Siamo davvero orgogliosi di ospitare oggi un autore vulcanico: Davide Calì. Tra un corso e un incontro, in viaggio costante, è riuscito a dedicarci un po' del suo tempo e ci ha raccontato del suo mondo. Personalmente avevo sempre letto i suoi lavori, senza però essermi mai accorta che conoscevo solo una minima parte di ciò che fa.
Grazie!
La parola che assocerei al tuo lavoro è incontenibilità. Sei un autore di testi esilaranti, come la trilogia compiti-ritardo-vacanze con Benjamin Chaud o la Biancaneve e i 77 nani, e nello stesso tempo affronti temi importanti, come la guerra, il perdono o la violenza. In ogni caso lo fai in un modo sempre e comunque capace di raggiungere i bambini. E mantieni un ritmo altissimo: 7, 8, 9 lavori all’anno senza contare i corsi che tieni e gli articoli che pubblichi! Viene quindi immediato dire che hai davvero un universo da esprimere. Eppure leggevo in un’intervista che ci hai messo un po’ prima di rivolgerti direttamente al pubblico dell’infanzia.
Sì, io nasco fumettista e, come tutti sanno, la prima volta che mi hanno chiesto di immaginare un progetto per bambini sono praticamente scappato. È stato solo più tardi, quando ho scoperto le edizioni francesi, che ho capito che il mondo dei libri per bambini era molto più vasto e vario di quello che conoscevo. È stato in occasione di una mostra organizzata dal centro culturale francese a Genova, dove abitavo all’epoca. La mostra mi fu utile per capire che certe storie illustrate che mi giravano in testa da un po’ e che non riuscivo a collocare in nessun format del fumetto, erano in effetti libri per bambini.
La tua scrittura è multiforme: ho letto i tuoi pezzi di taglio giornalistico, poi rileggo i tuoi albi più poetici, poi passo ai fumetti e mi immagino sempre un autore diverso. L’elemento che accomuna tutti gli stili è che viene voglia di conoscere l’autore. Dove nasce questa diversità?
Penso dal fatto che mi piacciono e interessano cose molto diverse tra di loro. E inevitabilmente prima o poi i miei interessi finiscono nelle cose che scrivo.
Cosa ti permette di mantenere vivo il tuo lavoro? C’è un filo conduttore in tutto quel che scrivi?
Non saprei. Penso il non smettere di nutrirmi. Mi sembra sempre un po’ strano chi, mentre scrive, suona o dipinge, non legge, non ascolta e non guarda il lavoro degli altri. Io poi mi annoio facilmente, ho bisogno di essere continuamente sovralimentato di stimoli.
Tu nasci come fumettista e quindi, forse, il passaggio ad illustratore non è stato poi così difficile. Decidi tu se illustrare il testo che hai scritto? Ci sono testi che ti sei rifiutato o che pensavi di non riuscire ad illustrare?
Dopo aver illustrato i primi miei libri ho smesso perché più di un editore mi chiese se poteva avere soltanto la storia. Mettendo da parte un po’ di orgoglio e di gelosia per il mio lavoro ho detto di sì un paio di volte e da lì in poi hanno cominciato a cercarmi tutti, ma sempre e solo per le storie.
Mi sono reso conto che come scrittore sono molto più originale che come illustratore, senza contare che, numericamente, i bravi autori sono molti meno dei bravi illustratori.
Detto questo, dopo qualche dubbio iniziale, condividere le mie storie con mani diverse mi ha aperto l’immaginazione. Se prima pensavo solo a storie che avrei potuto illustrate io, potendo disporre di qualsiasi stile, ho cominciato a scrivere molto di più, moltiplicando i generi.
Senza contare le storie che per alcuni ho scritto su misura. È il caso di Claudia Palmarucci e Monica Barengo. Le prime storie che ho proposto loro le avevo già pronte, ma dopo averle conosciute ho cominciato a scrivere storie speciali per loro. Se non le avessi incontrate, penso che probabilmente non le avrei scritte.
Mi ha colpito che tu abbia detto di aver lavorato su te stesso per essere disponibile. Quando si fa un lavoro in un team, magari con un illustratore sconosciuto o con editori diversi, la disponibilità è una virtù… Consegnare il proprio lavoro ad un altro artista significa lasciare che lo interpreti secondo la propria sensibilità, che può essere molto lontana dalla propria. Cosa significa essere disponibile?
Considero le mie storie come cantieri aperti. Credo che, quando lavori con qualcuno, tu non possa fare tutto quello che vuoi. Nella condivisione del lavoro si perde, per forza di cose, un po’ dell’individualità di ciascuno, che confluisce in un risultato comune, dove certe volte è difficile distinguere chi, nello specifico, ha messo cosa. Tutto questo però l’ho imparato, dopo aver lavorato per anni con il fumetto, completamente da solo. E sto ancora imparando.
Per quella che prima hai chiamato la trilogia (anch’io pensavo lo fosse a un certo punto, ma poi ci hanno proposto due contratti per ulteriori due volumi; il quarto è finito e uscirà nel 2017) di Non ho fatto i compiti perché, il primo libro è nato da una mia idea, mentre gli altri si sono formati in modo completamente diverso: di solito è la casa editrice che ci propone un titolo e un tema. Io immagino quindi una storia principale, dalla quale Chronicle sceglie quello che gli piace e scarta quello che gli interessa di meno. Quindi, inizia una fase confusissima in cui Benjamin schizza quello che gli piacerebbe disegnare, mentre dalla casa editrice Naomi ci suggerisce cosa che le piacerebbe inserire nel libro, e la nostra agente Debbie risponde un po’ a tutti, anche lei con suggerimenti e idee. L’effetto è un po’ quello di una band dove tutti suonano contemporaneamente, ma ognuno va per conto suo suonando la musica che ha in testa. In questo è difficile dire come nasca la storia, ma alla fine riesco a trovare sempre il filo che mette in ordine tutto.
Il fumetto è la tua prima passione e gli ultimi libri che hai scritto per l’editore Biancoenero ricordano molto questo medium. Io ho scoperto il fumetto tardi e in generale l’ho sempre associato ad un pubblico adolescente o adulto. Secondo te che potenzialità ha il fumetto rispetto all’albo illustrato nel rivolgersi ad un pubblico di bambini?
I libri di Biancoenero non sono propriamente fumetti, anche se i miei disegni lo ricordano molto e se una delle due storie è chiaramente ispirata a un immaginario tipicamente fumettistico, quello dei supereroi. Per il resto, essendo cresciuto leggendo fumetti, non mi sono mai posto la questione se il fumetto sia utile ai bambini o meno. Io sui fumetti ho imparato a leggere, in seguito ho cominciato a servirmene per esprimermi. Per me è una lingua. Certe mie storie mi vengono in mente in italiano, certe in francese, altre in inglese. Allo stesso modo alcune le vedo a fumetti o illustrate o romanzo.
Nei miei ormai dieci anni di lavoro in Francia, di fumetti per bambini ne ho fatti tantissimi. Sia libri singoli che serie. Scrivo anche per diversi giornalini che escono mensilmente in edicola. Oggi i bambini con i fumetti si divertono, sognano e imparano un sacco di cose, esattamente come capitava a me quando avevo la loro età. Mi sembra una motivazione sufficiente per continuare a farne.
Sito ufficiale: http://www.davidecali.com
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Opere tradotte in italiano:
[…] Vi consiglio questa bella intervista a Davide Calì uno degli autori per l’infanzia più interessanti da seguire. E poi abbiamo frequentato lo stesso Centro culturale francese (con diversi risultati direi!) https://www.scaffalebasso.it/intervista-davide-cali/ […]