Che cos’è la lingua madre? Perché oggi nel mondo la si celebra? La lingua madre, oltre ad essere un codice linguistico, rappresenta il legame unico di ciascuna persona a un luogo e un popolo che attraverso la lingua manifesta un particolare modo di guardare il mondo. La lingua madre è molto più di una lingua: è una terra, è storia, è volti, è gesti.
Pensate alle parole intraducibili e ai misteri che si celano nei modi di dire.
Questa per me è una grande certezza, infatti nel leggere l’ultimo libro di Jordan Scott - che tra l’altro aveva già riflettuto sul valore della parola e dell’assenza di parola - questa impressione si è fatta presente in me in modo intenso.
Il giardino di Babushka è un albo illustrato dall’incredibile Sydney Smith e custodisce un ricordo autobiografico dell’autore, Jordan Scott, che riguarda la sua famiglia e la sua infanzia.
Nella postfazione al libro, l’autore racconta esplicitamente della sua nonna polacca, della sua fuga in Canada e del tempo trascorso insieme.
«Lei non parlava inglese molto bene, perciò per lo più comunicavamo con gesti, toccandoci e ridendo. Comunque comunicavamo anche con il condiviso amore per il cibo»
Quello che i colori di Sydney Smith illuminano, nel vero senso della parola, è il racconto di una mattina, uguale probabilmente a molte mattine, e di un bambino che viene accompagnato dal padre dalla nonna, prima di dirigersi al lavoro.
La cucina, cuore pulsante della casa, è il luogo dove il piccolo incontra la nonna, intenta a cucinare, illuminata dalla luce polverosa del mattino.
«Eccola lì, nascosta nel vapore delle patate che bollono, che danza tra il lavello, il frigo e la stufa. In mano tiene una rapa, con una gamba apre la credenza e con un gomito chiude il frigo»
Una casa racconta tanto di sé. Nei ricordi dell’autore la Babushka nascondeva cibo in ogni anfratto, con la preoccupazione di non averne abbastanza e quello che ritraggono i colori di Sydney Smith è un luogo raccolto caldo, amato, colmo di amore.
La colazione è scandita in modo impressionante da mani amorevoli e sguardi, diretti quelli degli occhi neri del bambino e più sfocati quelli della nonna, felice.
La mano che accarezza, che raccoglie il cibo, lo bacia e lo ripone nella ciotola… sono gesti amorevoli e umani, ma hanno anche radici antiche. Fanno parte di una storia.
Nonna e nipote si dirigono, poi, a scuola sotto la pioggia battente, ma durante il tragitto la nonna si dedica ad un altro gesto: raccoglie i lombrichi.
La terra ha bisogno di loro e quell’orto, dove dopo scuola la Babushka conduce il nipote, ha proprio il profumo di una terra natia.
«Versa i lombrichi al suolo e li ricopre con un po’ di terriccio. Quando domando a Babushka perché fa così, intinge un dito nella pioggia e mi segue tutte le linee del palmo della mano»
Una mappa, un legame, una cura che fa crescere.
Con un balzo in avanti la storia ci porta nell’appartamento del bambino: la Babushka invecchiata non può vivere da sola. È il turno del bambino di preparare la colazione. La sequenza che racconta questo piccolo rito quotidiano è silenziosa, ma è un canto che ha un accento materno.
Della vita di prima le è rimasto pochissimo, ma è rimasta la terra.
«Babushka ha messo da parte i semi per i suoi pomodori ciliegini giallo-sole. Li pianto in un vaso che metto sul davanzale della sua finestra. È la prima volta che pianto qualcosa. Speriamo che cresca»
L’uscita precipitosa del bambino sotto la pioggia alla ricerca dei lombrichi è un gesto di amore davvero commovente che perpetua quel dialogo mai finito, in una lingua che plasma l’identità come la terra.
Si chiude così un albo da cui non si vorrebbe uscire: si vorrebbe risentire quelle mani nodose tra le proprie, risentirsi guardati da quegli occhi che testimoniano quanto sia fondante l’appartenenza ad una storia, amorevolmente incarnata.
Non smetterò di ripetere quanto sia incredibile la capacità di catturare la luce di Sydney Smith: l’artista ha la capacità, attraverso la trama dei colori, di illuminare da dentro le cose, è capace di creare la luce così come la vediamo (guardate le luci sull’asfalto mentre piove!). Per non parlare dell’eccellente gestione del focus, delle sequenze, del ritmo… che accompagnano le parole, rendendole indimenticabili.
La lingua madre è una Babuschka.