Ricordare significa riportare alla memoria un fatto perché questo viva, cambi e incida sul presente di ciascuno. Ricordare la Shoah per me significa guardare al dramma e al dolore di allora ricordandoci di essere uomini, oggi. Oggi siamo di fronte alla stessa violenza che piaga da anni una Siria sofferente, dove le storie di bambini, donne e uomini coraggiosi e meno coraggiosi, fortunati e meno fortunati, ma comunque perseguitati non sono ancora state raccontate. Questo è uno ma i drammi sono dappertutto e quasi non li si riesce ad elencare e non parlo solo di guerre civili, persecuzioni… parlo anche dei drammi che silenziosi percorrono la nostra quotidianità: il vicino di casa, il bisognoso per strada, la collega...
In un mondo che a guardarlo davvero riempie di terrore e di tristezza il lavoro di ieri come di oggi è rimanere attaccati alla speranza. Provvidenza la chiamano i cristiani.
Per questo il libro di oggi mi ha colpito fin dal titolo: L’inizio.
«Una volta ci fu una guerra.» così incomincia il libro di Paula Carballeira. Uno spazio grigio e marrone, fangoso e desolato e soprattutto deserto, ritratto finemente da Sonja Danowski, si apre sotto ai nostri occhi. «Quando la guerra finì eravamo senza casa. – Non importa – disse mia madre – abbiamo una macchina».
Tra gli scheletri dei palazzi, le macerie sulla strada e la plumbea pesantezza dell’atmosfera il volto della madre non sembra così sereno. «Poi i vestiti iniziarono a sciuparsi. – Meglio così – disse mio padre – ci sarà meno da lavare». Nella desolazione, i rottami, la sporcizia e i rifiuti sembra che il lume sia il fatto di essere insieme, l’essenziale diventa l’unica cosa che rimane in mano: «Non c’era più la luce elettrica, quindi i rumori della notte ci facevano molta più paura. Proprio per questo ci coricavamo vicini vicini». A tavole in cui vediamo la vita della piccola famiglia, si alternano tavole inanimate con spazi devastati, distrutti: come se a volte la bruttezza e la tristezza reclamassero il loro spazio, perché in fondo la guerra ti segna per la vita e non solo perché ti investe con il suo male, ma perché con essa riscopri il male che c’è anche in te.
Dov’è la mamma mentre il papà si asciuga al sole? Magari piange, respira forte e appoggia la testa all’erba.
«Un giorno, qualcuno si mise a giocare. Un altro giorno una bambina sconosciuta di mise a ridere». Sono i bambini ad essere contagiosi e l’onda di contagiosa letizia investe anche gli adulti, che per la prima volta sembrano vedersi, iniziano a riunirsi, iniziano a farsi compagnia.
«Eravamo vivi. Era come una festa. La festa dell’inizio di qualcos’altro».
Anche lo spazio sembra testimoniare di aver ripreso un po’ di tepore e di temperatura, i colori uniformi virano al giallo, i rossi sembrano più vivi, i verdi sono più intensi e anche i rosa degli incarnati sembrano aver preso colore. Le rovine rimangono, ma sugli alberi intravediamo delle gemme e gli uccelli sembrano giocare con i bambini.
I bambini, dicevo, sono l’onda, inconsapevole e sorridente, ma il vento all’origine del movimento sono i genitori, sono gli adulti che permettono con la loro certezza ferma di iniziare un nuovo tempo: lo fanno alla seconda tavola quando con quel “non importa” decidono di non lasciare che il male continui la sua opera di conquista. È una debole opposizione, forse traballante, ma che poggia su una speranza che pagina dopo pagina dà la vita a tutto ciò che c’è intorno e permette anche ai bambini di ritornare ad essere solo loro, bambini.
Le immagini realistiche e minuziose, i cieli bianchi e scuri illuminati sospendono la storia nell’indefinito e la rendono universale. Le tavole ferme come fotogrammi in fermo immagine - e in effetti le tavole sembrano foto invecchiate - amplificano questo effetto, così il vento quando scompiglia i capelli e muove le figurine di carta è ancora più significativo, così come quel filo che si intravede appena tra le mani della madre all'inizio e che torna tra le dita dei bambini alla fine.
Ho parlato con questo libro triste a mio figlio di un tempo lontano e di un tempo vicino, per cui preghiamo ogni giorno.
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Il testo è pochissimo (una o due frasi lapidarie per doppia pagina, di norma). Io l’illustratrice non la conoscevo, invece!
Sembra proprio molto bello…. sarà che mi piace moltissimo lo stile della Danowski.. (non capisco però se c’è molto o poco testo, e se c’è una storia…). Un ottimo modo per affrontare temi così difficili.., grazie.