Mentre a novembre riflettevo sul nuovo libro di Tom Schamp, mi accorgevo che nella traduzione qualcosa mi sfuggiva, allora mi sono rivolta a Paola Cantatore, la traduttrice, e ne è venuto fuori un bellissimo scambio epistolare. Su sua autorizzazione, ho trascritto il nostro dialogo che vi ripropongo.
Grazie di cuore.
Paola, la mia conoscenza dell’olandese è nulla, ma nel confrontare il testo originale e quello italiano mi è parso come di intuire che ci siano dei doppi sensi o delle relazioni tra ciò che nasconde e ciò che è nascosto. Mi aiuta a capire che tipo di lavoro richiedono i testi di Schamp?
I giochi che Tom Schamp fa in genere (ho tradotto anche gli altri suoi volumi) nei suoi lavori sono in genere multi-livello. Leggendolo, si ha l’impressione che più che scrivere per affascinare o divertire il lettore, lo faccia prima di tutto per divertirsi lui stesso, per una sua esigenza espressiva, come se i colori, le forme o anche le informazioni che dà attraverso i testi e le immagini dialogassero continuamente tra loro per dirsi qualcosa “a ogni giro” di completamente diverso, cambiando argomento in continuazione. A volte gioca col non-sense, spessissimo con le parole, a volte cela persino messaggi critici verso la società o la politica (!). Il meccanismo si innesca perché se anche il lettore fosse lì per caso e cogliesse solo questo o quel particolare, ripassando in un secondo momento, potrebbe cogliere cose ancora diverse, cosa che poi accade davvero!
Nello specifico del volume Dove sono tutti? ho notato che il nesso tra ciò che nasconde e ciò che è nascosto è stato segnalato grazie all’uso della font in grassetto, ma rimane in me l'impressione che, se in alcuni casi la relazione è palese (“sgobbato” - gobbe - cammello), in altre la relazione si perda a causa della lingua di partenza.
“Dove sono tutti?” è un libro per bambini piccini, e quindi logicamente più semplice rispetto agli altri, ma ha mantenuto lo stesso approccio multiplo, estremamente giocoso e non sempre coerente. Nel senso che il meccanismo di gioco e scoperta non è univoco: non si basa solo su giochi di parole o sulle forme, ma spesso mischia tutto.
I meccanismi che ha usato in questo volume sono di due tipi: uno è basato sui giochi di parole (assonanze o legami di senso), che ho cercato di mantenere quanto possibile (alcuni giochi di parole che funzionano in olandese, in italiano perdono mestamente senso, in quei casi ho adattato, più che tradotto), e l’altro basato sulla trasformazione della forma (il profilo di qualcosa che, aprendo l’aletta, si trasforma in qualcos’altro, qualcosa di inaspettato, di buffo o persino di opposto).
Mi sono chiesta che tipo di legami avesse usato l’autore: assonanze foniche (gabbiano - gabinetto) legami di senso (lavare- orsetto lavatore / lentezza-tartaruga)... e poi? La scimmia? Il criceto? Mi sembra come di intuire che sia molto di più, ma non riesco a comprenderlo fino in fondo.
Le faccio qualche esempio tra quelli che mi ha citato:
Nel caso della scimmia in originale abbiamo sul fronte:
Chi ha molta sete? Sotto l’aletta: Una scimmia sportiva
Ora, di per sé non c’è un particolare gioco di parole, solo un’immagine inaspettata in cui hai una scimmia in costume sul surf che si rinfresca con il the che abbiamo visto un attimo prima, e che per il gioco del flap si ritrova a surfare una tavola da surf poggiata a sua volta su una tavola da pranzo. Da qui il mio adattamento.
Invece nel criceto abbiamo
Originale: Chi se ne sta al caldo? Il criceto
Qui il gioco è in gran parte determinato dalla forma, ma c’è anche un riferimento al fatto che i criceti adorano in effetti starsene al calduccio e soprattutto al fatto che la parola olandese per criceto “hamster” contiene a sua volta la parola “ham”, ‘prosciutto’, classico ingrediente dei toast. Ovviamente tutto questo in italiano non regge e la mia iniziale traduzione “criceto color marrone bruciato” con il riferimento al tostapane mi è parsa poi troppo poco intuitiva e, visto il pubblico di riferimento, ho optato per un richiamo a qualcosa di associabile alla colazione. In ogni caso, mi rendo conto, in italiano perde gran parte del suo charme.
Il caso del coccodrillo è ancora diverso:
Originale: Chi fa spesso il bagno? Il piccolo coccodrillo
Qui il gioco è basato esclusivamente sulla forma cangiante dell’animale e sull’habitat lacustre dei coccodrilli (e in questo caso la traduzione è piuttosto letterale).
Per il cane sotto il letto, avevamo in originale: Chi guarda sotto il letto? Il cane
Anche qui il gioco parte dalla forma e lo sguardo un po’ torvo del cane disegnato mi ha fatto scegliere la traduzione, che era quella che per me rendeva meglio il senso.
Anche il gatto sotto il fungo, il primo protagonista, in originale è: Chi abita in questo fungo?Il gatto con gli stivali
In questo caso l’autore gioca con la forma, ma anche con il fatto che il fungo è un’Amanita muscaria (velenosa ma scenografica: spesso appare nelle illustrazioni di fiabe perché con il suo cappello rosso punteggiato di bianco spicca nel bosco e il Gatto con gli stivali è un personaggio delle fiabe). La mia traduzione ha cercato di mantenere il senso e di ingentilirlo con una rima, perché non è così immediato.
Nel lasciarla, ci dica il suo pensiero sulla traduzione oggi nell’ambito della letteratura per l’infanzia.
Io credo che il lavoro di traduzione sia estremamente sottovalutato nel nostro Paese, come forse lo è la lettura. Eppure, è un lavoro essenziale ed è sempre una sfida. Lo è ancora più secondo me, per i libri destinati ai bambini, perché è mia opinione che è lì che il linguaggio dovrebbe iniziare a spiegare tutta la sua magia , il suo fascino e le sue potenzialità. Spesso i libri dedicati ai bimbi invece hanno un linguaggio “basso” e semplificato anche quando quello dell’autore originale non lo è e non vuole esserlo “perché così capiscono”. Io credo che il linguaggio debba invece, là dove può, incuriosire, debba giocare con la nostra percezione del senso e delle associazioni, debba stimolare il lettore. O almeno, ci debba provare.
Paola è stata gentilissima e davvero molto chiara. Grazie!
Tom Schamp poi dà filo da torcere! 🙂
Grazie mille per questo affondo, nell’affrontare io stessa la recensione di questo libro per milkbook, avevo avuto la stessa impressione. Questa intervista è senza dubbio utile ad inquadrare (e rispettare) il non facile lavoro del traduttore.