Io mi sento come papà orso, lo capisco dal profondo del mio animo. In fondo cosa ci si dovrebbe aspettare? Se «l’inverno è alle porte» vuole dire che ci si può mettere tranquillamente in letargo, allo stesso modo, nel caso di una Pasqua in aprile dopo settimane in cui anche solo il trench aveva il potere di farti sudare, cosa fai? Ti metti il cuore in pace e fai il cambio dell’armadio! Tiri fuori tutti quei vestitini leggeri e quei maglioncini in cotonino, un po’ così, diciamo “simbolici”. Certo lo fai, siamo al 21 di aprile, ma è qui che vieni punito. Qui in Brianza è tornato l’autunno, che nemmeno due felpe possono regalarti una temperatura vitale, e a papà orso scappa Orsetto a causa di un’ape «fuori tempo massimo» (il che dice tutto!). Eh no! Ecccheccavolo!! Così appena il «tepore della pancia di Orsetto» lascia il posto allo spiffero traditore papà orso non può far altro che alzarsi ****** e io non ho potuto fare altro che ritirare giù i bauli dei maglioni *******.
Orsetto insegue imperterrito e concentrato l’ape, come solo un bambino sa fare, estraniandosi da tutto e quando dico “tutto” dico il mondo, perché la foresta che attraversa è un luogo percorso da mille storie, mille personaggi e mille oggetti. E il papà corre come solo un papà che ha perso il pargolo può fare, estraniandosi da tutto e quando dico “tutto” dico… beh l’ho già detto. Dalla foresta temperata alla giungla parigina (le finestre sono inconfondibili!), la corsa sembra breve, ma la ricerca si complica. Perché se nella foresta tutti i bravi orsetti ronfano sulle pance di padri compiaciuti e insonnoliti (e quindi identificare Orsetto avrebbe potuto essere mediamente semplice!), in città ci sono famosissime marche di miele che si sponsorizzano su cartelloni e affissioni e come se non bastasse madri con dubbie conoscenze di moda infantile abbigliano i figli da pseudo-orsi (il cappello a orso lo comprai anch’io a Saverio :)). Fortunatamente l’inconfondibile culetto guida il papà secondo un’esatta rotta fin dentro ad un teatro, dove, grazie a sciarpa e cilindro, il plantigrado passa inosservato: si sa a teatro si può essere un po’ eccentrici nel vestirsi. L’inseguimento si snoda tra corridoi, sale prova, ponteggi e passerelle finché l’inauspicabile accade e l’orso, che era riuscito a rimanere in incognito fino a quel momento, precipita sul palcoscenico dell’Opera, davanti a tutti. «Lo guardano tutti, che imbarazzo! “Orsetto mi sente quando lo trovo”». Altroché. La mia versione è stata «Ma quando mai mi sono fidata di te ventolino caldo marzolino». Mmmm tutti lo guardano: «Forse vogliono che canti una canzone?» e così papà orso decide di intonare «una canzone da orsi, la canzone dolce che gli cantava la mamma per farlo addormentare». Una vera ninna nanna di una dolcezza inenarrabile. È il richiamo paterno e familiare che attrae Orsetto che non può che fermarsi e godersi lo spettacolo. E in quel momento del ricongiungimento, esattamente prima che papà orso apra la diga dei rimproveri, il piccolo lo tira a vedere la sua scoperta e forse la gioia del reincontrarsi mette a tacere il padre finalmente fermo e calmo.
È un ritrovarsi dolce quello del papà e del piccolo, da subito familiare e «finalmente tranquillo».
La storia della fuga-ricerca è molto semplice, ma godibile e dettagliata con inserti inaspettati, ma la forza dell’albo sono indiscutibilmente le immagini.
La grandissima capacità di Benjamin Chaud sta nel riuscire a donare individualità ad ogni particolare: nei grandi quadri pullulanti di vita, ogni dettaglio è osservabile da solo con l’effetto arioso di un quadro pieno, ma mai confuso. Le grandi dimensioni del libro amplificano l’effetto, ma ogni elemento può raccontare una storia e niente sembra messo lì per caso: la chiesa, il lupo e il bambino nel bosco mi hanno ricordato la taiga russa e Pierino, le finestre parigine regalano squarci di storie personali come l’elefante dietro la tenda (Babar?) e gli innamorati al balcone, le quinte del teatro e i palchi descrivono l’umanità cittadina variegata che, sebbene grigia, è estremamente differenziata. Mentre gli sfondi, quando si svuotano, lo fanno per sottolineare passaggi cruciali come i fasci di luce che illuminano padre e figlio, quando si rivedono.
La linea morbida, scivolosa, malleabile dell’illustratore, unita ai giochi di colori e di luci crea movimento, dinamicità e volume. Il passaggio dalla foresta alla città è segnato da un ingrigimento dei toni, che amplifica l’effetto sorpresa della pagina della canzone di un forte giallo zafferano. Sempre pieni e definiti nei particolari i tre protagonisti principali (non dimentichiamo l’ape!), espressivi anche grazie a quelle pupille bianche che spiccano per espressività.
I piani di lettura e gioco del libro sono almeno due. Il primo, immediato e “succoso” è la ricerca dei protagonisti nella trama di dettagli, il secondo è l’osservazione dello spazio circostante. Saverio non ama molto questa seconda possibilità, tuttavia a differenza di libri simili che, “trovata la soluzione” e letti due volte, venivano accantonati, questo ha il vantaggio di una trama divertente che si ascolta e si riascolta volentieri, pur avendo esaurito la ricerca. Papà e Saverio se lo leggono insieme mentre io e Saverio abbiamo approntato il progetto di un libro tutto nostro, sul genere.
Comunque, concludendo, io mi sento come papà orso. Ve l’ho detto. Non è giusto essere traditi «fuori tempo massimo»! :)
P.S. E siccome papà orso è anche tra i finalisti del premio Andersen non posso che tifare per lui!
Una canzone da orsi
26 pagine
Anno: 2013
Prezzo: 14,50 €
ISBN: 9788857005881
Franco Cosimo Panini editore
Anobii