Abbiamo già avuto modo di incontrare le illustrazioni di Michele Rocchetti nella recensione di Quellilà e sono contenta che quest'anno sia stato selezionato per la mostra degli illustratori di Bologna. Le due anime di graphic designer e illustratore si fondono in un stile molto particolare ed unico: andate a sbirciare il suo sito e guardate quali sono i tesori che metterebbe in valigia.
In attesa di vedere alla Bologna Children's Book Fair le sue tavole esposte alla mostra degli illustratori, ecco cosa ha risposto alle nostre domande. Grazie!
1) Che cosa significa per te illustrare?
Illustrare significa per me dare una forma personale a linguaggi altri, come la narrazione, il concetto, la scienza financo la poesia. L’illustrazione è il mezzo attraverso il quale posso manipolare la realtà rappresentata , cercando di aprire finestre su mondi verosimili, realistici o fantasiosi.
2) In che modo lavori?
Solitamente il mio lavoro si muove su due strade: la commissione di un cliente o un editore, dove cerco di intercettare le aspettative del committente mediandole con la mia sensibilità, oppure lo sviluppo di un progetto personale. Quest’ultimo scaturisce sempre da una sensazione di entusiasmo verso
qualcosa, penso di poterla definire ispirazione e intuizione. In entrambi i casi, dopo un brainstorming istintuale, inizia una fase di ricerca più oculata e razionale. Facendo un paragone “fisiologico” sento la necessità di metabolizzare zuccheri e carboidrati prima della corsa: immagini, testi, film, opere d’arte in generale. Spesso il percorso presenta imprevisti e raramente posso dire di concretizzare l’obiettivo immaginato in principio. Nel tempo ho maturato l’idea che a fronte di una rotta chiara da seguire, la casualità gioca un ruolo di aiutante, nascondendo indizi e suggerimenti e aprendo una fessura giocosa in un percorso che cammina sul filo della “procedura”. Ci sono giorni o periodi in cui mi capita di girare in tondo, mi muovo senza arrivare da nessuna parte, è una sensazione che mi angoscia e che fa parte delle difficoltà di questa professione, fatta sì, di arte e fantasia, ma anche di logiche di mercato,
concorrenza, standard e aspettative.
3) Che cosa ami del tuo lavoro?
Del mio lavoro amo il privilegio di poter dare una forma originale e personale a qualcosa che non c’è o che esiste in altra forma. La possibilità di combinare colori e volumi realizzando un piccolo mondo immaginario fatto di carta stampata o di pixel è prima di tutto un modo per esplorare ciò che mi piace e
le possibilità di concretizzarlo. Quando la soddisfazione per un lavoro finito incrocia l’apprezzamento del pubblico, si chiude il cerchio, si esce dall’autoreferenzialità e ci si gode una piccola e scanzonata parentesi di felicità.