. “Che vola solo chi osa farlo” miagolò Zorba».
Più semplice, ma costruita sempre intorno ad un gatto nero e gentile, Mix, è la più breve Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico. Confinata nell’orizzonte di un appartamento, del suo tetto e degli alberi della via sottostante, questa storia racconta di un gatto che un giorno divenne cieco e che ritrovò i suoi occhi e la gioia dell’avventura grazie all’improbabile amicizia con un topino pauroso e vigliacco. Un’amicizia e una cordialità extra-specie che è lo specchio del rapporto simbiotico, ma rispettoso e premuroso che c’è tra Mix e il suo umano, Max. Una storia di amicizia che sfonda i limiti, grazie alla fiducia e alla stima reciproca che potrà essere proposta anche dal secondo anno della primaria.
«Mix ascoltava attentamente e la vocina del suo nuovo amico gli permetteva di rivedere l’orizzonte di tetti coperti di neve, il fumo che usciva dai comignoli, le macchine che avanzavano lente sul tappeto bianco dell’inverno. Il topo riportò ai suoi occhi bui una felicità mai dimenticata e quando disse che in lontananza, molto in lontananza, si vedevano due enormi cipolle in cima alle torri, Mix capì che si riferiva alle cupole della Frauenkirche, quei campanili su cui tutti i gatti di Monaco sognavano di arrampicarsi».
Torna invece alle sue origini cilene (nei romanzi precedenti l’esperienza di poeta naturalizzato e rifugiato in Europa è evidente!) l’ultimo romanzo che, quasi a confermare il coinvolgimento personale dell’autore, è anche l’unico narrato in prima persona, attraverso una focalizzazione nel protagonista, un pastore tedesco.
Attraverso un continuo alternarsi linguistico con la lingua nativa dei mapuche (il mapundungun), questa storia sembra nata attorno ad un fuoco, nelle parole di un vecchio senza età. E come nelle fiabe antiche, la violenza, la paura, il dolore feriscono in modo più duro. Incontriamo il protagonista prigioniero di una compagine di uomini cattivi che lo picchiano e che lo usano per perseguitare le popolazioni di indios native del luogo, in nome del progresso industriale ed economico. Ma il dolore, la fame e la paura del cane non si trasformano mai in ribellione, il protagonista ricorda la sua infanzia felice tra la Gente della Terra, l’amore e il rispetto delle creature e del mondo entro cui si sentiva un elemento pulsante, vivo e bello al pari del suo compagno umano. Il destino vorrà che il braccaggio dell’indios ribelle lo riaccompagnerà nelle braccia del suo compagno umano, per il quale non avrà esitazione ad offrire la vita. Una storia intensa, a tratti dura anche se mai inutilmente, ma che vale di conoscere: a partire dal terzo o quarto anno della primaria.
«Aukamãn mi prende fra le braccia e dice: Marichiweu peni, dieci volte vinceremo fratello, perché è così che si saluta la Gente della Terra, senza mai dire addio. Io sono Aufman, il ricordo di un cane, e la mia storia si racconta nelle ruka della Wallmapu, quando la nebbia del Sud del mondo nasconde il paese della Gente della Terra».
Infine poche parole sull’unica storia che non mi ha convinto, quella della lumaca che scoprì l’importanza della lentezza. La trama infatti, pur mantenendo i toni intimi e familiari delle narrazioni precedenti si arresta – a mio avviso – su risposte semplicistiche ad interrogativi e tematiche che ancora una volta invece vogliono essere profonde: che senso ha essere lenti? Che senso ha essere, in senso lato, diversi? La risposta mi è sembrata più preoccupata di una soluzione funzionale che di una reale riflessione sull’accettazione della propria identità e, in fondo, non mi è sembrata convincente, ma affrettata.
Tre storie intense e interessanti.
Potete leggerle nella raccolta unica di Guanda (Tutte le favole) o nei singoli volumi sempre per i tipi di Guanda, con le lievi illustrazioni di Simona Mulazzani. La gabbianella la trovate anche in edizione Salani.
P.S. non perdetevi le postfazioni dell’autore che regala ai suoi lettori gli spaccati reali dai quali sono nate le sue storie!
Adoro Sepùlveda 🙂