Oggi sono davvero felice di poter ospitare tra le mie pagine Giovanna Zoboli, scrittrice dalla penna acuta, coltissima e intelligente, e per questo (avrei potuto dire ‘nonostante’, ma voglio dire proprio ‘per questo’!) capace di parlare ai bambini dai più piccoli ai più grandi con serietà e fascino. Filastrocche, poesie, racconti e anche romanzi, Giovanna Zoboli scrive moltissimo e quello che mi ha colpito nell’approfondire i suoi scritti è la capacità di comunicazione trasparente e schietta che le permette di raggiungere il lettore, unita alla sapiente semina di parole inaspettate, che fioriscono qua e là e che chiedono solo di essere guardate (nella recensione di stamattina ho sottolineato come sia riuscita a mettere in posizione rimica “tergicristallo”). Non si tratta mai di lingua scelta o preziosa, ma di parole precise e dettagliate che suscitano immagini mai generiche e per questo vivide, vissute.
La ringrazio per il tempo e la cura che ha dedicato alle mie domande e le lascio la parola. Godetevi ogni passaggio, come ho fatto io.
Mentre mi documentavo sui tuoi lavori, non mi ha per nulla sorpreso scoprire che hai scritto delle poesie, perché anche i tuoi testi in prosa hanno un ritmo e alcuni dettagli linguistici (sintattici e lessicali, soprattutto) che riecheggiano il linguaggio poetico, se penso poi ad alcune sperimentazioni poetiche e ad alcuni dei tuoi testi non saprei dire con esattezza quanti testi di poesia hai scritto per bambini. Tu percepisci la labilità di questo confine?
Il mai abbastanza citato Calvino, a proposito della forma di prosa e poesia, nelle Lezioni americane, al capitolo Rapidità, ha scritto: «Come per il poeta in versi così per lo scrittore in prosa, la riuscita sta nella felicità dell’espressione verbale, che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del «mot juste», della frase in cui ogni parola è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia: in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile.»
Accanto, poi, alla questione del mot juste, c’è quella del ritmo. Se, quando scrivo, non sopraggiunge la ‘metrica’ del testo, e ogni testo ha una musica di fondo che lo struttura, difficilmente capisco in che direzione devo andare. Il ritmo ha una parte fondamentale; il testo, che sia prosa o poesia, è una vera e propria partitura musicale, e il lavoro di chi scrive consiste in gran parte nell’affinare l’orecchio a cogliere questa esigentissima misura.
Secondo te, esiste una poesia per i ragazzi, per bambini diversa dal genere poetico largamente inteso? Tra i testi più canonici e riconoscibili certamente ci sono le filastrocche, tu le consideri diversamente dalla poesia?
No, non le considero diversamente. In proposito, mi tocca fare un’altra citazione, questa volta da Lorca. Nel suo libro Sulle ninne nanne, riflessione sulle nenie e sulla voce ‘ninnante’ di madri, balie, tate e nutrici (personaggi fondamentali nell’accudimento dei bambini), si legge che queste sono una “iniziazione minima alla vicenda poetica: i primi passi nell’ambito della rappresentazione intellettuale.” La bellezza di queste composizioni non a caso ha avuto un richiamo irresistibile per poeti e musicisti da Schubert a Brahms, da Ravel a Stravinsky, a Gershwin, da Shakespeare a Auden, da Yeats a Pascoli, a Trilussa, a Rebora, per citarne solo alcuni. A mio avviso, rimane il fatto che le ninne nanne ‘colte’ non raggiungono la bellezza delle ninne nanne popolari. Come mai? Io penso per il distacco dal loro oggetto e scopo primari: il dialogo e la relazione effettiva con il destinatario, il bambino. Per scrivere buone ninne nanne, buone filastrocche non è sufficiente avere del genio, se manca il rapporto con la dimensione dell’infanzia, che non è detto si configuri in una relazione con bambini in carne e ossa. Questa presenza deve essere al centro dell'interesse dell'autore insieme alla riflessione sul testo letterario. La grandezza delle ninne nanne popolari sta in una messe di spunti, temi, ritmi, unica per freschezza, profondità, forza, la quale si è sviluppata nel rapporto con i bambini, nella loro presenza. La presenza del bambino come destinatario non si configura, infatti, per chi scrive come elemento accessorio del testo, bensì come centrale e strutturante. La poesia, infatti, si fa fortemente contaminare dai propri oggetti, in qualche modo è una loro incarnazione. E l’oggetto delle filastrocche è l’infanzia. Va da sé che qui sto parlando di testi di letteratura, non delle filastrocche per vendere i corn flakes, o di certi orrendi video didattici che so circolare nelle scuole per insegnare la geometria o la grammatica, o di quei componimenti in rima per festeggiare matrimoni, compleanni etc.).
Hai scritto un bellissimo articolo sul bianco che circonda la poesia, eppure i tuoi testi poetici sono circondati dalle immagini, a volte ne sono quasi assorbiti. Cosa pensi di questa relazione?
È una domanda interessante, anche perché spesso si sente dire che la poesia non ha necessità di illustrazioni, di immagini. Cosa su cui non sono d’accordo, almeno non in assoluto. Dipende sempre da come le due cose stanno vicine e perché. Sono molte le sillogi poetiche, anche per adulti, nate con illustrazioni. Basti pensare a quel colosso che è William Blake che, oltre a essere uno dei padri della poesia inglese, si può considerare uno degli inventori del libro illustrato in senso moderno, con i suoi Songs of Innocence and of Experience.
Le filastrocche che ho scritto sono nate pensando fin dall’inizio che sarebbero state accompagnate da immagini, proprio come capita sempre quando scrivo un testo destinato a un albo illustrato, che sia in versi o in prosa. E non solo accompagnate da immagini, ma il più delle volte da immagini realizzate da un illustratore preciso. E questo non è mai ininfluente, anzi, il contrario. È determinante. Quando nell’articolo che citi, Chiara Carminati parla del bianco della pagina che circonda il testo poetico e che fa emergere le parole della poesia, facendo prendere loro corpo e voce, sta parlando di due cose che possono essere presenti anche nella pagina illustrata, quindi non bianca: lo spazio attorno alla parola e il silenzio. Il silenzio non è compromesso dall’immagine, se mai il contrario, perché l’immagine tace, è misteriosa: si esprime silenziosamente.
Se come capita in Filastrocca ventosa o Filastrocca acqua e sapone, a ogni pagina corrisponde un solo verso, lo spazio di ascolto delle parole si dilata, il suono della poesia trova un campo vasto. E tieni presente anche che per un bambino un verso è un’unità di misura imparagonabile a quella che un adulto percepisce. Un verso è un universo, un libro intero. Questo universo, accanto a una immagine, a cui i bambini sono particolarmente sensibili come lettori, acquista una dimensione amplificata.
Inoltre, da editore, penso che tutto dipende sempre dal modo in cui un testo e una immagine stanno nello spazio della pagina, nella relazione che instaurano. Quando costruiamo libri di poesia illustrati, facciamo sempre in modo, o quantomeno cerchiamo, di mettere in relazione immaginari che abbiano affinità, che convivano in un equilibrio tale per cui il testo trovi nell’immagine, e viceversa, un effetto di eco, di risonanza profonda. Questa risonanza a mio avviso rende particolarmente vivida la specificità della poesia che consiste nel portare a galla visioni e orizzonti di senso. Infine, la rivoluzione che compie la poesia nell’andare a capo, sovvertendo le regole grammaticali, come spiega ancora Carminati, non è intaccata dalla presenza di immagini. Le pause, consustanziali al tessuto poetico, e che ne determinano la lettura distesa, quieta, sono preservate. Così dicasi delle rime, che echeggiano a lungo grazie alla posizione in fine verso, con le parole “protese sul bordo del precipizio, caricate di maggior peso nel gioco dei significati.”
E, tornando alla citazione di Calvino, potremmo dire che il mot juste, la parola memorabile, è icastica, termine che si collega etimologicamente alla dimensione dell’immagine; infatti, viene dal greco εἰκαστικός «rappresentativo». E l’efficacia rappresentativa è una qualità tipica dell’immagine. Insomma, parola e immagine hanno molto in comune e la dimensione poetica lo sottolinea.
La poesia, nella mia esperienza, è una potentissima fonte sintetica di immaginazione: le figure e le immagini che si destano dai versi sono difficili da originare con la stessa potenza nella prosa. Come è possibile per i tuoi versi convivere con immagini già fatte (le illustrazioni)? - pensavo, a latere, anche tutta l’interessante questione del passaggio delle “foche monache” nel testo dei Pisolini che è stata fonte di tanto smarrimento nei tuoi piccoli lettori.
Mi viene in mente Bruno Bettelheim quando diceva che le fiabe non dovrebbero mai essere date ai bambini in edizioni illustrate perché la loro qualità altamente immaginifica ne verrebbe compromessa. Naturalmente sappiamo bene che non funziona così. Io credo che le parole e le immagini abbiano modi diversi di accendere l’immaginazione che poi questa non è altro che l’attitudine a formulare ipotesi sulla realtà e sulle sue possibilità, ipotesi che ci possano fornire risposte. Se sento pronunciare il nome di una persona che non conosco, le qualità verbali del suo nome determineranno, immaginosamente, le mie ipotesi sul suo aspetto fisico e la sua personalità. Se vedo in fotografia il volto di una persona di cui non conosco il nome, saranno i suoi lineamenti a suggerirmi, altrettanto immaginosamente, il suo carattere e la sua storia. Entrambe le cose, il suo nome e il suo ritratto, mi forniranno materiali e indizi interessanti sulla base dei quali cominciare a esplorare la persona in oggetto, attraverso l’immaginazione. I bambini sono eccezionali ipotizzatori. Hanno una capacità di darsi spiegazioni a partire dalle parole e dalle immagini che noi adulti ci sogniamo. Ho molta fiducia, quindi, nella loro capacità di leggere i miei versi e le immagini che li accompagnano. E anche molta fiducia in quella abilità miracolosa degli illustratori che consiste nel dare corpo alle immagini che sono nascoste nei miei testi e di cui io stessa non so nulla o so poco.
Quando parli di letteratura spesso sottolinei il valore della sorpresa e quando si leggono i tuoi versi, in effetti, si rimane spesso spiazzati per la presenza di una parola inaspettata o per alcuni accostamenti impensati: questo effetto è ricercato e studiato o appartiene al tuo spontaneo modo di scrivere?
Sono molto contenta che tu rilevi questo aspetto. L’effetto è studiato. O meglio, ricercato. Perché poi non è detto che lo si trovi sempre e allora meglio desistere. Quando non c’è sorpresa, vuol dire che un testo non funziona, non ha forza, motivazione sufficiente. E questo lo dico anche come lettrice, e non solo di libri per bambini. Come scrittrice, se non mi sorprendo mentre scrivo, se non sorprendo prima di tutto me stessa, se so già quello che voglio dire e la scrittura non mi porta a esplorare territori nuovi, a illuminare cose che non sapevo prima di mettermi a scrivere, allora meglio posare la penna e farsi una passeggiata o preparare una minestra o leggere qualcosa di sorprendente. Vuol dire che il testo è privo di vita e il lettore non ha bisogno di perdere tempo con un oggetto spento, soprattutto un bambino.
Se penso alla scrittura poetica, mi immagino un autore con l’urgenza di scrivere e di esprimere percezioni, impressioni, visioni personali... quasi senza percepire la presenza del lettore. Accade lo stesso ad un autore poetico che si rivolge ai bambini? Oppure la considerazione dell'interlocutore media e plasma la nascita della poesia?
Nella testa di chi scrive esiste sempre un interlocutore e questo perché il linguaggio è relazione nella sua essenza primaria. E, come dicevo prima, la presenza del bambino, o meglio, dell’infanzia, è strutturante in chi scrive per bambini. Conosco una poetessa molto famosa che parla con tutto: tavoli, pentole, alberi, morti, cani, bambini. Sono certa che i suoi testi nascano dal silenzio necessario ad ascoltare le voci delle cose, e al tempo stesso dai dialoghi che lei intesse con le cose del mondo. Anzi a dire il vero ne conosco diverse di poetesse così, e anche di poeti. Io credo che la mente poetante alterni il tacere e il dialogare, e che il poetare sia la forma che queste due dimensioni realizzano.
Grazie!
Grazie a te!
Capisco esattamente!
Fantastica questa intervista!!! Entrare nello spazio creativo di Giovanna Zoboli é stato come aprire una porta per entrare in un mondo, quello della poesia, che spesso é indescrivibile senza confini e confronti se nn le emozioni che incontri. Il mondo dei bambini in particolare é talmente sconosciuto che appartiene più ai sogni che alla realta’. L’immaginazione così diventa la strada da percorrere per arrivare a loro e Giovanna ha espresso nn solo l’istinto della logica dei passi da compiere per raggiungere i bambini ma ha anche espresso in modo naturale, anche se con il supporto della sua cultura, la tecnica che é alla base di questa sua ricerca e della sua voce. A volte quello che ci raggiunge e ci emoziona nn ci spinge a cercare la ragione che ci ha colpito per questo l’intervista apre scorci interessanti perché ci avvicina al percorso che il poeta compie durante la sua scrittura ma anche e soprattutto dopo quando la sorpresa di ciò che ha scritto, leggendolo, conferma l’intimitá che l’ha generato. Grazie, grazie ancora per aver conosciuto gli indescrivibili momenti di una ”poeta” di cui nessuno spesso anche la critica più colta e preparata é in grado di raggiungere…
Sono talmente Zobolidipendente che ogni mio possibile commento si trasforma in adorante stima per come lei si avvicina al testo e alle immagini. In punta di piedi. Ma subito dopo un’esplosione vitale cattura anche i più’ scettici.