L’autunno è ben che incominciato, lasciando alle spalle gli ultimi insperati soli caldi di queste settimane.
Questo weekend ho fatto il cambio degli armadi, liberando dal cellophane giacche e cappotti di lana calda. Ninja, la nostra tartaruga di terra, si aggira sempre più sonnolenta per il prato e la buca sotto il suo riparo diventa ogni giorno un po’ più fonda. Adesso, prima di far entrare Taz in casa, devo pulirgli le zampe (quando mai ho pensato che delle piastrelle chiare stessero bene in cucina? E soprattutto perché?!). Il mio naso ha iniziato regolarmente a sgocciolare e se non mi asciugo bene le mani le mie mani si screpolano in un battibaleno. Settimana prossima poi torneremo all’ora solare e alle 17 farà buio, un anticipo d’inverno.
In questi giorni in cui il mio unico desiderio sarebbe starmene sotto una coperta a leggere sul divano, desiderio quanto mai irrealizzabile :D, io e Saverio ci siamo dedicati alla rilettura di un albo delicato della coppia Philip C. Stead ed Erin E. Stead, in attesa di avere fra le mani il loro ultimo libro che si preannuncia davvero memorabile.
Il raffreddore di Amos Perbacco è stato il primo libro della coppia, un libro premiatissimo che ha reso noto il tratto delicatissimo e gentile di Erin, i suoi tempi lenti, posati e fermi di attesa.
Protagonista di questa storia, a differenza degli altri albi di cui abbiamo parlato, è un adulto, anzi un anziano, che però dorme con un orsacchiotto e indossa pantofole con la faccia di coniglio.
«Amos perbacco era un tipo mattiniero»: con il suo pigiama a righe verdi d’altri tempi, il suo letto in ferro battuto spartano e il suo armadio a due ante decisamente d'epoca, Amos si stiracchia sorridente.
Ciò che colpisce di questo personaggio è il realismo della sua rappresentazione: le rughe e la stempiatura, il ventre gonfio, le manone quasi sproporzionate da lavoratore, il pomo d’Adamo in evidenza, il naso importante… Non siamo davanti ad una figura stereotipata: questa è proprio la storia di Amos, tratteggiato sottilmente da una linea grigia e da un disegno accurato, antico. Il tempo imperfetto ci guida in un tempo passato che fu e che forse non tornerà, un uomo d’altri tempi che «si rivolgeva alla zuccheriera dicendo: “Un cucchiaino per i miei fiocchi d’avena, per favore, e due per il mio tè”». Amos vive da solo, ma porta in sé una cordialità e una serenità contagiose, così quando varchiamo con calma la sua porta di casa siamo curiosi di sapere dove si dirigerà: è l’autobus numero cinque a portarci diretti allo zoo. «Amos aveva sempre molto da fare allo zoo, eppure trovava sempre il tempo per una visita ai suoi amici». Riuscite ad immaginare luogo più affollato e confusionario? Eppure gli attimi che Amos trascorre con il suo amico elefante, la sua amica tartaruga, il pinguino, il rinoceronte, il gufo e gli altri animali sono attimi fuori dal tempo: non c’è suono, non c’è spazio, solo lui e la sua capacità empatica di capire i bisogni dell’altro e offrire di volta in volta, un fazzoletto, una scacchiera, un esortazione, un po’ di silenzio. Ecco, se ci fate caso, Amos non apre quasi mai bocca eppure il suo sorriso ci racconta molto si sé.
Una mattina, probabilmente ottobrina, però: «Amos si svegliò e starnutì, tossì e rabbrividì… “Ouh! Penso proprio che oggi non andrò a lavorare”», disse stringendo forte al petto il suo orsachiotto, con naso leggermente velato di rosa. È una piccola cosa, ma si sa sono i dettagli a cambiare le giornate: così gli amici animali, prendono una decisione quasi all’unisono e in silenzio attraverso due tavole mute, raggiungono l’amico ammalato: «“Urrà! Sono arrivati i miei amici”». Chi dà amore, si è detto, ne riceve in cambio e così ogni animale restituisce quella cura e quell’attenzione che Amos quotidianamente dedicava loro. Non serve molto, a volta basta restare seduti, calmi e tranquilli, tenendo al caldo i piedi dell’amico.
Al di là dei colori tenui che appaiono e scompaiono su tavole in bianco e nero, del ritmo lento del testo e della minuziosità dei disegni per cui potrete apprezzare ogni ruga e ogni piega della dura pelle del rinoceronte, così come la fantasia della coperta, ciò che riempie gli occhi e il cuore sono i gesti, ponderati e pensati. La mano appoggiata grata sulla proboscide dell’elefante, gli stivali accavallati con timidezza, il saltello del pinguino per raggiungere il palloncino, il piede che accarezza il muso del rinoceronte, la coperta stesa sul pavimento per non far prendere freddo...
Amiamo molto questo libro e questa illustratrice che beneficamente sembra giungere ad assistere i lettori che sotto alle coperte, con tazza bollente in mano, abbisognano proprio di una lettura da assaporare.
Prendersi cura dell’altro è fatto proprio di queste piccole cose, gesti quotidiani che magari nessuno noterà mai, ma che sono fatti per te e che donano una letizia e sprigionano calore anche tra primi freddi autunnali.
P.S. Veramente romantico che i due autori si siano dedicati il libro a vicenda!
[…] un lavoro strabiliante, capace di accompagnarci con intensità dentro il cuore dei bambini. Se in Il raffreddore di Amos Perbacco avevamo ritrovato l’incantata empatia dell’infanzia, in Lenny e Lucy ci viene mostrato il […]
Ecco io non ne ho parlato, ma l’idea dello Zoo ha interpellato anche me…
Adoro così tanto la premiata ditta Stead, che in questo libro riescono a riconciliarmi con un luogo che non amo: lo zoo.
Grazie Maria per questo caldo risveglio!