Che l’Atlante dei grandi esploratori sia un libro incredibile lo hanno detto tutti e non sarò certo l’unica a parlarne in questi termini. In effetti il lavoro di Isabel Minhós Martins e Bernardo P. Carvalho lascia senza parole, per l’ennesima prova di cura e approfondimento originale che dedicano ad un tema (il viaggio) e ad un genere (la raccolta di biografie) molto in voga in questo periodo. Non solo dunque la storia di personaggi straordinari che hanno fatto la storia della geografia, della botanica, della cultura, della scienza in senso lato, ma un libro che cerca strenuamente di capire il senso del viaggio di ciascuno.
Cosa significava viaggiare nel XVII secolo?
«Riusciamo ancora a immaginare un mondo senza mappe?»
Essere una donna cosa implicava quando ci si imbarcava per mesi?
«Cos’è che spinge qualcuno a farsi strada quando ancora la strada non esiste?».
Il testo è puntellato di domande.
In questo modo le prime esplorazioni assumono le loro reali e realistiche dimensioni, perché solo un paio di secoli fa viaggiare significava stare via mesi, anzi anni, andando a ritroso nel tempo, partire significava affidarsi ai propri piedi e alla provvidenza che - si sperava - avrebbe provveduto a far trovare ricoveri, cibo, una strada verso la meta… Si percepisce il brivido di uomini che davanti all’ignoto e alla consapevolezza dell’impossibilità di pianificare e anche solo immaginare il futuro prendevano e partivano. Artisti, scienziati, appassionati di piante e di animali, sognatori, persone profondamente religiose, ricchi stanchi di trascorrere il tempo nell’atarassia…
Per ogni racconto Isabel Minhós Martins, con molta onestà («non tutto è filato liscio, bisogna dirlo»), cerca di delineare le ragioni del viaggio, il contesto culturale che determina la mentalità dei diversi uomini che si mettevano in viaggio (cosa pensavano? Cosa credevano? Che atteggiamento avevano rispetto alle persone di altre culture e con tratti somatici diversi? Cosa cercavano?). Non si possono tacere le ingiustizie che a volte venivano perpetuate (basti pensare al periodo colonialista), ma non si possono neanche negare le grandi scoperte e lo sconfinato coraggio di certi uomini che raggiunsero nuovi continenti («“scoperta” o di “incontro tra i popoli”»): mettersi nei loro panni per comprendere il loro sguardo, questo sembra essere il motto dell'autrice.
Perché partì? Cosa lo guidò? Quando ritornò? Che luoghi visitò?
E la parte più interessante è che l’autrice basa le sue ricostruzioni a partire dai testi originali (spesso citati letteralmente) che raccolgono la descrizione dei diversi viaggi: in questo modo rimane quel senso impagabile di meraviglia e di stupore, che dominava anche i trattati scientifici di fronte allo sconosciuto. Una pianta mai vista, un volto neanche immaginabile, montagne e gole montuose che agli occhi di chi ha vissuto davanti al mare appaiono più facilmente draghi sinuosi, animali dalle forme inconcepibili e con colori accostati in modo impensabile.
Dal 350 A.C., il viaggio di Pitea «verso la fine del mondo», fino al 1862 con «Mary Henrietta Kingsley. Un’avventuriera senza paura nell’Africa occidentale»: queste persone percorsero il mondo, in tempi in cui ancora il mondo era creduto piatto e circondato dal fiume Oceano.
Mappe, percorsi, citazioni, domande, descrizioni: il testo scorre incalzante perché ci si ritrova dentro i calzari o gli stivali dei diversi personaggi e non si riesce a posare il libro.
«Quando videro comparire dal mare le vele e le navi, che mai avevano visto prima né loro né gli antenati, li credettero degli uccelli dalle ali bianche, giunti da qualche luogo sconosciuto. Poi salirono a bordo e videro le vele legate: allora credettero che fossero pesci. Le navi e i marinai li impaurivano, perché si spostavano di notte a gran velocità; ed essi non pensavano che fossimo creature umane, ma fantasmi».
Bernardo P. Carvalho usa una densità di tratto e colore che circonda i lettori. Tra tavole dai colori cangianti che sembrano quadri e pagine fittamente disegnate da tratti neri pastosi e grossi, linee sinuose che si aggrovigliano e che richiedono di andare oltre l’impatto iniziale per scorgere tra le pieghe dei disegni, dettagli, profili, foglie, volti, onde, barche, uomini.
Un libro bello, intenso, quasi tattile, ricco e coinvolgente che potrà essere proposto dai 10 anni, o anche prima in lettura condivisa.
Bellissimo.
P.S. trovo tremendamente asfissiante che in Italia il sottotitolo debba essere «Nove uomini e due donne alla scoperta del mondo»: il fatto che ci siano delle donne dona un interesse ulteriore al testo? Io credo che le bambine possano tranquillamente farsi ispirare da storie di esploratori maschi, senza nessun problema.