L’edizione di Biancaneve uscita poco tempo fa per i tipi di Camelozampa non è niente più che un’elegante trascrizione, a cura di Silvia Blezza Picherle, Luca Ganzerla e Bruno Berni, della fiaba di Biancaneve dei fratelli Grimm secondo l’ultima versione del 1857.
Cosa, dunque, ha reso tanto attesa e calorosamente celebrata questa uscita? Senza dubbio le illustrazioni di Nancy Ekholm Burkert.
Questa fiaba, che attraversa i secoli con testimonianze che si spingono fino all’antico Egitto e che percorre strade attraverso diverse culture, continua ancora oggi a parlare alle persone per il fortissimo intreccio di temi e immagini che così sapientemente hanno saputo addensarsi tra queste parole.
Il contributo sintetico ed erudito dato dai fratelli Grimm ha fissato uno standard per questa fiaba, che è stato solo lievemente toccato dalla rivisitazione cinematografica di Disney, e ha consegnato ai posteri una storia conosciuta da tutti per le figure iconiche ed esemplari che puntellano questa narrazione.
Questa edizione di Camelozampa riporta sugli scaffali un’opera che vi era arrivata nel 1974, grazie a Rosellina Archinto, e poi mai più rieditata e documenta invece la voce di un artista americana che ha saputo dare un altro volto indimenticabile a questa storia.
Sono infatti le illustrazioni che, di volta in volta, si accostano alle fiabe ad amplificare o a svilire il vigore di queste narrazioni, che si basano sul potere immaginifico della sola parola.
Nancy Ekholm Burkert mostra di saper entrare perfettamente in sintonia con la narrazione fiabesca, non si accontenta, infatti, né si limita a illustrazioni descrittive di un contenuto - quello fiabesco - che sappiamo essere ridotto all’essenziale, ma entra nella fiaba senza voler essere esaustiva e apre, lasciandole aperte, tante porte che sono poi i varchi mostrati e accennati nella fiaba stessa.
Oltre a una ricostruzione minuziosa del contesto, collocato in un ambiente medievaleggiante che ricorda le corti di Walter Scott e i boschi inglesi, le illustrazioni sono un condensarsi di ninnoli, oggetti, foglie, piante...riprodotti con una cura documentaria quasi spasmodica: guardate i tappeti in corda intrecciata, i tendaggi, guardate le brocche, i piatti, gli intagli degli architravi in legno, i vasi decorati, i bauli, i grembiuli ricamati e le vesti…ma soffermatevi anche sui capelli acconciati distrattamente sulla testa da Biancaneve, resasi perfetta donna di casa. Osservate il tavolo della cantina della matrigna: le mosche morte, le erbe abbandonate, i funghi ancora sporchi di terra, le pagine macchiate di muffa, la candela spenta da una folata di vento...
L’illustratrice mostra una sensibilità artistica spiccata che si evidenzia in un movimento che riesce a infondere alle tavole, grazie ai gesti, ai drappeggi dei vestiti e grazie agli sguardi che creano un movimento vorticoso, spesso specchiato, come quando Biancaneve scappa nel bosco, determinando una fuga degli animali dalla parte opposta.
Incredibilmente sensata e provocatoria è poi la scelta di non mostrare mai la faccia della matrigna, vero cuore di questa fiaba - a dispetto di quanto il titolo ci faccia supporre - che viene sempre mostrata di spalle o addirittura assente, come nella scena finale in cui intravediamo i calzari di ferro, in cui ha dovuto danzare, e un varco nero infinito, in cui un bianco piccolo levriero italiano ci suggerisce sia simbolicamente finita.
Non stupisce, invece, accorgersi di un divario che c’è con l’immaginario disneyano che si allontana dal testo dei fratelli Grimm e che qui è invece rispettato: i nani non sono bambini persi nella atemporalità della loro età, bizzosi, sporchi e disordinati ma sono nani veri, tutt’altro che sprovveduti, e anzi ricchi custodi del tesoro della terra.
Perfetta la resa di contesto e sfondi, resi tridimensionali dall’uso dell’azzurro e da una magistrale padronanza del disegno architettonico e naturalistico che fonda la bidimensionalità della pagina con feritoie e scorci montani.
La sensibilità cromatica di Burkert riesce poi a valorizzare il gioco dei tre colori che appartengono a questa fiaba (il bianco, il rosso e il nero):
«Oh se avessi un bimbo bianco come la neve, rosso come il sangue e nero come il legno del telaio»
Con equilibrio discreto, che forse non appare alla prima percezione del lettore, ma che l’occhio sicuramente registrerà in modo inconscio, i neri i rossi e i bianchi trapuntano con delicatezza le tavole come il rosso incipriato sul volto niveo della protagonista.
È questa una lettura di estrema grazie e bellezza, ritmata magistralmente dall’alternanza doppia pagina di testo/ doppia pagina illustrata, in riquadri eleganti.
Un’edizione da non perdere.
[Se volete approfondire il discorso dellaa fiaba di Biancaneve vi consiglio caldamente di non perderviì l’introduzione di Maria Tatar al bellissimo volume di Donzelli La più bella del reame che rende merito e documenta tutto questo ricchissimo convergere di temi e figure in modo magistrale.