La Campania è una regione a cui sono molto legata: mia nonna Maria è nata a Napoli, e così mio padre. Capelli biondi, occhi azzurri, colori che ricordano che il Sud ha conosciuto il mescolarsi di popoli diversi e culture diverse in uno spirito di apertura e cordialità, testimoniato ovunque.
Gli spaghetti c’a pummarola ‘ncoppa, la pizza… non esisterebbero se i pomodori non fossero diventati parte della cultura gastronomica partenopea.
Parlare della Campania significa specchiarsi nel mare che lambisce con il suo azzurro abbagliante le coste, o gioca tra i faraglioni, significa rimpinzarsi di cibo (struffoli, sfogliatelle, pizza, pasta e patate, frittata di spaghetti, pizza…), mescolarsi tra un popolo vivo e che – a differenza di tanti altri luoghi – abita e vive i centri storici di prestigiose città con la propria umanità viva e genuina. La gente campana è sempre pronta a farti un caffè e riempie le strade con urla e sorrisi sornioni che non si sa mai se sono gentili o furbi.
Un riflesso di questa ricchezza strabordante e sopra le righe l’ho ritrovata in alcune pagine che vi propongo.
Le isole innanzitutto: Capri, Procida, Ischia… città gioiello che hanno vissuto per secoli del mare e delle braccia dei pescatori, città selvagge sopra fondali ricchi e brulicanti di vita. Il giro d’Italia in 80 isole ce ne racconta tre, in rima, sintetizzando lo spirito di questi gioielli marini.
«Dentro all’isola di Capri
si celavano degli atri
che la luce in un sussurro
ha dipinto con l’azzurro
nel silenzio più assoluto
col suo magico imbuto
mentre sopra là in piazzetta
tutti muovono in gran fretta»
Non potevano mancare un’incursione nei cibi d’Italia. La pizza simbolo per eccellenza di Napoli è motivo di orgoglio e di passione che si perpetua nella modernità delle botteghe infarinate del centro. Un piatto che è un simbolo e che è una passione che accomuna la maggior parte degli italiani. Giulia Rotondi ci racconta la sua storia, dai pomodori di Cristoforo Colombo che i napoletani non ebbero paura di assaggiare e quindi di usare sui loro maccheroni, fino alla passione dei Borbone e alla diffusione in tutto il mondo.
La prima testimonianza della parola “pizza”? Nel 997!
Calvino raccoglie la fiabe di Cricche, Crocche e Manico d’uncino, non a caso una storia di ladri, ricca di risate e colpi di scena incatenati: un’istantanea della vitalità furba e affascinante di una umanità genuina.
Infine i romanzi di John Bemelmans Marciano che ricostruisce con sapienza e fascino la vita a Benevento di un gruppo di ragazzi: la vita, le tradizioni, le credenze… il folclore emerge quasi inconsapevole in pagine rese splendide dalle illustrazioni di Sophie Blackall.
Una collana imperdibile di cui ho parlato qui e qui.
Nel terzo capitolo, dedicato a Maria Beppina, la bambina incontrerà la strega Zucculara, la personificazione di tutte le sue paure. Ma davvero le streghe esistono? Tra panni da lavare al fiume, mercati, notti passate fuori dalle mura, giochi tra i ruderi, capitoni fuggitivi e pasta al pomodoro, tornerete con questo gruppo di bambini a qualche secolo fa.