Io amo le parole e amo anche il silenzio, ma soprattutto credo che le parole siano significative, credo che abbiano un peso, possano creare una musica. Per lavoro io studio le parole, le guardo con la lente di ingrandimento e cerco nei testi la bellezza, “l’oggettiva” bellezza dentro ogni testo che va oltre il «mi piace», «non mi piace», una oggettività data dalla sapienza di dosare, scegliere, combinare le parole. Così di questo libro mi sono innamorata.
È arrivato una mattina di sole, in spiaggia con un ragazzo di Terre di mezzo che dopo avermi identificato come la gallina dalle uova d’oro :) dopo i precedenti cinque libri voleva vendermene un altro. Ero assolutamente decisa per il risparmio ma mi è bastato sfogliare La fabbrica delle parole di Agnès De Lestrade e Valeria Docampo, per capire che doveva venire a casa con noi.
Il libro racconta di una storia d’amore (tematica abbastanza comune!) tra Philéas e Cybelle che vivono però nel paese della fabbrica della parole dove, paradosso dei paradossi, si producono tutte le parole del mondo, ma per pronunciarle bisogna pagarle e mangiarle. Così i bambini rovistano nelle spazzatura o con i retini rincorrono le parole perdute: ma cosa si può fare si «carabattole» e «fichi secchi»?
Pensate se dovessimo scegliere accuratamente quali parole comprare per poterle… dire. Cosa scegliereste? Prima di leggere questo libro, avrei dato certamente una risposta differente da quella che darei ora. Insomma Philéas è perdutamente innamorato della bella Cybelle, ma non può dirle niente così le sorride e cerca di leggere le parole scritte negli occhi, nei gesti e nell’espressione di lei. Ma, come in ogni storia d’amore che si rispetti, c’è un rivale: Oscar che è ricco e dispone di molte parole e, a quanto sembra, proprio di quelle giuste. Oscar può declamare a tono sostenuto l’amore per la bella Cybelle. Philéas è scoraggiato: le tre parole cadute nel retino sono ben poca cosa ma deve dirle e così consegna in un sussurro il suo cuore e le sue tre parolette a Cybelle, che le accoglie ad occhi chiusi per SENTIRLE meglio. Il cuore di Philéas può allora riempirsi di gioia, suggellando l’esaltazione di sentirsi amati con una parola tra le più preziose: «ancora!». La storia è di per sé molto significativa ed emozionante, ma le illustrazioni sembrano cucite esattamente sulle parole. Le figure e gli sfondi di Valeria Docampo sono onirici, con qualcosa che ricorda l’oriente, sono futuristici (la fabbrica delle parole ha qualcosa dei libri di Aldous Huxley), ma anche così antichi (le botteghe e i personaggi della città mi ricordano i romanzi ottocenteschi), ma soprattutto sono vivi. Il vento che soffia nella maggior parte delle pagine si sente fischiare, gli occhi chiusi di Oscar come sono differenti da quelli di Cybelle! Della fabbrica in funzione si sente il rumore e… l’odore, e l’espressione di Philéas con il retino in mano così titubante e preoccupato ma si capisce con il cuore gonfio di speranza: commovente!
A celebrare le parole è anche la sapiente disposizione delle parole sulle pagine con cambiamenti di font, di dimensioni, di posizione, di colore che si adattano a rappresentare il personaggio o il tono o il momento…
Il mio è stato amore a prima lettura, ma ero profondamente scettica che potesse essere apprezzato da Saverio alla sua età: glielo leggerò alle elementari, mi sono detta (infatti l’età consigliata è 4-7 anni). Ma come al solito sono stata smentita, perché Saverio lo ha apprezzato subito. Nonostante l’atmosfera cupa di alcune tavole e i sottointesi della storia, Saverio ha colto il punto dando la prova sul campo che a volte le parole possono anche non dire tutto e dire comunque tutto, perché il bello (quello che tocca il cuore) è un linguaggio universale.
P.S. Nato con il libro è anche un progetto di scrittura creativa per bambini in età scolare.
La grande fabbrica delle parole
Agnès De Lestrade - Valeria Docampo
40 pagine
Anno: 2011
Prezzo: 8,00 €, la versione cartonata 15,00 €
ISBN: 9788861891555
[…] Scaffale Basso, 26 settembre 2013 […]