Lo scrittore Brian Phillips intitola la sua postfazione al libro di oggi (I lupi di Willoughby Chase di Joan Aiken) così:
«L’arte magica di Joan Aiken, la più grande autrice per ragazzi che probabilmente non avete mai letto»
Pretenziosa presentazione, mi sono detta, tuttavia non avevo mai letto nulla di Joan Aiken e già in parte dovetti concordare con lui. Nella sua postfazione Phillips poi coglie, a mio avviso, la vera cifra dell’autrice Joan Aiken, proprio nel riassumere il romanzo di oggi:
«La storia inizia proprio nel pieno dell'inverno. Il fiume che scorre tra i boschi intorno a Willoughby Chase (l’enorme, labirintico maniero di Sir Willoughby Green) è completamente ghiacciato. Lady Green, la moglie di Sir Willoughby, si è misteriosamente ammalata, e la coppia è partita per un lungo viaggio in nave che si spera possa ristabilire la sua salute. (Tre cliché letterari - una magione nei boschi, una malattia misteriosa, un viaggio per mare - prima ancora che inizi il romanzo). Hanno affidato la figlia, Bonnie Green, alle cure di una governante (quattro), Letitia Slighcarp, che sostiene di essere una lontana cugina di Sir Willoughby (cinque). Per far compagnia a Bonnie, sua cugina Sylvia, un’orfana (sei) cresciuta a Londra con l’amabile e indigente zia Jane (sette), ha intrapreso il pericoloso viaggio in treno verso nord per raggiungere Willoughby Chase. Le bambine non si sono mai incontrate e i loro caratteri sono diametralmente opposti - Bonnie è forte e caparbia, Sylvia modesta e delicata -, ma diventano subito amiche per la pelle (otto)»
La Aiken è infatti tremendamente eccessiva nel costruire i suoi racconti: non lesina su stereotipi e figure, abbonda… eppure immergersi in tutti questi topoi letterari non appesantisce minimamente la trama, che rimane scorrevole, fluida e genuinamente affascinante.
Bonnie e Sylvia, nel giro di poche pagine, rimangono senza genitori-zii (la notizia del naufragio della nave su cui si erano imbarcati è su tutti i giornali!) e poi senza la protezione dei fidati e amorevoli servitori di casa, licenziati dalla perfida Slighcarp che si rivela immediatamente per quella che è: una perfida governante crudele e approfittatrice (altro cliché) che ha ordito un piano diabolicamente perfetto per appropriarsi della vita dei Willoughby. Bonnie e Sylvia vengono spedite in un orfanotrofio terribile, dove saranno picchiate, affamate e costrette a lavorare (altro cliché), sotto lo sguardo truce di un’ennesima direttrice di orfanotrofio crudele e sadica (altro cliché). Ma queste ragazze, come tutti i bambini letterari ci insegnano, troveranno le risorse per fuggire e svelare il piano disonesto della Slighcarp ordito alle loro spalle.
Questa opulenza di figure letterarie note che si riversa nel testo anche in una generosità descrittiva precisa e calorosa, non risulta mai stucchevole, ma al contrario eccentrica e stupefacente, grazie sicuramente alla capacità della Aiken di orchestrare con armonia e suggestione gli elementi chiave all’interno di una storia misteriosa e ricchissima.
L’esempio chiave che può dare un’idea precisa della capacità di scrittura dell’autrice britannica è rappresentato dai lupi.
I lupi sembrano essere personaggi chiave della storia (costituiscono addirittura il titolo!) e il romanzo, in effetti, si apre in una cupa ambientazione invernale dove i lupi rappresentano uno strisciante pericolo, imminente e celato. I lupi che hanno attraversato la Manica hanno invaso a migliaia l’Inghilterra e, tra i morsi del freddo, attaccano in folti branchi la popolazione, rendendo quasi difficile sopravvivere. Di fortissimo impatto emotivo è la scena in cui la piccola Sylvia viene aggredita da un lupo che sfonda il finestrino del treno e balza dentro lo scompartimento per assalirla!
Eppure questi lupi che si lanciano sui treni in corsa, che escono dai boschi a decine per braccare gli sprovveduti che si avventurino all’esterno e che concorrono in modo fondamentale alla creazione del pathos nei primi capitoli, ad un certo punto della storia scompaiono, non lasciando alcuna traccia del loro peso narrativo. Perché? Ogni topos narrativo ha una funzione precisa nella progettualità dell’autrice e non appare al solo scopo di abbellire la storia: in questo caso la creazione di un crescendo di tensione che facesse sentire i lettori accerchiati da qualcosa di invisibile che stava per piombare su di loro era esattamente l’effetto che desiderava creare come specchio e anticipazione di quello che stava per accadere a Bonnie e Sylvia.
Se riflettete, il piano malefico ordito ai danni dei signori di Willoughby Chase, preparato nell’inganno, nel nascondimento e realizzato in un progressivo e lento accerchiamento che piomberà all’improvviso sul destino delle due protagoniste non è forse un riflesso delle strategie del lupo?
Tra orfanotrofi dal condotti disumanamente, tra giovani ragazzi che conoscono la natura i suoi ritmi e con essa vivono in armonia, tra fughe e punizioni, passaggi segreti e sparatorie…il piano malefico verrà sventato e lieto fine è assicurato.
Il romanzo, scritto nel 1962, si inscrive nel grande filone della ucronia (romanzi di storia alternativa dove gli eventi storici vengono modificati) e questo radicamento storico eccentrico regala a queste pagine un ulteriore originalità che conferma come la scrittura della Aiken e il suo universo letterario non siano né prevedibili né stereotipati.
Rimane il desiderio di ritornare in pagine come queste ricche di personaggi che - ad una prima lettura conosciamo grazie ad altri 1000 romanzi in cui li abbiamo incontrati -, ma che proprio per questo ci fanno sentire a nostro agio immediatamente, pronti a condividerne destino e avventure.
Speriamo che tutta le serie della Aiken ci raggiunga.
Una bella proposta dagli 8 anni.
P.S. l’illustrazione di copertina è di Edward Gorey, che non a caso fu scelto per la prima edizione del romanzo. All’interno invece le illustrazioni sono di Pat Marriott che però non possiede quella sottile ironia mista a terrore in cui Gorey rimane insuperabile.