Resilienza è una parola di recente riscoperta. La capacità di far fronte alle difficoltà senza venirne schiacciati è infatti ormai considerata una dote molto apprezzata, soprattutto in un mondo come il nostro dove, abituati al tutto e subito, i bambini sono spesso digiuni di sconfitte, frustrazioni e fallimenti. Una malattia moderna, quella dell’infallibilità che pesa emotivamente sempre di più sui ragazzi. Eppure in un passato non poi così lontano i bambini erano grandi insegnanti in fatto di risorse e sconfitte.
Ce lo ricorda Pom e Pim, recente novità di casa Beisler a firma di una delle coppie artistiche finno-svedesi più note e celebrate.
Sul canovaccio del celeberrimo pilastro della letteratura per l’infanzia di Remi Charlip Fortunatamente (1964), Lena Landström cala il tema dell’alternarsi della sorte nella quotidianità di un bimbetto e del suo pupazzo, nella quotidianità di Pom e Pim appunto.
La narrazione è in parte esterna («Pom e Pim vanno a spasso»), in parte focalizzata sui due piccini grazie ai discorsi diretti, gli sfondi neutri e i dettagli contestuali essenziali, concentrano visivamente tutta l’attenzione sui due protagonisti.
«Fa caldo. E c’è il sole. Che fortuna!»
«Ahia!»
«Che sfortuna».
Il piccino, mentre saltella allegramente godendosi il sole, infatti, inciampa su un sasso. Tuttavia ogni “sfortuna” è l’incipit di una nuova “fortuna”, in una sequenza reiterata e ciclica: Pom trova un soldo, poi si compra il gelato, però lo mangia troppo velocemente e gli fa male la pancia, mentre si riposa a letto ritrova un palloncino perduto che però poi si buca…
Il ritmo è binario, ma poi non così incalzante (spesso gli episodi positivi superano nella sequenza i momenti sfortunati) e ci si gode con calma il fluire del pomeriggio di Pom e Pim. L’orizzonte quotidiano è davvero piacevole e le battute lapidarie del piccino accompagnano la narrazione, rendendo partecipi i lettori più piccoli che potranno immedesimarsi e dare voce al protagonista. Solo la scelta delle espressioni «Che fortuna! / Che sfortuna!», le ho trovate molto adulte e in parte ammiccanti al pubblico dei genitori che oggi spesso, appunto, cerca libri che mostrino come dalle difficoltà e dalle sconfitte nascano molte opportunità. A parte però questa notazione linguistica, non credo che la storia sia forzata o pilotata affinché insegni qualcosa: Pom probabilmente dopo essere inciampato sul sasso avrebbe detto «Ahia!» ugualmente e poi si sarebbe stupito della banconota senza dire niente. Ancora una volta insomma i bambini mostrano una libertà di essere che supera la rielaborazione degli adulti che vorrebbero vedere uno sforzo per vincere la delusione: da piccoli i bambini sono naturalmente fiduciosi e difficilmente si scoraggiano di fronte alle frustrazioni.
I personaggi sono dunque convincenti e la storia semplice e felicemente persuasiva, il ritmo lento, ma ordinato, le illustrazioni chiare e simpatiche nelle rughe espressive e nei gesti bambini che fanno di Pom un bimbetto davvero adorabile. Olof Landström lo avevamo già apprezzato nella sua sensibilità ritrattistica!
Un libretto consigliato dai 2 anni, piacevolissimo!