Non so se sono la persona migliore per parlarvi del nuovo libro di Jimmy Liao arrivato in Italia, infatti la mia cultura cinematografica è piuttosto superficiale e ne L’arcobaleno del tempo invece questa rappresenta un piano di lettura fondamentale. Tuttavia un aspetto che sempre apprezzo dei bei libri è la capacità di lasciare aperte porte interpretative, senza dover capire compiutamente la risposta, e Jimmy Liao è certamente uno degli autori che dona con più intensità questa sensazione ai suoi lettori.
L’impressione che si fa sempre più lucida in me è che l’autore taiwanese semplicemente riesca a gestire una molteplicità di piani narrativi, illustrativi ed evocativi che io non conosco e non possiedo e che quindi la sensazione finale sia sempre quella di non comprendere fino in fondo, eppure questo è anche il bello di tutti i suoi lavori.
L’arcobaleno del tempo narra la storia drammatica e speranzosa di una bambina abbandonata dalla madre e il potere che le storie, il cinema e l’atto del guardare possiedono sia in termini curativi che in termini deformanti e distruttivi.
«Mamma se ne andò quand’ero piccola. Se piangevo perché ne sentivo la mancanza, papà diceva: “Dai, andiamo al cinema!”. “Alla mamma piaceva tanto guardare i film, forse un giorno la incontreremo”».
Il cinema e le storie diventano il luogo della speranza, ma è un luogo fittizio, lontano, falso: usciti dalla proiezione la tristezza e il dolore non danno tregua. Tuttavia il cinema è anche un particolare momento condiviso che la piccola ha con il padre, un momento intimo di condivisione ed è questo che trasforma la bugia cinematografica in un distillato curativo che lega emotivamente due o tre persone (come accade con la narrazione): per la protagonista le storie diventano parte del vissuto reale.
«Piano piano dimenticai il suo aspetto, ma conservavo una bellissima sciarpa di seta che emanava un delizioso profumo di fiori… Spesso entravo nella camera di papà, mi inebriavo del profumo della mamma, e provavo ad immaginarla».
Una sciarpa, gialla, un profumo, di fiori, un filo che ritornerà lungo tutta questa storia (avete notato quante donne con il foulard giallo scorrono tra le pagine?).
È quasi inevitabile che il primo amore della protagonista condivida con lei questa passione: «Sembrava che avessero proiettato il film solo per farci incontrare». Invece un’inaspettata separazione strappa i due lontani: «Giurammo che un giorno ci saremmo incontrati di nuovo dentro un cinema. Dopo la sua partenza, mi sentii persa come le foglie sparpagliate dal vento». È una storia di abbandoni dolorosi che costituisce l’animo provato magari, ma mai vinto di questa ragazza.
«Mamma ti ricordi del mio compleanno? Ami ancora i film? Qual è il tuo film preferito? E quale attore prediligi? Stai bene mamma?… Mamma, sei una di quelle persone che inseguono i propri sogni con coraggio? Sei riuscita a realizzarli? Mamma, ho paura che… un giorno ti siederai di fronte a me e io non saprò riconoscerti».
Il lavoro, i tifoni, l’influenza niente allontana la giovane protagonista dal cinema e dalle sue storie.
«Attraverso le storie degli altri sperimentavo vite diverse, a volte provavo invidia, altre sospiravo».
La luce del proiettore è la luce che la aiuta ad ordinare la sua vita, ad avere coraggio, a continuare. Poi un nuovo amore che sembra quello giusto, un narratore di storie, un regista.
«Come quando aspetti da tanto un film, noi con gioia non vedevamo l’ora di vivere il nostro futuro assieme». Ma le storie, la finzione di un mondo "altro" possono essere drammaticamente crudeli, perché possono rinchiuderti dentro uno spazio fasullo che non è vero, dove la luce illumina se stessa e dove la realtà muore, al buio. È il tempo di un altro abbandono. Quel filo di realtà che ancora la protagonista all’oggettività del vero è fedele e se prima era la mano del papà, la sciarpa della mamma ora è una bimba che le cresce in grembo.
«Raccontai a XinXin la storia del papà e della nonna… anche a lei piaceva il profumo di mia madre e disse che mi avrebbe aiutata a cercarla. Io e XinXin andavamo spesso al cinema. Prima dell’inizio, respiravamo profondamente. Così mi avrebbe avvertita se la nonna fosse entrata nella sala». Siamo ormai al chiudersi della storia eppure ecco che quasi inaspettatamente la speranza fa capolino, il ritorno di un amore di vent’anni prima che mantiene la promessa e torna, un papà che nonostante il tempo cammina fiducioso di un lieto fine. E poi un profumo: «“Va tutto bene, è solo che il finale è davvero commovente”».
Che cosa avrà voluto dire? Perché questa tavola? Dove è finita la mamma? Ho capito davvero il finale? Ho capito davvero la storia? Perché il titolo parla di un arcobaleno?
Ecco, di fronte a queste domande bisogna avere il coraggio di affrontare la frustrazione che un libro aperto, immenso e profondo come questo lascia. Ad ognuno la possibilità (è la forza e il fascino della letteratura, no?!) di dare la sua interpretazione, ad ognuno il compito di trovarne il senso. Quello che a me lascia questa lettura è un senso ordinato di bene che illumina e accompagna attraverso ogni straziante abbandono e dolore della vita.
Quasi ossessionanti i riferimenti illustrativi continui allo schermo (notate quante finestre, quanti quadri e pertugi attraverso cui guardare) e alla proiezione (i fasci di luce, i fari, i faretti, gli obiettivi circolari abbaglianti) a cui si aggiungo inquadrature cinematografiche, cartelloni pubblicitari con le anteprime dei film e riproduzioni-citazioni da scene di film e quadri. Le sue immagini grondano ricchezza, abbondanza… si ha sempre la sensazione di non aver visto tutto (quanto conigli avete rintracciato?).
Insomma un ennesimo libro denso e splendido, che forse per le tematiche sarà compreso maggiormente da un pubblico adulto, ma che rende visibile e sperimentabile una realtà che gli adolescenti non sentiranno lontana e che potrebbero guardare con meno sfiducia e più amore.
L’arcobaleno del tempo
Jimmy Liao - Silvia Torchio (traduttrice)
168 pagine
Anno: 2018
Prezzo: 18,00 €
ISBN: 9788861894556
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