L’8 di novembre è uscito per Mondadori Il Piccolo Principe, illustrato da Beatrice Alemagna. Ad introdurre questa nuova edizione è stata chiamata Anna Castagnoli, autrice, illustratrice e studiosa di libri per bambini. A lei ho sottoposto alcune domande sul romanzo di Saint-Exupéry, sulle illustrazioni di Beatrice Alemagna e sul contesto in cui nasce quest’opera. Le risposte sono ricche di spunti precisi e pensieri preziosi, di cui sono immensamente grata. Vi lascio alle sue parole.
Come hai sottolineato benissimo nell’introduzione alla nuova edizione, leggere i libri di de Saint-Exupéry è una scoperta forse quasi più elettrizzante che leggere Il Piccolo Principe. A cosa è dovuto, a tuo parere il suo successo planetario che ha surclassato tutti gli altri testi? Al fatto che sia un libro “per bambini”?
Ho scritto che sono dei capolavori trascurati dal grande pubblico. È un peccato. Leggere Terra degli uomini, Corriere del sud, Volo di notte aiuta molto a capire Il Piccolo Principe, perché Saint-Exupéry è un uomo che ha avuto una visione e ogni suo libro è un tentativo di trasmetterla all’umanità.
Bisogna pensare che Saint-Exupéry è uno dei primi uomini della storia a sorvolare oceani e terre vastissime. Quei pionieri del volo transatlantico rischiavano la vita per portare la posta tra l’Europa e l’America del Sud. Era la prima volta che la terra si offriva allo sguardo nella sua vastità deserta, senza uomini. È una visione simile a quella che avrebbero avuto, qualche decennio dopo, i primi uomini dalla luna: alla fine non era la luna ad averli sorpresi, ma la Terra vista da lontano, sola nell’immensità dello spazio.
Abbiamo avuto la fortuna che uno di quei piloti fosse anche un poeta, uno scrittore. Non solo. Uno scrittore atipico, quasi un mistico. C’è una verità nei suoi scritti, ma la verità non è, come molti credono, uno slogan, la verità è qualcosa di impalpabile che pulsa non sai bene dove. È fatta di mani sporche di olio che riparano un motore, di stelle, di un amico lontano. La critica non ha saputo collocare quei libri da nessuna parte nel panorama letterario, così Saint-Exupéry come scrittore è stato quasi dimenticato. Il libro del Piccolo Principe ha avuto successo, forse, perché la critica adulta non si occupa di libri per bambini: è sfuggito alle maglie dei censori di verità sottili.
Rimettere le mani su un testo sostituendo le illustrazioni dell’autore è operazione quanto mai delicata, tu parli di «scalare il K2 in inverno» (!), ma l’impresa è risultata riuscitissima ad un’artista come Beatrice. Come critica e studiosa dell’immagine, questa operazione che significato ha?
Il Piccolo Principe è caduto nel dominio pubblico, chiunque, fuori dalla Francia, può pubblicarlo, illustrarlo, riscriverlo. Amo questa libertà creativa che le buone storie offrono nel tempo. Quando Mondadori mi ha contattata per invitarmi a scrivere l’introduzione, Beatrice Alemagna stava ancora lavorando ai disegni: ero curiosa ma anche tesa all’idea di vedere un nuovo piccolo principe. Non era la prima volta che un illustratore ci provava e nessun piccolo principe che non fosse l’originale mi era mai piaciuto. Quello di Beatrice Alemagna mi ha rapita. Al punto che di colpo i disegni di Saint-Exupéry mi sono sembrati un filo impolverati.
Per poter fare un parallelo tra i due lavori, ho letto molte lettere e riflessioni di Saint-Exupéry, oltre che di suoi amici e familiari, sulla genesi del libro. Il lavoro di Beatrice Alemagna invece lo conoscevo già bene, avendola seguita fin dai suoi inizi.
Saint-Exupéry sapeva che sarebbe partito in guerra quando stava scrivendo il Piccolo Principe, sapeva che era il suo testamento letterario. Sia i disegni che il testo sono quindi epici. C’è qualcosa di iconico, eterno, in quel principe che viene dallo spazio. C’è anche qualcosa di tenero, perché è un messaggio immenso inviato ai più piccoli abitanti del pianeta. Saint-Exupéry aveva perso completamente fiducia negli uomini adulti, l’ultimo sprazzo di speranza lo dedica a un bambino e a tutti gli uomini che sono stati bambini (forse una delle più belle dediche mai scritte).
Beatrice Alemagna illustrando il testo da esterna, senza la pressione esistenziale dell’autore, ha creato un personaggio più vivo, un vero bambino, quindi ancora più commovente nel suo viaggio solitario. È stato un privilegio poter approfondire questo passaggio.
De Saint Exupéry fu aviatore ed è facile immaginare che quel biondo principe che si allontana da casa, per capire come funzionano le cose, sia una figura letteraria dall’autore stesso. Anche fu aviatore Roald Dahl e anche tuo zio, hai raccontato! Si può pensare che il viaggio, l’allontanarsi da casa, il volare stesso influenzino e formino una visione particolare dell’infanzia? È così per te?
Saint Exupéry stesso nelle sue lettere alla moglie dice che il piccolo principe è lui bambino. Ha avuto tutta la vita una nostalgia feroce della sua infanzia, forse per lui, come per altri scrittori di quegli anni, non è stato tanto il viaggio, quanto la guerra che ha creato una frattura tra il prima e il dopo. La nostalgia per un mondo di valori che non esisteva più. Stefan Zweig ne Il mondo di ieri e Patrick Fermor in Tempo di regali sono i due scrittori che meglio hanno descritto questa cesura.
Il tema dell’infanzia idealizzata è molto ottocentesco: è l’idea romantica di un mondo idilliaco, primigenio, precedente all’impronta nefasta della società e della rivoluzione industriale.
Avendolo studiato molto perché mi interessa la storia dell’infanzia, mi sembra di poterti rispondere che non è il viaggio che crea una determinata visione dell’infanzia, è l’epoca.
Personalmente non ho una particolare visione dell’infanzia. Mi piace conoscere i bambini uno alla volta, quando li incontro, e non li penso mai in astratto. Della mia infanzia, che ho raccontato in Super 8 (Topipittori), mi piacevano soprattutto i libri di immagini, e mi piacciono ancora di più oggi, quindi, nessun rimpianto 🙂
La figura del piccolo principe è stata molto idealizzata e fa i conti con una retorica che ha estrapolato poche frasi del romanzo per farne motti, invece il romanzo è molto complesso, ricco di meandri e provocazioni. Gli adulti amano Il Piccolo Principe, lo sentono affine a loro. Secondo te perché? Il Piccolo Principe è un bambino vero? Può parlare ai bambini d’oggi?
È vero, si ricorda il libro per alcuni slogan facili («non si vede bene che col cuore»), ma la sua bellezza è più complessa.
Bisogna dire che non tutti gli adulti e i bambini amano questo libro, magari lo comprano, ma detto tra noi ha delle parti che sono un po’ melense, anche Saint-Exupéry lo sapeva. Diceva a posteriori che aveva messo troppi pianeti. Gli incontri sui pianeti sono simpatici, ma alla fine stufa un po’ la vocina saccente del piccolo principe che fa sempre la chiosa agli adulti stupidi.
A mio gusto sono molto più belli i capitoli nel deserto, dove la relazione tra l’aviatore e il piccolo principe si fa più umana.
Non sono d’accordo sul fatto che il piccolo principe è un bambino vero, anche se l’ispirazione dello scrittore può essere venuta dal ricordo di quel bambino che è stato.È un personaggio di finzione. Leggendo Terra degli uomini, dove Saint-Exupéry racconta della sua esperienza di lotta per sopravvivere, una volta che era precipitato nel deserto, si capisce appieno quanto Saint-Exupéry fosse uno scrittore. Nella realtà, quando si era perso, non era solo, ma con un co-pilota. Nella realtà, sapeva disegnare, aveva passato l’infanzia a disegnare e aveva frequentato un anno di Accademia di Belle Arti per studiare architettura, carriera che ha poi abbandonato. Disegnava sempre, ovunque, anche sulle tovaglie dei ristoranti. Quindi tutto l’impianto narrativo del Piccolo Principe, con l’aviatore che si perde da solo nel deserto e non sa disegnare, è fittivo, è un impianto retorico.
Non è stata una delusione andare a sbirciare dietro le quinte della finzione. Al contrario, dopo aver studiato tutta l’opera di Saint-Exupéry, per la prima volta, il Piccolo Principe mi è piaciuto immensamente.
La morte, la malinconia, il dolore sono componenti fondamentali di questa storia e sono raccontate con molta naturalezza. Eppure nell’editoria illustrata e per bambini di oggi queste emozioni sono ridotti a “tema”, estrapolati e affrontati come qualcosa da risolvere. Cosa è cambiato secondo te? Cosa ci dà la possibilità di riscoprire sull’infanzia il Piccolo Principe?
La morte, la malinconia, il dolore sono componenti della vita, e i bambini lo sanno benissimo.
Quando Saint-Exupéry scriveva il Piccolo Principe a New York sapeva che sarebbe ripartito per la guerra e forse morto, i suoi amici più cari erano in Europa e forse morti. Tutto il mondo era in un braccio di morte (i baobab che avviluppano la terra sono la metafora del nazismo). Non ha scritto un libro per vendere o per parlare della morte, ha scritto per trasmettere al mondo una visione che aveva avuto, e trasmetterla attraverso il talento che aveva: saper raccontare storie. Abbiamo avuto alcuni decenni, dopo la seconda guerra mondiale, in cui ci siamo dimenticati che la morte, la malinconia, il dolore sono componenti della vita: abbiamo potuto parlarne in astratto. Abbiamo spostato la morte, le guerre e il lavoro minorile fuori dalla nostra vista, e ce ne siamo beatamente dimenticati. Svegliarci da questo sogno ipocrita dopo la pandemia e l’invasione dell’Ucraina costa molta fatica, lo stiamo sentendo tutti.
Spero che nascano nuovi scrittori e illustratori, del talento di questi che abbiamo nominato nell’intervista, o nuovi illustratori con la sensibilità di Beatrice Alemagna, per poterci specchiare, come il piccolo principe nella campana di cristallo posta sopra il suo amato fiore, in tutta la complessità irrisolvibile della vita e, per un attimo, sentire che una certa bellezza, nonostante tutto, ci consola.
Grazie Maria per l’intervista.